Dalla cima del monte Pinchiarano, all’imbocco della Val di Susa, domina tutta la valle un imponente edificio religioso dedicato a una figura angelica che più di tutte si oppose al diavolo. Stiamo parlando del monumento simbolo del Piemonte, la Sacra di San Michele, che si trova vicino ad Avigliana non lontano da Torino.
Tutto ha inizio con un ex nobile, il conte Ugo di Montboissier, fattosi monaco alla fine del IX secolo d.C. che, volendosi redimere da un passato non proprio immacolato, affronta insieme ad altri monaci benedettini l’impresa di costruire questo monastero che in breve tempo diventerà luogo di sosta e preghiera per molti pellegrini. E così, nella Sacra di San Michele si susseguono stagioni luminose di grande civiltà religiosa sotto la guida dei monaci fino verso la fine del 1300, quando inizia la decadenza. La mala gestione del monastero porta la Casa Savoia e la Santa Sede ad affidare l’abbazia ai vescovi, ma questo non basta ad evitare il declino e poi la chiusura a metà del 1600.
Per due secoli la Sacra di San Michele rimane abbandonata a sé stessa, immersa nell’incuria e preda dei saccheggi che la conducono vicino alla totale rovina. Bisogna aspettare il 1836 per vederla iniziare a risorgere, quando viene affidata da Re Carlo Alberto di Savoia ai padri Rosminiani, che ancora oggi la custodiscono.
Nel 1994 viene dichiarata simbolo del Piemonte. Ma la sua fama non arriva solo dalla sua bellezza e dagli avvenimenti storici che l’hanno attraversata. Perché è proprio a questa abbazia che principalmente si ispira il famoso scrittore Umberto Eco per ambientare il suo best seller Il Nome della Rosa. Bisogna ricordare che Eco aveva trascorso a Torino i suoi anni universitari e che sicuramente aveva visitato la Sacra diventando poi una fonte di ispirazione per la sua location. Ma non solo, anche il frate del romanzo, Guglielmo da Baskerville, prende il nome dallo storico più antico del Sacra di San Michele, frate Guglielmo. E a guardarla da lontano, mentre ci si avvicina lungo la salita che conduce alla Sacra, le somiglianze con l’abbazia che si vede nel film o quella descritta nel romanzo, sono molte.
Così Umberto Eco la fa descrivere dal narratore del suo romanzo: «Come ci inerpicavamo per il sentiero scosceso che si snodava intorno al monte, vidi l’abbazia. Non mi stupirono di essa le mura che la cingevano da ogni lato, simili ad altre che vidi in tutto il mondo cristiano, ma la mole di quello che poi appresi essere l’Edificio […] la posizione inaccessibile era di quelle più tremende, e capace di generare timore nel viaggiatore che vi si avvicinasse a poco a poco».
E se questa solennità è già intuibile da lontano mentre domina solitaria la valle dallo sperone del monte Pinchiarano, diventa ancora più forte quando si arriva, dopo aver parcheggiato e un breve tragitto a piedi, sotto le mura, momento in cui si viene travolti dalla sua apparenza massiccia e dai suoi 26 metri d’altezza che svettano verso il cielo. Del resto è uno fra i più grandi complessi architettonici e religiosi di epoca romanica in Europa.
La visita turistica o spirituale che porta fino alla chiesa, cuore della Sacra di San Michele, inizia dopo essere passati per il portale d’ingresso dove sono scolpiti dei leoni per ricordare che sorvegliano il luogo sacro. Subito dopo ecco la prima grande emozione: lo Scalone dei Morti, una scala larga e ripida scolpita nella roccia che ha per tetto le volte in pietra di grandi archi. Il nome mette un po’ di soggezione, ma c’è un motivo: lungo questa scala, nelle nicchie che si trovano alle pareti, venivano seppelliti i monaci più importanti del monastero così come i grandi benefattori dell’abbazia.
Le pietre degli scalini sono lucide e consumate dal passaggio degli uomini durante i secoli e anche durante le giornate calde trasmettono una sensazione di freddo. Incoraggia a salire gli scalini la luce che si vede in altro e che passa attraverso un altro portale, quello dello Zodiaco. Ma prima di arrivare in cima è bello prendersi il proprio tempo, sedersi sugli scalini e guardarsi attorno nella pietra scavata a mano, oppure alzare lo sguardo verso l’alto per ammirare le volte e domandarsi in che modo più di mille anni or sono gli uomini abbiano potuto costruire tutto questo e con quanta fatica ci siano riusciti.
In cima allo scalone dei morti si attraversa il portale dello zodiaco e si tona alla luce del sole. Questo portale del XII secolo è forse l’opera più importante della Sacra di San Michele e sugli stipiti e sui capitelli sono scolpiti segni zodiacali e soggetti biblici (la cui descrizione è pure tanto decantata nel romanzo di Eco). Ma è anche da qui, subito dopo il portale che si può iniziare ad ammirare il panorama sottostante, i boschi sulle colline e la Dora Riparia, il principale fiume che attraversa la Valle di Susa. Ed è sempre da qui che, volgendo lo sguardo verso le sontuose scale che salgono e portano all’ingresso della chiesa, gli occhi incontrano gli Archi Rampanti, altro nome che evoca fascino e mistero.
Anche se sono più recenti perché realizzati ad inizio XIX secolo come opere di consolidamento, hanno un fascino e una geometria che quasi ipnotizza il visitatore. Sembra che si intreccino tra di loro, ma poi, spostandosi solo di poco, i quattro archi si stagliano nel cielo e creano una prospettiva di volte che invita a proseguire il cammino, salendo verso il portale romanico della chiesa. Prima di entrare ci si può fermare ancora e guardare il paesaggio dal piccolo terrazzo davanti all’ingresso, sedersi sulla panchina di sassi e contemplare l’ambiente che circonda l’abbazia. Guardare prima verso nord e poi verso sud e ricordarsi che la Sacra di San Michele si trova lungo la misteriosa Linea Sacra del Santo, una linea retta di duemila chilometri che tocca i sette santuari a lui dedicati.
La leggenda racconta che questa linea fu tracciata dal colpo di spada di San Michele nella sua lotta contro il diavolo per scacciarlo dal Paradiso. Coincidenza? Leggenda? Per molti è considerata una linea che tocca punti energetici e di grande spiritualità, che parte dal monastero di Skelling Michael in Irlanda e poi St. Michael’s Mount in Gran Bretagna, Mont Saint Michel in Francia, la Sacra qui in Piemonte, San Michele in Puglia, il monastero di San Michele in Grecia per finire con il monastero di Monte Carmelo in Israele.
Passiamo sotto al portale romanico ed entriamo nella chiesa. La luce arancione filtra dalle grandi finestre dietro l’altare dando una dominante d’oro a tutto l’ambiente. Un susseguirsi di stili richiama i vari interventi fatti per la sua costruzione dal 1160 al 1230 circa: dal romanico al gotico e ai lavori di restauro di inizio Novecento. Le tre navate centrali sono separate da grandi pilastri. Affreschi e opere del XVI secolo adornano le mura mentre lungo le pareti, in penombra, spuntano i grandi sarcofaghi dei monaci, costruiti nella classica pietra grigia. Così come le tombe della famiglia Savoia in fondo alla navata, di fronte all’altare.
È davvero grande la chiesa, mette quasi soggezione. Visitarla di domenica mattina, alle ore dieci, durante la funzione religiosa, rende l’esperienza ancora più suggestiva, perché è una messa accompagnata dal coro e i canti rimbombano e si espandono tra le navate creando un effetto e una suggestione unici. Oppure alla messa di mezzanotte di domani 24 dicembre…
Anche in questo caso è impossibile non pensare al Nome della Rosa e ai suoi due protagonisti, frate Guglielmo e il suo giovane aiutante, Adso de Melk, mentre cercano di risolvere il mistero al centro del racconto. Ma anche sedersi sulle panche e perdersi con lo sguardo nella semioscurità con i fasci di luce che entrano dalle aperture e ricordano le luci mistiche, provoca meraviglia e turbamento.
L’abbazia di San Michele riserva ancora una singolare leggenda: quella della Bella Alda. Dalla chiesa si può, infatti, andare direttamente in un altro ampio terrazzo dal quale ammirare, in basso, le rovine e la Torre della Bella Alda. Quello che rimane di queste mura in pietra che si sono salvate da incuria e saccheggi durante i secoli, una volta erano gli ambienti dei monaci. La leggenda dice che questa graziosa ragazza, per sfuggire alle violenze dei soldati di Federico Barbarossa si gettò dalla torre, venendo salvata da due angeli. Raccontò il fatto a tutto il villaggio ma nessuno le credette. Allora per vanità si butto di nuovo, ma questa volta non c’erano i cherubini a salvarla e morì ai piedi della torre.
Da questo terrazzo, oltre che ammirare nell’insieme le rovine e la torre si può scrutare tutta la valle e il panorama con le alpi Cozie e il Monviso che la fa da padrone. La strada che porta poi all’uscita permette di nuovo di passare in mezzo alle rovine, ma soprattutto dà l’opportunità di guardare dal basso le alte mura della Sacra. Una struttura che pare un misto tra una chiesa e un castello inserito in un paesaggio meraviglioso, una volta luogo di transito per pellegrini e oggi metà di visitatori.