Candidati alla Cancelleria tedesca (dall’alto, a sinistra): Sahra Wagenknecht, Alice Weidel, Friedrich Merz, Olaf Scholz e Robert Habeck (Keystone)

In Germania sta vincendo la paura

by Claudia

Trecento feriti, e la sesta vittima deceduta settimana scorsa. L’attentato di venerdì 20 dicembre al mercatino di Natale, nel cuore della città di Magdeburgo, è stato un inferno. Un gesto folle che ha gettato su tutta la Germania, come ha detto Frank-Walter Steinmeier, il presidente della Repubblica federale, «un’ombra oscura di tristezza e dolore». Ma il gesto assassino di Taleb Jawad al-Abdulmohsen, lo psichiatra 50enne, cittadino dell’Arabia saudita, sta avendo ripercussioni anche sulle elezioni tedesche indette, dopo il crollo del Governo Scholz, per il prossimo 23 febbraio. Subito dopo la strage al mercatino di Natale infatti Alternative für Deutschland (AfD), il partito di estrema destra guidato da Alice Weidel e Tino Chrupalla, è stato velocissimo ad urlare contro i musulmani, a chiedere l’espulsione dei migranti.

Il killer, ha detto Weidel nel suo comizio a Magdeburgo, «era un islamista, ed era pieno di odio contro noi tedeschi!». Tutte menzogne, ovviamente. Oggi sappiamo che il medico arabo da tempo sui social denunciava una fantomatica «islamizzazione della Germania», ed era persino simpatizzante di AfD. Ciò non toglie che, in tutti i sondaggi, il partito d’estrema destra raccolga ampi consensi (anche Elon Musk, con un controverso articolo pubblicato dalla «Welt am Sonntag», ha ribadito il suo sostegno alla formazione). A fine dicembre 2024 ad AfD andavano oltre il 18 per cento delle simpatie. Ben due punti in più della Spd del cancelliere Olaf Scholz, il quale alle politiche si ripresenta come candidato alla Cancelleria, ma con una Spd che ora arranca sul 16 per cento dei consensi (in alcuni sondaggi anzi è precipitata al 14 per cento).

A poche settimane dal voto, dunque, uno spettro si aggira per una Germania paralizzata dallo choc dell’attentato di Natale, e da una crisi che sta mandando in tilt l’economia tedesca: la realtà di AfD appunto, che rischia di diventare il secondo partito nel più grande Paese dell’Unione europea. Certo, dopo l’eclatante fallimento del «Governo-semaforo» di Spd, Fdp e Verdi, il nome del prossimo cancelliere probabilmente sarà Friedrich Merz. E l’attuale presidente della Cdu varcherà, a 69 anni, la soglia della cancelleria a Berlino forte di almeno il 30 per cento dei consensi. Al di là però del drammatico crollo dei socialdemocratici, e dell’ancora più vistosa crisi dei liberali della Fdp (che rischiano di non superare il quorum del 5 per cento), la questione decisiva resta la seguente: cosa spinge oggi tanti tedeschi ad affidarsi ad un partito così reazionario e di ultra-destra come Alternative für Deutschland? Alle recenti elezioni regionali in Sassonia e in Turingia (in quest’ultima regione AfD ha incassato oltre il 32 per cento dei voti), sono stati soprattutto i più giovani, cioè elettori fra i 18 e i 30 anni, a dare il loro voto al partito di Weidel.

Proprio in Turingia, lì dove AfD è più radicale e xenofoba, a votare il partito sono stati il 35 per cento dei giovani. E in Sassonia AfD ha raccolto il voto del 30 per cento dei più giovani. Politologi come Rüdiger Mass sostengono che, per i giovani tedeschi, «AfD è un partito “normale”, dato che loro non credono più alle classiche distinzioni tra destra e sinistra». A «normalizzare» l’avanzata dell’estrema destra c’è anche il fatto che, sui social, AfD non ha reale concorrenza: su piattaforme come TikTok o X sono le tesi estreme e demagogiche di Alternative für Deutschland a richiamare più follower e clic. Poi ci sono i fattori economici che portano, specialmente nelle regioni dell’est, voti a palate alla formazione di estrema destra: come la differenza dei salari, all’est e all’ovest del Paese e il disagio di lavori o pensioni sempre più precari. AfD, riassume la scrittrice Manja Präkels, «si impone con le sue tesi populiste lì dove le paure della gente sono più forti». Basta sfogliare le pagine dei giornali per accorgersi quali siano i dati concreti della crisi che sta scuotendo la Germania.

«Il numero dei fallimenti ha raggiunto il livello della crisi finanziaria» titolava il 6 gennaio scorso il settimanale «Der Spiegel». I casi delle «Insolvenzen» di piccole e medie aziende tedesche sono in effetti a dir poco allarmanti: oltre 1400 al mese sono state costrette nel 2024 a chiudere i battenti. Le notizie di licenziamenti di massa e chiusure di impianti alla Volkswagen, e dall’intero indotto delle 4 ruote, hanno finito per ratificare «una crisi congiunturale» del sistema tedesco. Come sintetizza Guido Baldi dell’istituto Diw berlinese: «Oggi la Germania è paralizzata dal punto di vista politico ed economico». A «paralizzare» il Paese al centro d’Europa è anche l’aumento della violenza nelle metropoli tedesche. Le statistiche della polizia registrano un incremento in particolare dei reati a sfondo antisemita: nel 2024 la polizia ha contato oltre 3200 di episodi di questo genere. Ma non sono solo i numeri dei reati che spaventano in questa spirale di violenza: l’antisemitismo, ci spiega Akiva Weingarten, il rabbino di Dresda e della Sassonia, «non è certo un fenomeno nuovo in Germania. Quel che ora più colpisce è che, a causa della situazione in Israele, non sia più un tabù qui in Germania mostrarsi antisemita in pubblico, odiare gli ebrei o accusarli per la politica israeliana».

Se questo è il clima diffuso, non stupisce che Friedrich Merz si stia lanciando in campagna elettorale sui temi sempre più scottanti di politica migratoria. Subito dopo l’attentato a Magdeburgo, Merz ha spiegato come la gente sia insoddisfatta della politica migratoria del fallito «Governo-semaforo». In un futuro Governo-Merz quindi, il diritto di soggiorno verrà automaticamente revocato ai migranti che compiono reati. «Vogliamo più sicurezza per i nostri cittadini», ripete Merz appena può. Hanno voglia i «compagni» della Spd, o gli alternativi dei Verdi, a rinfacciare alla Cdu «di rincorrere» la AfD nelle sue accuse indiscriminate contro gli stranieri. Di fatto Olaf Scholz, alfiere di una Spd allo sbaraglio, dovrà recuperare molti punti nella simpatia dei tedeschi: è vero che solo il 28 per cento degli interpellati ritiene che Friedrich Merz sarà un buon cancelliere; ma solo il 19 per cento pensa che Scholz farebbe meglio in un suo secondo mandato. Al confronto, il 27 per cento è convinto che Robert Habeck, il candidato dei Grünen, sarebbe un cancelliere migliore di Scholz. Non per niente la campagna elettorale della Spd – su cui il partito sta investendo 17 milioni di euro – si basa tutta su più vantaggi al consumatore, sgravi fiscali e pensioni più stabili.

Al motto di «Più per te, meglio per la Germania», Scholz promette un salario minimo di 15 euro all’ora; un fondo di 100 miliardi per rilanciare l’industria tedesca, e più tasse ai super-ricchi. Anche con questi temi però è arduo che Scholz ripeta il «miracolo» del settembre 2021, quando spuntò le politiche con il 25,7 per cento (e la Cdu della Merkel si fermò al 24,2). Le previsioni di Alice Weidel, la 45enne presidente di AfD, sono altre: «La maggioranza dei tedeschi vuole ora una coalizione blu-nera», ossia un Governo della Cdu e delle sue truppe di estremisti (blu è il colore di AfD). Merz ha giurato che la Cdu sarà «un muro insormontabile» contro ogni velleità degli estremisti. Più che probabile allora che le nuove elezioni porteranno al Governo di Berlino l’ennesima edizione della «GroKo»: una «grande coalizione» di Cdu e Spd, con i socialdemocratici partner di minoranza del cancelliere Merz. Certo, sarà forse la variante noiosa di un più originale Governo nero-verde, ossia della Cdu insieme ai Grünen. Ma pur sempre l’opzione più sicura e stabile in una Germania dilaniata da varie crisi, e davanti al rischio di un’estrema destra sempre più potente.

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