Albert Welti, Einladung zur Schlusskneipe (Kunsthaus Zürich, graphische Sammlung)

Le forme del fantastico tra sogno e realtà

by Claudia

«Le due fonti della sua maestria erano una forte, ostinata fantasia – nutrita da profonde fondamenta dell’anima e da un’antica volontà di forma»: sono parole di Hermann Hesse, amico di Albert Welti che negli anni è diventato il Sonderfall, il caso unico nella storia dell’arte svizzera di un artista «fuori tempo», a lungo dimenticato.

Welti nasce a Zurigo nel 1862, studia a Monaco e poi diventa assistente del suo maestro Arnold Böcklin. Figura importante, come quella del suo mecenate Franz Rose-Döhlau che gli garantirà il sostentamento per quasi tutta la sua vita in cambio della proprietà dell’intera opera: un contratto che vincola Welti anche nelle scelte stilistiche e artistiche. Dopo la Notte di Valpurga, Rose-Döhlau lo esorta a raffigurare meno nudità e a concentrarsi sulle vedute dei paesaggi del Sud.

Ma l’opera grafica e la tecnica dell’incisione restano un territorio di sperimentazione, in cui, come osserva nel saggio in catalogo Bice Curiger – che aveva già riscoperto l’anima «demoniaca» di Welti curando al Kunsthaus una sua mostra nel 1984 – manifesta il suo lato più sincero, antieroico e antimonumentale.

Una produzione grafica rimasta in ombra rispetto a quella del pittore ossequioso degli stili convenzionali dei maestri antichi (del Welti che firma un austero ritratto dei genitori in stile fiammingo), ora invece riproposta da Jonas Beyer, responsabile della collezione di grafica del museo, in un contesto più ampio compreso tra la fine del Settecento e l’inizio del Novecento.

Il «Wild Swiss» (così era noto in Gran Bretagna Welti) aveva raggiunto l’apice della carriera a cavallo tra due secoli e tra due mondi, coltivando la sua arte a margine della corrente principale dell’arte moderna in Svizzera dominata dalle figure di Hodler, Amiet e Giovanni Giacometti; l’anima di Albert Welti resterà sempre in bilico tra due poli, quello di un’esistenza tranquilla, piccolo borghese, che lo vede autore di molti lavori su commissione (come l’affresco per la sala del Consiglio degli Stati a Palazzo federale) e quello invece che lo vede assecondare una forza più «selvaggia», appartenente alla sua più autentica vena artistica, che lo porta a esplorare il versante oscuro e multiforme della dimensione del fantastico e del sogno, sospesa tra visioni apocalittiche e atmosfere simboliste.

Ed è nel bianco e nero della grafica, in particolare nelle varie tecniche di incisione, che il pittore svizzero si rivela uno sperimentatore senza sosta, con esiti che ne fanno un maestro accanto ad altri grandi artisti quali Rops, Klinger, Goya, Bresdin o Redon, le cui opere sono inserite nel percorso espositivo a comporre un dialogo a più voci, serrato e fluido al tempo stesso, che nell’insieme forma una costellazione eterogenea, ma compatta, di grande potenza visiva.

Un dialogo suddiviso per temi – i cavalli, la folla, i ponti, il sogno – con opere di formato variabile, da quello piccolissimo delle cartoline d’auguri e degli ex libris al grande formato; ma la dimensione non incide sulla forza di attrazione che sembra in grado di trascinare lo spettatore all’interno della scena; Welti infatti è un grande narratore per immagini del suo tempo, capace di sorprendenti intuizioni sul mondo che si stava affacciando con il nuovo secolo.

Nel capitolo dedicato al tema della «folla» troviamo, esposta insieme ai disegni preparatori che ci guidano anche nel percorso dall’idea all’esecuzione, la sua più famosa incisione, Die Fahrt ins XX Jahrhundert, (1899-1900), in cui è raffigurato il viaggio verso il ventesimo secolo come una sorta di carovana di personaggi gesticolanti, in cui si distingue un Cristo che sta per essere buttato giù da un grande carro che avanza su binari sospesi, retti dalle possenti braccia di giganti, illuminati da una figura a margine del disegno: un metaforico passaggio al nuovo secolo in cui sembra di sentire la sferragliante avanzata di questo carro verso un futuro pieno di incertezze, verso un vuoto (di valori?).

Uno sguardo disilluso, se non amaramente sarcastico, è quello che Welti sembra avere anche in Fortuna (che doveva preludere a un’altra opera, mai realizzata, intitolata Trionfo della stupidità), altro esempio del ritratto dettagliato di una folla animata da una cieca e scomposta energia, che sembra segnare, seppur con umorismo, lo sgretolamento di un’intera società, come quella raffigurata da Ensor nella celebre La Cathédrale (1896), in cui una cattedrale gotica domina su una moltitudine di figure, divise tra quella che sembra una parata militare e una macabra sfilata di Carnevale. Tutte incisioni che assumono il valore di compendi sociologici, precisi e acuti, come accade anche nel movimentato Ehehafen, un racconto caleidoscopico di scene sulle relazioni matrimoniali, che tutto sembrano, fuorché un «porto sicuro».

Albert Welti è stato capace di sondare, come il Klinger di Accordi, le profondità dell’io interiore, raccontando già le visioni dell’inconscio, in anticipo sulle scoperte della psicanalisi; ne è un esempio l’acquaforte intitolata Mondnacht (Notte illuminata dalla luna), la prima opera di Welti che ha colpito profondamente Herman Hesse. Sogno o visione? Rivelatoria è l’annotazione dell’artista trovata su una delle sue pagine di schizzi: «L’arte è sogno / chi vuole intendere di più si sbaglia». E nel regno oscuro dell’immaginazione emergono scene sinistre, popolate da creature bizzarre, come fantasmi, diavoli, scheletri e naturalmente streghe, che sono le protagoniste del dipinto capolavoro La notte di Valpurga, (1897), accostato alle sue versioni grafiche, non meno potenti, e a un Capriccio con strega (n. 66) di Goya, il maestro spagnolo ammirato dal pittore zurighese.

Osservando il dipinto si ha l’impressione di volteggiare insieme a questi corpi nudi capovolti in frenetiche capriole, di percepire lo stesso furore che il pittore ha trasmesso a queste creature diaboliche; perché in fondo davanti alle visioni di Welti ci sentiamo anche scagliati in un mondo, il nostro, che ci presenta oggi i suoi lati più oscuri.

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