Nel biennio 2020/2021 le misure messe in atto per bloccare la pandemia hanno inibito il normale passaggio di agenti virali e batterici a livello delle vie respiratorie (Freepik.com)

Il Covid ha cambiato il nostro sistema immunitario?

by Claudia

Oggi è di molti la percezione di ammalarsi maggiormente di influenza e in modo più pesante rispetto al periodo pre-pandemico. Sensazione certo sostenuta dal fatto che, durante gli anni 2020/2021, le misure atte a contrastare il Covid hanno prodotto un periodo di calma e oggi ci facciamo caso maggiormente. «Bloccando gli scambi naturali fra le persone, la pandemia ha forzato l’umanità nel creare una situazione di vita anomala e artificiosa, e questo anche a livello di germi patogeni (virus e batteri). Nel biennio 2020/2021 le misure messe in atto per bloccare la pandemia (distanziamento sociale, mascherine, maggiore igiene delle mani e lockdown) hanno inibito quello che deve essere il normale passaggio di agenti virali e batterici a livello delle vie respiratorie. La minore circolazione di patogeni ha fatto sì che in quel periodo la popolazione si sia ammalata di meno».

Da noi sollecitato a tornare sul tema della pandemia Covid per aiutarci a fare chiarezza sul «dopo», il dottor Christian Garzoni riflette sul fatto che durante la pandemia il sistema immunitario ha avuto meno contatto con i virus respiratori che normalmente incontra (e si allena regolarmente a combattere) soprattutto durante l’inverno: «Non dobbiamo dimenticare che l’incontro regolare del nostro sistema di difesa immunitaria con virus e batteri gli permette di mantenere una sorta di memoria per riconoscerli e un certo “allenamento e prontezza” a combatterli».

Concetto che potrebbe sembrare semplicistico e perciò dobbiamo ricordare la complessità del nostro sistema immunitario che, come spiegava l’immunologo e ricercatore professor Carlo Chizzolini da noi incontrato nel 2020, «oggi è protagonista involontario, ma non dobbiamo dimenticare che si tratta del nostro scudo naturale alle aggressioni esterne e vanta pure una memoria da elefante». Niente paura né pregiudizi, quindi, perché il nostro sistema di difesa reagisce agli agenti patogeni come sa fare e non ne nega certo l’esistenza, solo che necessita di incontrarli costantemente, ricorda Chizzolini: «Il sistema immunitario è fra i più complessi del nostro organismo (un po’ come il cervello); la sua assenza o i suoi difetti importanti sono incompatibili con la vita. È perciò il nostro scudo naturale alle aggressioni esterne senza il quale nessuno sopravvivrebbe a lungo; è un sistema di difesa del nostro organismo che riconosce con precisione segnali di pericolo attraverso i suoi campanelli d’allarme che lo spingono ad attivarsi quando intuiscono che sta arrivando qualcosa di potenzialmente pericoloso (virus, batteri, altri agenti patogeni)».

Di conseguenza, il dott. Garzoni ci ricorda che entrare in contatto con agenti patogeni come i virus influenzali è tanto inevitabile quanto necessario per mantenere attivi memoria e allenamento delle nostre difese: «Vi sono patogeni dei quali le nostre difese conservano una certa memoria pur senza entrarvi in contatto frequente, mentre per altri l’allenamento all’incontro abituale e regolare permette alla memoria di essere sempre viva, attiva e rapidamente efficace. La tendenza ad ammalarsi aumenta quando questa memoria diminuisce, ma essa non si cancella mai del tutto ed è per questo che ci sa proteggere da infezioni gravi e mortali». Lo specialista porta ad esempio la differenza fra virus respiratori e altri tipi di virus: «Se hai contratto il morbillo, o ne sei vaccinato, sarai protetto a vita. Diverso è per i virus respiratori che sono moltissimi e mutano un po’ di anno in anno. Ciò significa che, giocoforza, è normale che ci si potrebbe ammalare un po’ tutti gli anni, ma con infezioni non gravi».

Sembrerebbe che ammalarsi sia comunque meglio di vaccinarsi ma non è così, spiega Garzoni entrando senza giudizio o pregiudizio (e nel modo più scientifico possibile) nel tema delle vaccinazioni: «Per tenere allenato il sistema immunitario, il vaccino dell’influenza fa tanto bene quanto lo fa ammalarsi davvero. Però il vaccino comporta molti meno effetti collaterali e questo ha un peso ancora maggiore per le persone dalla salute vulnerabile o per le persone anziane, per i quali il virus può essere anche mortale». Lo spiega il cosiddetto «effetto buster»: «Se faccio il vaccino influenzale ogni anno, il sistema immunitario riconosce il patogeno perché sarà ben allenato, anche se i virus respiratori mutano sempre un po’ e non è detto che poi si entri in contatto esattamente con il virus per il quale si sia stati vaccinati. Comunque, ci ammaleremo in modo più lieve». Senza dimenticare che per altri virus molto frequenti non ci sono vaccini perché sono poco pericolosi, o ce ne sono troppi ceppi e non si riesce a produrre un vaccino efficace: «Ad esempio, il Rhinovirus (raffreddore) è molto fastidioso ma non esiste vaccino; ci si ammala anche più di una volta all’anno per via dei vari ceppi; fa quindi parte della natura delle cose che in inverno siamo confrontati con tanti virus e, di conseguenza, ci ammaliamo». Ciò non significa che ammalarsi sia salutare: «Però si deve considerare l’ineluttabilità del bisogno naturale di allenare le nostre difese dell’organismo dagli agenti patogeni dai quali ci dovranno difendere, sia attraverso il vaccino (che, ricordiamo, protegge da decorsi con effetti collaterali gravi) sia nell’incontro con il virus stesso».

Dopo aver compreso un po’ meglio la complessità e il funzionamento delle nostre difese immunitarie, chiediamo al dott. Garzoni una lettura dell’odierna percezione comune di ammalarsi di più: «Nel 2020/21 ci siamo dovuti proteggere e ci siamo ammalati meno a causa, dicevamo, delle misure messe in atto (eravamo chiusi in casa, non avevamo contatti e scambi naturali di una situazione di vita normale). Nel 2022, e un po’ nel 2023, la tendenza mostra che nei Paesi occidentali ci si ammalava di più dei virus respiratori più frequenti (influenza, virus RSV) rispetto all’epidemia di Covid. Un aumento temporaneo in quanto quest’anno i casi sono tornati stabili e paragonabili “all’era pre-Covid”. Una delle ipotesi riguarda il cosiddetto “debito immunologico” che, di per sé, non contempla necessariamente casi estremamente gravi, ma è come se il sistema immunitario per un paio d’anni abbia perso una parte di allenamento, così come il calciatore professionista reduce da un incidente che per un paio di mesi è più debole degli altri, ma poi recupera come prima». Dati alla mano, la percezione di ammalarsi di più e più gravemente resta tale: «È certamente sostenuta dal fatto che per un paio d’anni abbiamo avuto un periodo di calma “artificiale” per le misure attuate; oggi notiamo semplicemente la differenza del ritorno alla normalità». Va ridimensionata pure la responsabilità attribuita al Covid: «Oltre al debito immunologico, l’ipotesi che il Covid abbia contribuito a una sorta di indebolimento del sistema immunitario non trova riscontro negli studi o nelle evidenze scientifiche». E pure additare il vaccino lascia il tempo che trova, sebbene «si comprendono i motivi di questa falsa percezione, dettati soprattutto da una comunicazione che sarebbe dovuta essere migliore».

Il professor Carlo Chizzolini, d’altronde, già nell’era Covid aveva espresso alcuni spunti di riflessione: «Ciò che ci pare un flagello nuovo, non lo è per il nostro sistema immunitario, meravigliosamente evoluto e funzionante proprio per affrontare situazioni come queste. Disponiamo di un sistema di difesa programmato a combattere proprio questi “nemici” e lo fa con un interesse di sopravvivenza per la specie, più che individuale».

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