(Catherine/Pixabay)

Gesti di solidarietà e di amore all’inferno

by Claudia

Ora sono nascosti in una stanza a Tunisi aspettando (di nuovo) un contatto per tentare la traversata via mare verso la Sicilia. Hanno 18 anni, sono marito e moglie e hanno con loro la loro bambina di 2 anni e Yappio. Sono di due famiglie non poverissime della Sierra Leone. Sono scappati per evitare alla bambina l’intervento di asportazione della clitoride (mutilazione degli organi genitali femminili) deciso dai loro parenti. Nell’ottobre scorso lui, Mohammed, esce di sera nella capitale della Tunisia per andare a comperare del latte e vede, per strada, un ragazzino nero che lo fissa terrorizzato. «L’ho trovato per strada – ci racconta al telefono – era solo, nudo e con le gambe bruciate. Può avere una decina d’anni. L’ho portato qui a casa. Non poteva rimanere solo fuori per strada la notte. Gli ho fatto alcune domande. Per fortuna veniamo dallo stesso Paese. Mi ha detto di aver perso entrambi i genitori nel Mar Mediterraneo e che non ha nessun posto dove andare, non ha nessuno. Lo abbiamo lavato, gli abbiamo dato dei vestiti e qualcosa da mangiare. Abbiamo cercato di parlare con lui per capire se ci fosse qualcuno, un parente, da poter rintracciare». Il ragazzino si chiama Yappio, appunto, si era imbarcato qualche settimana prima da Sfax insieme alla sua famiglia e ad altre persone. I suoi sono morti. Lui è stato salvato da un peschereccio dopo molte ore passate in acqua. Le bruciature sulle gambe sono state causate dalla mistura di acqua di mare e carburante del motore.

I due ragazzi che non sanno come comportarsi per aiutare il ragazzino telefonano a una ricercatrice italiana conosciuta a Tunisi, Ludovica G., che ci dice: «Ho cercato di individuare membri della sua famiglia o fare in modo che fosse preso in carico dai servizi di protezione dell’infanzia. Ma in Tunisia, per un bambino straniero senza documenti, l’assistenza si è dimostrata inesistente. Ho contattato una persona dell’Organizzazione internazionale per la migrazione, spiegando la situazione, gli hanno dato un primo appuntamento». Ecco il racconto di Mohammed: «Sono andato lì con Yappio, ma il numero con cui avevo fissato l’appuntamento non corrispondeva. Ho provato tante volte a suonare, nessuna risposta. Ero lì davanti al cancello con il bambino. Alla fine ho parlato con un dipendente dell’ufficio, mi ha detto che il mio nome e quello del ragazzino non erano sulla lista. Mi sono sentito molto male, per me e per lui. Sono andato due volte. La seconda volta è stata uguale. Dopo qualche ora di attesa siamo andati via». Il ragazzo che ha trovato Yappio continua: «Dopo alcune settimane siamo riusciti a contattare una zia che era a Kasserine (città della Tunisia centro-occidentale, ndr.). Ma non parlava dal suo telefono: da allora non siamo più riusciti a rintracciarla. Questo ragazzino solo aveva bisogno del mio aiuto, lo merita».

Ludovica G. spiega: «Sabato 30 novembre 2024 la coppia mi informa che la loro partenza è vicina. Lui mi dice che il giorno dopo sarebbe andato a pagare il viaggio per loro e Yappio. Dicono di avere un contatto sicuro che per 3 mila dinari tunisini li avrebbe fatti arrivare a Lampedusa. Il giorno seguente cerco di mettermi nuovamente in contatto con loro per assicurarmi che vada tutto bene. Non ricevono i miei messaggi. Insisto, ma nulla. Riprovo il giorno seguente e quello dopo ancora… Una sola cosa mi viene da pensare: hanno preso il mare e non ce l’hanno fatta. Mercoledì 4 dicembre arriva un messaggio su Messenger, è della ragazza: “Mio marito è stato rapito, non so niente di più. Sua madre ha ricevuto al cellulare questo video ieri. Lo picchiano forte e chiedono un riscatto”. Lei è disperata, mi inoltra il video dei soprusi inflitti al compagno, denudato, picchiato e ripreso mentre implora di lasciarlo andare. Non è chiaro chi siano le persone che lo tengono in ostaggio».

La madre dalla Sierra Leone invia un riscatto di 2000 dinari tunisini, circa 570 franchi, ma Mohammed non viene liberato. Passano alcuni giorni, nessuna notizia. Torna a casa il 9 dicembre e racconta: «Sono partito presto la mattina, verso un quartiere della periferia di Tunisi. Avevo un contatto sicuro di una persona che ci avrebbe aiutati a partire. Mi ha dato appuntamento in una piazzetta. Aspetto un’ora e nessuno si fa vivo, chiamo questa persona che mi dice che sta arrivando. Passa un uomo, mi chiede indicazioni, non so rispondere. Mentre cerco di aiutarlo a trovare la strada qualcuno mi prende da dietro. Mi ritrovo poco dopo in una grande casa. Non ero solo, con me c’erano altri due uomini e una donna. Ci hanno imprigionati. Ci hanno fatto spogliare, con i loro telefoni hanno cominciato a filmarci, chiedendo un riscatto alle nostre famiglie. Mia madre ha mandato subito i soldi. Mi avevano già rubato tutto: il telefono e 3 mila dinari che avevo con me per pagare la traversata. Durante i giorni di prigionia non ci hanno dato né da mangiare né da bere, ci hanno tenuti nudi. Hanno violentato una donna davanti a me. Io una notte sono riuscito a scappare. Fortunatamente sono stato trovato da un giovane ragazzo tunisino, ero in mutande, infreddolito e sotto choc. Il ragazzo mi ha aiutato, mi ha portato a casa sua. Mi ha dato da bere, da mangiare, dei vestiti. Come abbiamo fatto noi con Yappio».

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