Negli scorsi mesi ci eravamo soffermati sul rientro alle gare dell’imperatore dello sci alpino. Dopo un paio di slalom, Marcel Hirscher si è già ritrovato ai box. Rientrare, a 35 anni, dopo cinque anni di stop, in un circo bianco sempre più hi-tech, si è rivelata un’impresa al di fuori della portata di colui che aveva dominato la scena per un decennio. Diverso il discorso per l’ex norvegese Lucas Braathen che è stato fermo un solo anno. Il suo passaporto recita: nato il 19 aprile 2000. Sotto le insegne del Brasile, Paese di origine di sua madre, in questo primo scorcio di stagione, ha già dimostrato che in slalom e in gigante è molto vicino ai vertici delle discipline.
Oggi vorrei però concentrarmi sul rientro di due regine. Il primo, quello della sciatrice statunitense Lindsey Vonn, è stato massicciamente mediatizzato. Lo sci alpino sa essere molto sexy. E in questo processo di seduzione, la monumentale discesista originaria del Minnesota, ci sa fare. La quarantenne Lindsey ha contribuito a fare da cassa di risonanza al suo comeback, con una presenza asfissiante sui social media. Alternando momenti che esaltavano la fatica e il sudore nelle pesantissime sedute di allenamento in palestra, ad altri in cui lasciava emergere la sua sensuale femminilità.
Il ritorno alle gare della fondista norvegese Therese Johaug è invece passato sotto traccia, tranne che nel suo Paese, dove lo sci nordico è quasi religione di Stato. Therese era ferma da due anni e mezzo. Il tempo di diventare mamma e di avviare una fiorente attività imprenditoriale nel campo dell’abbigliamento sportivo. Lecito quindi pensare a un rientro inteso come veicolo promozionale del suo marchio. Magari anche, non lo escludo. Ma la trentaseienne campionessa sta facendo sul serio. Anzitutto va detto che ha curato la preparazione in modo maniacale. Ha lavorato come una forsennata. Pure lei documentando astutamente tutto il suo percorso di avvicinamento alle competizioni sui social media. Non a caso, già in dicembre, a Lillehammer, ha piazzato la doppietta imponendosi sia nella 10 km, sia nello skiathlon di 20 km a tecnica mista.
Therese è un personaggio controverso. Sa incantare col suo sorriso deflagrante e col suo portamento da scricciolo di 162 cm per 46 kg. Ma nasconde dentro di sé la furia di una combattente. Nella sua bacheca ci sono già quattro ori olimpici e quattordici titoli mondiali. Il resto sono briciole che quasi non fanno statistica. Questo fa di lei la regina dello sci di fondo. Alle spalle dell’imperatrice, la sua connazionale Marit Bjoergen, l’atleta più vincente della storia degli sport invernali. Tuttavia la Johaug sembra voler puntare al sorpasso. Ha capito anzitutto che nel suo Paese si stava creando un buco generazionale, che aveva ridato fiato alle rivali di sempre: svedesi, finlandesi e americane. Ma soprattutto, da grande predatrice qual è, ha sentito sia l’odore dei prossimi Mondiali, che si disputeranno proprio in Norvegia a Trondheim, sia quello dei Giochi Olimpici del 2026 di Milano-Cortina.
Therese ha un conto in sospeso: quei maledetti diciotto mesi di squalifica che l’hanno esclusa dai Mondiali del 2017 e dai Giochi del 2018, proprio quando era all’apice della condizione psicofisica. Una brutta storia di positività a un anabolizzante. «Era contenuto, in quantità infinitesimali, in uno stick per le labbra col quale stavo curando un herpes» aveva sostenuto l’atleta. «Si tratta di dolo» avevano replicato gli esperti. È una delle tante sanzioni mal digerite, recepite con profondo senso di ingiustizia, come era capitato, in una situazione analoga, al ciclista Alberto Contador. Tuttavia, si sa, «dura lex, sed lex» («La legge è dura, ma è legge»). Quindi, la squalifica te la porti a casa. Se hai risorse fisiche e mentali, reagisci e dimostri che sei forte, senza se e senza ma. Così sta facendo Therese Johaug. Il dominio nel recente Tour de Ski, l’ha proiettata in seconda posizione nella classifica generale, a pochissimi punti dall’americana Jessica Diggins. Ora si tratta di capire se la regina norvegese punterà alla sua quinta sfera di cristallo o se vorrà concentrarsi sui Mondiali, dove potrebbe dare la caccia a quattro o cinque medaglie d’oro. Ad ogni modo, la differenza tra obiettivo e risultato, per lei è una pura formalità. Volere è potere, è da sempre il suo motto.