La poesia, la violenza, la musica, i colori, i balli, la transessualità, il narcotraffico, l’amicizia, le armi e la famiglia. Sono solo alcuni degli elementi presenti in Emilia Pérez, il grande film di Jacques Audiard che è nelle sale della Svizzera italiana dal 16 di gennaio.
Un’epopea moderna e originale di quelle indimenticabili, che ti accarezza e allo stesso tempo ti scaraventa contro un muro emotivo per più di due ore. Un film che è già stato premiato a Cannes (con la palma della giuria e quella per le protagoniste), ha sbancato ai recenti European Films Awards di Lucerna e ha ottenuto ben dieci nomination ai Golden Globes.
Un film che, inizialmente, non doveva esser tale, ma un’opera lirica in quattro atti e che alla fine, con l’approfondimento dei vari personaggi ha cambiato strada e si è trasformato in settima arte. E che arte. Emilia Pérez è anche l’emblema più riuscito di una tendenza avvertita negli ultimi anni e che è un chiaro segnale della direzione che sta prendendo un certo tipo di cinema, che va oltre il postmoderno alla ricerca di nuove dimensioni e forme artistiche. E cioè, il miscuglio di generi, toni, atmosfere, livelli sensoriali e personaggi i quali, durante la visione, si trasformano letteralmente. Ma è anche un cinema-mondo, dove i personaggi non esistono più come tali, ma sono simboli di un’epoca. È il caso dei tre più bei film dell’anno: Anora (di cui abbiamo parlato sul numero del 18 novembre), The Substance di Coralie Fargeat e ancora di più di Emilia Pérez.
La sensazione avuta, dopo la prima visione, è stata complessa perché il film offre molti spunti di riflessione, molte emozioni contrastanti, radicali ed esagerati ma anche un forte desiderio di rivederlo.
Già l’inizio della trama è piuttosto sorprendente. Rita è un avvocato e lavora in uno studio legale di Città del Messico. Non è soddisfatta del suo lavoro e soprattutto è in collera per un sistema giudiziario corrotto. Un giorno viene rapita dal più temuto boss dei cartelli della droga, Manitas Del Monte, che le chiede di aiutarlo – essendo in pericolo di vita lui e la sua famiglia – a inscenare la propria morte. Ma non è tutto, perché le chiede di procurargli uno dei migliori chirurghi per cambiare completamente i connotati e diventare Emilia Pérez.
La bellezza di quest’opera sta nell’essere unica e diversa dalle altre. Certo, è piena di riferimenti alla cultura alta e bassa, di stili differenti e anche di canti e balli, ma non è un vero e proprio musical. È un film che, a volte, viene cantato e ballato; è un po’ diverso.
Ed è proprio la parte musicale il vero e proprio nucleo di Emilia Pérez sul quale vale la pena soffermarsi. Come detto, all’inizio il film doveva essere un’opera, e gli stessi compositori Clémont Ducol e Camille hanno precisato che «durante i primi incontri con Jacques Audiard, la forma era davvero incerta. Ma abbiamo parlato di musica, di danza, di cinema, di tante cose… e alla fine è diventata una commedia musicale». Tuttavia, il risultato non è una semplice e classica commedia musicale, in Emilia Pérez ci sono diversi aspetti che si contaminano. Anzitutto spesso i brani, anche pop, si mescolano ai dialoghi. In secondo luogo, i movimenti di camera (usando anche la steadycam per dare un senso di danza e di movimento armonioso alle scene) seguono perfettamente la coreografia diventandone parte integrante. Infine, abbiamo la lingua spagnola che sicuramente immette nella narrazione un ulteriore aspetto musicale e anche un po’ esotico. Una lingua che richiama alcuni generi precisi. Per esempio, le telenovele di cui il Messico è maestro. Un riferimento non casuale visto che il film, volutamente, riprende alcuni topos del genere (come la storia d’amore, la vendetta, la passione, eccetera) per mescolarli a una riflessione più alta come quella legata alla violenza maschile e alla questione della genitorialità, ma ancora in modo più profondo (o alto) alla questione del cambiamento. Un tema che è la base della transizione sessuale di cui è vittima o artefice il/la protagonista, ma anche del continuo mutamento formale del film. Come detto, passa da un genere all’altro, da uno stile noir a uno più allegro, dai colori caldi e diurni a quelli più freddi e oscuri.
Parole di elogio, le meritano le protagoniste. Su tutte Zoe Saldaña, l’avvocato che funge da collante tra i vari personaggi del prima e dopo trasformazione. Un’interpretazione a tutto tondo perché balla, canta e recita cambiando tono ed espressione in modo naturale e restando nel personaggio che è, sì, centrale, ma non chiede mai di essere protagonista. Anche Karla Sofía Gascón – attrice transgender che arriva delle telenovelas (a conferma di quanto scritto poco fa) – è riuscita a dare al personaggio maschile e femminile accenti e sfumature diversi. Così come Selena Gomez (star popolare e polivalente, apprezzata da autori come Woody Allen, Jim Jarmusch e Harmony Korine) è perfetta nel ruolo della moglie che diventa vedova.
Emila Pérez, uno dei film più belli dell’anno, ha iniziato il suo percorso con due premi a Cannes in maggio, passa ai Golden Globe il 5 gennaio, e sicuramente approderà anche agli Oscar il 3 di marzo. Nei nostri cinema, come detto, arriva il 16 di gennaio. Da non perdere.