I conflitti tra fratelli sono da considerare come un’opportunità di esplorare le regole fondamentali dell’interazione umana (Freepik.com)

«Mio fratello ha ricevuto un regalo più bello!»

by Claudia

Hanno un tocco magico in più le Feste quando in casa ci sono dei bambini; un elemento apprezzato anche dagli adulti, questa magia, che si può però d’un tratto smorzare quando scoppia un litigio, magari perché il fratello maggiore ha ricevuto un regalo più grande oppure perché al piccolo di casa vengono accordate maggiori attenzioni da amici e parenti. Le rivalità tra fratelli riguardano, infatti, proprio il bisogno profondo dei bambini di avere l’esclusiva sull’amore dei genitori, in primis, ma pure degli altri familiari, mentre entrano d’altro lato in gioco fattori quali il rango e le lotte di potere per difendere la propria posizione.

Litigare però, durante l’infanzia, è assolutamente naturale e inevitabile; il conflitto è, difatti, una delle modalità di relazionarsi nella più tenera età e, a ben guardare, non solo. «Quando due persone condividono una relazione, che sia romantica, familiare, amichevole o professionale, è normale che emergano divergenze di opinioni, bisogni o valori, che possono sfociare in un conflitto, il quale in realtà può pure contribuire a mantenere sano il legame. Se affrontati con un approccio costruttivo, tali contrasti favoriscono, infatti, una comunicazione più autentica e una comprensione reciproca più profonda», afferma lo psichiatra, psicoterapeuta e psicoanalista Orlando Del Don.

Il tema dei risvolti positivi dei litigi acquista un’importanza tutta particolare durante l’infanzia, soprattutto nella relazione tra fratelli. Scontri e battibecchi in effetti rientrano nel normale sviluppo del rapporto e svolgono una funzione positiva di crescita, stimolando lo sviluppo dell’identità del singolo e delle sue abilità sociali ed emotive, come confermano studi e ricerche. Tra questi, citiamo il progetto «Toddlers Up», condotto dalla professoressa Claire Hughes del Centro per la Ricerca Familiare dell’Università di Cambridge esaminando lo sviluppo cognitivo e sociale di bambini tra i 2 e i 6 anni. Una delle conclusioni a cui è giunto lo studio riguarda proprio il fatto che avere fratelli ha un effetto benefico sullo sviluppo precoce del bambino, anche nei casi in cui il rapporto non è cordiale.

Anche se il litigare dei figli mette alla prova i nervi dei genitori, piuttosto che volerlo sedare nell’immediato, imponendo loro quasi di dover andar d’accordo, bisognerebbe aspettare qualche minuto e intervenire solo se necessario aiutando i contendenti ad ascoltarsi, per fare in modo che il confronto sia qualcosa di costruttivo e non di distruttivo. Per facilitare i genitori in questo compito, Protezione dell’infanzia Svizzera sottolinea alcuni dati che dovrebbero tener presente, e cioè il fatto che fratelli di età compresa tra 3 e 7 anni si scontrano in media 3,5 volte all’ora, tra 2 e 4 anni addirittura ogni dieci minuti. D’altro canto però, i fratelli tra i 3 e i 5 anni trascorrono insieme più del doppio del tempo rispetto a quello che passano con mamma e papà e, in generale, fratelli e sorelle lasciano un’impronta almeno altrettanto forte di quella dei genitori.

«La famiglia è il contesto in cui impariamo ad entrare in relazione con gli altri e i fratelli in particolare rappresentano un “laboratorio relazionale” unico, dove si affrontano le prime dinamiche di conflitto – spiega la psicologa Asia Margiotta – tra di loro gli scontri sono più frequenti rispetto ad altre relazioni e questo a causa della convivenza, della competizione per risorse condivise e della sicurezza del legame familiare». I litigi tra fratelli possono così essere considerati una sorta di «palestra» per relazioni sociali più ampie, offrendo ai bambini l’opportunità di esplorare le regole fondamentali dell’interazione umana. All’interno della relazione fraterna i piccoli sentono infatti di potersi «spingere» più in là rispetto a quello che farebbero con amici e compagni, sperimentando lo scontro acceso e le sue conseguenze, in un ambiente che sentono come protetto e rassicurante; dopo mezz’ora sanno inoltre che tutto tornerà come prima. «In questi conflitti emergono caratteristiche e inclinazioni dei bambini, come pure specifici interessi ed esperienze vissute. Il confronto permette così da un lato di sviluppare una propria identità, esplorando chi si è, scoprendo le proprie risorse e il modo in cui queste interagiscono con quelle degli altri, e dall’altro di iniziare a differenziarsi, imparando al tempo stesso a rispettare e adattarsi alle diversità altrui – commenta il dottor Del Don – dinamiche, queste, profondamente legate allo sviluppo della Teoria della Mente (Theory of Mind, TOM), ovvero la capacità del bambino di comprendere che gli altri hanno pensieri, emozioni e intenzioni diverse dalle proprie, che inizia a svilupparsi intorno ai 2-3 anni per raggiungere maggiore complessità verso i 4-5 anni». Concretamente, attraverso piccoli conflitti quotidiani, come il dover aspettare il proprio turno per un gioco, i bambini imparano a riconoscere che l’altro ha prospettive e priorità che possono differire dalle proprie. «La TOM emerge proprio quando il bambino impara a interpretare e rispondere ai desideri e alle emozioni altrui, integrandoli nei propri schemi di comportamento», continua lo psichiatra. Essendo questi primi esercizi di empatia e comprensione essenziali per lo sviluppo sociale ed emotivo, si capisce come le relazioni fraterne possano influenzare positivamente questo importante aspetto della crescita. «Tali esperienze aiutano i bambini a sviluppare una maggiore tolleranza alle frustrazioni, imparando a gestire e regolare emozioni intense come rabbia e insoddisfazione. Gradualmente, essi acquisiscono inoltre la capacità di esprimere il proprio disappunto, spiegare il proprio punto di vista, convincere, mediare e risolvere malintesi, competenze cruciali per le relazioni adulte», afferma Asia Margiotta.

Attraverso le liti, i fratelli esplorano poi dinamiche di potere, comprendendo come età, abilità o forza fisica possano influire sulle relazioni. «Generalizzando, i fratelli maggiori tendono a sviluppare ruoli di leadership o mediazione, mentre i minori apprendono le strategie dai primi. Questo li aiuta a navigare con consapevolezza le gerarchie sociali e a sviluppare una visione più complessa delle interazioni umane – commenta Del Don – durante la risoluzione dei conflitti, i bambini imparano inoltre che gli errori fanno parte delle relazioni e che perdonare è essenziale per ricostruire legami. Questa capacità di recupero emotivo non solo rafforza i rapporti fraterni ma costituisce una base solida – di nuovo – per affrontare le relazioni future».

Insomma, sotto vari aspetti, liti e conflitti fraterni, considerati superficialmente in modo negativo, svolgono un’importate funzione di crescita, sia in un’ottica personale che sociale. Ma cosa succede a chi di fratelli non ne ha? «Senza un confronto quotidiano con un pari, il figlio unico ha meno occasioni di apprendere abilità relazionali come la negoziazione, il compromesso e, appunto, la gestione dei conflitti. Sebbene queste competenze sociali possano essere sviluppate attraverso le relazioni con amici o colleghi, il processo avviene spesso più tardi e con una minore intensità rispetto a quanto accade in una dinamica fraterna – spiega la psicologa – d’altra parte, crescendo come unico figlio, si gode dell’attenzione esclusiva dei genitori, che, equivalendo a più tempo e risorse a disposizione, si traduce nell’opportunità di sostenere intensamente la crescita del bambino, incoraggiandolo a sviluppare interessi profondi e a esplorare appieno le proprie capacità. Ciò può favorire lo sviluppo dell’autonomia, che a sua volta diventa una risorsa preziosa in molte situazioni della vita. Inoltre, in assenza di fratelli, il bambino sviluppa maggiormente la capacità di intrattenersi da solo, che funge da stimolo per creatività e concentrazione. Insomma, che vi siano o meno fratelli, ogni configurazione familiare porta con sé sfide e opportunità».

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