Critici, amichetti criticoni

by Claudia

Un saggio di Aldo Grasso, uscito sulla rivista dell’Università Cattolica di Milano «Vita e Pensiero» (5+), ci parla della critica. Critico televisivo del «Corriere della Sera» da molti anni e collaboratore di questo giornale, Grasso (5½) sa bene di che cosa si parla quando si parla di critica, non solo perché la esercita, ma anche perché ne subisce gli effetti dai criticati che spesso, dall’alto della loro inebriante popolarità, si sentono in diritto di criticare il critico.

Lo ha fatto, per esempio, qualche mese fa, il giornalista Mario Giordano, che tiene una rubrica su Rete4 e che Grasso ha definito «un boy-scout invecchiato», una specie di «indignato speciale» demagogico e populista. Piuttosto che incassare e tacere, Giordano ha fatto quel che non bisognerebbe mai fare: ha voluto contestare il critico «trombone». Per meritarsi un 1, avrebbe dovuto dire non «trombone» ma «professorone» del «giornalone», tra le formule pseudo-dispregiative più cretine del nostro tempo: suo malgrado non l’ha detto e dunque deve accontentarsi di un 2.

Ma veniamo all’intervento di Grasso sulla critica, che muove da un gran libro dello scrittore, grecista e saggista Daniel Mendelsohn. Si intitola Estasi e terrore (6-), è stato pubblicato di recente da Einaudi e propone un’equazione che fa piazza pulita di tutte le simil-critiche da social network. Considerato che una critica deve arrivare a esprimere un giudizio autorevole, la formula è questa: COMPETENZA + GUSTO = GIUDIZIO SIGNIFICATIVO. La cultura o l’erudizione vanno coniugate con quella sensibilità estetica che chiamiamo gusto. Va da sé che il gusto può essere affinato dalla cultura, dallo studio, dalla conoscenza.

Mendelsohn racconta che un giorno a pranzo l’editor di Simon & Schuster, una delle case editrici statunitensi più prestigiose, gli disse: «C’è solo una cosa peggiore di una stroncatura stupida, un elogio stupido». È vero che i giornali sono pieni di elogi stupidi e che i social strabordano di stroncature stupide (aggressive, immotivate, aprioristiche) quanto di elogi altrettanto stupidi. Quasi a sminuire il proprio impegno, Grasso afferma che «la vera critica può insegnare poco, non è normativa, non è orientativa, non è pedagogica». E conclude che in definitiva non serve a nulla.

Personalmente sono certo del contrario: nel marasma eccessivo e indistinto, la critica severa è sempre più socialmente necessaria. Thomas Mann considerava addirittura la critica come «l’origine del progresso e della civiltà».

Il successo di vendita o di ascolti è ciò da cui il giudizio del critico dovrebbe rigorosamente prescindere. Tuttavia, oggi spesso i critici (letterari o politici) che non hanno l’elogio facile vengono ridotti a criticoni, «rosiconi» frustrati o invidiosi. Il principio è: se mi critichi è perché sei invidioso del mio successo… Uno che se ne intendeva, come Giovanni Raboni, sosteneva invece: «Importante sarebbe che la critica dicesse di tutti i libri che contano, in modo pacato, disteso e motivato, tutto il male – ma anche, quando è il caso, tutto il bene – che è giusto e utile dirne». «Giusto e utile», appunto (6). Certo, ci vuole un minimo di coraggio, la forza di non assecondare lo spirito dei tempi e l’opinione della maggioranza.

«Amichettismo» è uno dei neologismi meno spregevoli dell’anno che ci siamo lasciati alle spalle: è il criterio per cui la vicinanza annulla ogni obiettività e fa prevalere l’adesione aprioristica nelle recensioni, nella promozione televisiva, nell’assegnare i premi, nell’invitare ai festival eccetera. Qualcosa che somiglia all’astuta (e vile) solidarietà di clan.

E già si vede all’orizzonte la parola del nuovo anno in corso. Non un neologismo, stavolta, ma un vocabolo antico come l’uomo, che esalta la vigliaccheria trasformistica: «opportunismo». Quello che suggerisce a Zuckerberg (1 – al coraggio civile) e a Bezos (idem) di salire sul carro di Trump. E che spinge Meloni (idem) a correre tra le braccia di Musk e poi, per sicurezza massima, tra quelle di Trump ancora prima dell’insediamento. Ovviamente ci sono ancora undici mesi per verificare l’andazzo. Speriamo che se ne possa parlare a guerre concluse (almeno quelle in Ucraina e in Medio Oriente).

Ma ogni guerra, come scrisse il poeta greco Anacreonte (5½), risparmia non il coraggioso ma il codardo. Non soltanto i soldati (la cui viltà sarebbe anche umanamente comprensibile), ma i commentatori, cioè i critici del nostro tempo.

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