Foto di copertina

Ricordi, cani e scrittura intrecciati nel tempo

by Claudia

Per capire le ragioni profonde della scrittura di Sandra Petrignani è utile percorrere a ritroso la bibliografia dell’autrice romana fino al libro che nell’ormai lontano 1984 l’ha fatta conoscere in Italia: Le signore della scrittura, una serie di interviste a scrittrici italiane, edito dalla benemerita casa editrice La Tartaruga.

Se da un lato quel libro ha segnato un punto fermo nella rivendicazione di un’autonomia della scrittura femminile, dall’altro ci si stupisce di come in quegli anni fossero ancora attive tante personalità così interessanti (Romano, Ortese, Bellonci e Morante tra le altre), eppure sostanzialmente trascurate dalla critica.

Paradossalmente il successo editoriale di quel libro è dovuto anche all’accusa, infondata, all’autrice di essersi inventata l’intervista a Elsa Morante. In effetti nel 1983 la Morante era da tempo prigioniera di un male che le toglieva lucidità, per cui la Petrignani è dovuta ricorrere a un assemblaggio di interviste antecedenti, citate nel volume. Rileggere oggi quel suo primo libro significa ripercorrere la ricchezza di quelle esperienze, con l’avvertenza, tuttavia, che l’unica copia reperibile in Ticino è depositata presso gli Archivi riuniti delle donne di Massagno.

Ma venendo al suo ultimo lavoro, è stata avanzata l’ipotesi che i cani del titolo non siano che un pretesto (inteso in senso etimologico) per parlare d’altro. In effetti, convinto di avere per le mani un’autobiografia, il lettore è interdetto di fronte all’andamento ondivago del testo, che procede con un ritmo jazzistico in cui le divagazioni si alternano a punti fermi esistenziali.

Eppure i cani c’entrano eccome. Per esempio in una bellissima scena infantile dove l’autrice bisticcia con un’altra bambina (questione di uno scambio di figurine), ma per tutto il litigio non smette di accarezzare il cane dell’amica, il quale simbolicamente funge da entità taumaturgica (non a caso si chiama Artù). Un libro in cui si racconta di un’«età dell’oro» fatta di nascondigli segreti, catechismo, giochi proibiti e nespole rubate. E cani, molti cani, con il loro pelo folto così adatto per asciugare le lacrime o per fantasticare affondando le dita in quei tiepidi corpi mai sazi di carezze.

Per un bambino non c’è nulla di più reale delle proprie fantasie infantili. La ragazzina che poi diventerà scrittrice stringe un patto con il mondo animale: lei non avrebbe mai fatto un torto a nessun cane e in cambio sarebbe stata amata da essi, sentimentalmente più affidabili degli umani. Un rito di passaggio che sancirà il primato assoluto dei cani nella sua vita. E mentre scrive sente che ogni stagione della sua esistenza corrisponde all’arco vitale di uno dei suoi fedeli compagni. Contingenza biologica che diventa il criterio compositivo del libro: in ogni evento capitale della scrittrice, infatti, è sempre implicato un quadrupede.

Gli anni romani sono contrassegnati da frequenti traslochi e ogni quartiere è magicamente evocato in pochi tratti: le botteghe di Campo de’ Fiori, le rive alberate di Montesacro, i cineclub di Trastevere. E fino agli anni Ottanta del ventesimo secolo non era raro incontrare scrittori e artisti nei centri delle città (a Roma nei bar del Pantheon, a Milano a Brera). Proprio in uno di quei bar l’autrice sottopone ai «maestri» le sue prime prove di scrittura. E cerca di imporre la voce negletta delle donne in un campo dove il maschilismo imperava. La scelta del quartiere sembra dipendere dalla disponibilità di verde per far passeggiare i cani e da una stanza tutta per sé per le prime prove di scrittura. Perché amore per quelle bestiole e per la scrittura vanno di pari passo nella ragazzina. D’altronde chi possiede dei cani e ha pure un giardino appartiene alla schiera delle persone felici. Anche se sa che presto o tardi dovrà dire addio alle rose banksiae a cui tiene tanto.

Da una casa all’altra la seguono i libri (ovvio per una scrittrice), i suoi amati animali e una specchiera, oggetto-feticcio risalente alla bisnonna. Quest’ultimo diventerà lo strumento di una potente evocazione perché custodisce – così lei crede – l’anima di chi vi si è specchiato.

Si deve notare, a questo punto, l’illogicità del titolo, che segnala l’alterità del libro rispetto al canone autobiografico. Infatti sotto il velame di un testo memorialistico Sandra Petrignani ha costruito una raffinata narrazione-conversazione alla Arbasino, intarsiata di digressioni che rilanciano continuamente l’interesse del lettore; ciò che l’apparenta agli inattingibili modelli di Sterne e Walser. Ma qui si ragiona anche su quell’impulso misterioso che ci fa scrivere del nostro passato. Per paura di un oblio incombente? Per rivivere la felicità della verde età? E ha ancora senso provarci, dopo i capolavori del secolo scorso (Canetti, Nabokov, Yourcenar, Neruda, Modiano…)? Sul libro aleggia infine una domanda: quanto è veritiera un’autobiografia? Una risposta l’ha data Marcel Pagnol: «Ho scritto attenendomi scrupolosamente alla verità poetica».

You may also like

ABBONAMENTI INSERZIONI PUBBLICITARIE REDAZIONE
IMPRESSUM
UGC
INFORMAZIONI LEGALI

MIGROS TICINO MIGROS
SCUOLA CLUB PERCENTO CULTURALE MIGROS TICINO ACTIV FITNESS TICINO