Meditazione, preghiera e pratiche che portano a trascendere la dimensione materiale della realtà attivano configurazioni neurali specifiche. (Pixabay)

La dimensione «spirituale» del cervello

by Claudia

«Dottore, perché ci ammaliamo? E come facciamo a guarire?». Il dottor Gianluigi Marini dice di essere stato «letteralmente spiazzato» da questa domanda che un suo paziente gli ha posto all’inizio degli anni 90. Egli è attivo da trentanove anni come medico specialista in medicina interna generale e oncologia, occupandosi di emodialisi, oncologia e trapianti. «Allora non riuscivo a trovare una risposta, e decisi di cercarla in una “medicina altra”…». I suoi studi, approfondimenti e pratica di Medicina spirituale, parallelamente alla sua professione di medico, sono iniziati con un percorso che più avanti ci espliciterà. Ma per prima cosa Marini tiene a precisare: «Non tutti gli ambiti di Medicina complementare possono identificarsi come spirituale e ritengo che il termine Medicina spirituale identifichi la nostra apertura morale e mentale verso una dimensione superiore a quella del nostro corpo fisico, anche trascendente, dunque non necessariamente relativa alla religiosità». Si delinea il concetto di «cervello spirituale» che le neuroscienze stanno sondando sempre meglio, con sempre maggiori evidenze scientifiche. Queste ultime hanno pure spinto l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) a introdurre la definizione di «benessere spirituale» come «quarta dimensione» che permette di recuperare la dimensione biologica della spiritualità per gestire cervello e tempo, rivedendo così la definizione di salute come: «Una condizione di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non esclusivamente l’assenza di malattia o infermità».

Le neuroscienze stanno quindi dimostrando sempre meglio che la salute spirituale nasce dalla nostra biologia, e secondo i nuovi orizzonti scientifici è il cervello a generarla. Nulla di esoterico o strettamente legato a qualsivoglia credo religioso: autori come lo psicologo statunitense Daniel Goleman o lo psicologo e docente statunitense Howard Gardner (conosciuto per la sua teoria sulle intelligenze multiple) ritengono che l’elemento spirituale vada ben oltre l’ambito religioso e cognitivo e sia affine al bisogno di raggiungere una conoscenza più profonda e sensibile della nostra realtà, verso un benessere più elevato e lontano dall’ego e dall’ossessione delle cose materiali. I neurologi chiamano questo bisogno «coscienza egoica o limbica» perché, più che di mistico, si parla di emozioni e processi mentali ben precisi di cui è responsabile il nostro cervello. Sempre le neuroscienze indicano «una realtà che si trova proprio lì, nel nostro cervello e in una serie di strutture che, se stimolate, provocano subito dei cambiamenti nella nostra percezione e nel modo in cui ci sentiamo e percepiamo il mondo che ci circonda». Tutto è suffragato da neuroscienziati del calibro di Andrew Newberg, direttore di Ricerca presso il Myrna Brind Center for Integrative Medicine al Thomas Jefferson University Hospital di Philadelphia e autore del libro Principles of Neurotheology (Principi di Neuroteologia): uomini di scienza che hanno dimostrato come il cervello dei monaci buddisti, abituati da anni a praticare la meditazione, mostra un minore invecchiamento cerebrale, migliore memoria e conservazione delle informazioni, oltre a una maggiore resistenza al dolore.

Dal canto suo, il professor Pierluigi Rossi (specialista in Scienza della Alimentazione, in Igiene e Medicina preventiva) conferma che nella ricerca scientifica più attuale sta emergendo il ruolo della spiritualità come «determinante della salute umana» e la accoglie come novità interessante che «supera medioevali definizioni della spiritualità»: «Essa nasce dalla biologia del corpo umano, non è una “cosa” scesa dal cielo, ma la capacità che il corpo ha di trascendere la materia di cui è composto; essa prescinde dalla religione e dalla fede ed è determinante di salute».

Comunque, già nel 2016 la scoperta dell’area del cervello che ci consente di entrare in relazione con la nostra spiritualità ha messo in accordo scienziati e teologi sul fatto che, ad esempio, pregare o meditare fosse come una medicina: «Il raccoglimento attiva la funzione parasimpatica, riducendo frequenza cardiaca e pressione sanguigna, rafforzando la risposta immunitaria e abbassando i livelli ematici di cortisolo (l’ormone dello stress)». Newberg descrive cosa accade, osservandolo con la tomografia computerizzata a emissione di fotoni singoli (Spect): «Nel concreto, durante l’esperienza spirituale (intesa come preghiera solitaria o collettiva, meditazione, lettura di testi sacri o partecipazione a riti religiosi) il cervello “spegne” gli stimoli sensoriali che normalmente attingono informazioni dall’ambiente esterno (luce, rumori e odori), permettendo di concentrarsi sulla propria interiorità. I moderni esami diagnostici consentono di visualizzare che, oltre ad aumentare l’attività della corteccia prefrontale (ndr: la parte anteriore del lobo frontale che governa le emozioni), si mettono maggiormente in moto il nucleo caudato, l’insula e il giro del cingolo: tre centri cerebrali importanti per memoria, apprendimento e innamoramento. Fra gli effetti tangibili c’è l’aumento dei livelli di serotonina nel sangue, trasmettitore responsabile della regolamentazione di tante funzioni cerebrali e correlato ai disturbi dell’umore».

La medicina di domani sarà anche spirituale: è con un tocco di audacia che lo scorso mese di settembre Palliative Vaud ha dedicato la giornata delle cure palliative alla medicina integrativa, psichedelica e sciamanica e, per voce dello psichiatra e psicoterapeuta, professore ordinario all’UNIL Jacques Besson, ha sottolineato: «È giunto il momento di affrontare la questione della salute spirituale. Con pratiche che trascurano questa dimensione, la medicina attuale (dominata da un approccio materialista) non è sufficiente per una cura approfondita». Questo ha pensato, dopo gli interrogativi posti dal suo paziente, il nostro dottor Gianluigi Marini alla ricerca di quella «medicina altra» da integrare alla sua pratica medica: «Iniziai a studiare Ayurveda, la medicina tradizionale indiana all’Imperial College e poi all’Accademia Maharishi di Milano, fondando in seguito con colleghi una Scuola di Ayurveda per medici e operatori a Milano. Mi sono poi diplomato a una scuola di Medicina spirituale (Snowlion School), ed ebbi pure la fortuna di studiare con due importanti sciamani hawaiani, fino a scoprire la medicina spirituale di Bruno Groening, uno dei guaritori spirituali più importanti del nostro secolo».

Oggi egli applica «a rigore» queste conoscenze come una psicosomatica avanzatissima, piuttosto che un evento spirituale: «Dobbiamo osservare che qualsiasi nostro sforzo che trascenda la lettura fisica del corpo e delle malattie diventa un moto spirituale altamente auspicabile». È chiaro che le neuroscienze non accettano l’esistenza di entità soprannaturali e cercano anzitutto di comprendere le nostre motivazioni nel praticare attività che generano calma e benessere come yoga o meditazione: «Attività che liberano la dopamina nell’organismo, aumentando la connettività della corteccia prefrontale o potenziando la nostra plasticità cerebrale». Possiamo concludere che è ormai provato come l’essere umano non cerchi solo il benessere interiore, la calma mentale e il risanamento emotivo, ma anche i significati di un mondo che, in generale, fornisce più domande che risposte.

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