La storica stretta di mano, nel 1993, fra il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin (a sinistra) e Yasser Arafat. Tra i due leader Bill Clinton (Keystone)

Una coesistenza difficile, se non impossibile

by Claudia

Una tregua ha sospeso (o quasi, vedi operazione «Muro di ferro» di Israele in Cisgiordania) le ostilità nella Striscia di Gaza, e una volta ancora il conflitto fra Israele e Palestina è affidato a un problematico processo di pace. Si vedrà fra alcune settimane, al termine della prima fase dell’intesa, se la novità nasconde dentro di sé il prezioso tesoro della pace. Purtroppo la storia del Medio Oriente ci costringe al pessimismo: come mettere d’accordo due controparti separate da un pregiudizio così radicale? Ci sono di mezzo due visioni opposte. Secondo quanto ci racconta la politologia, gli elementi costitutivi di uno Stato sono un territorio, un popolo e un sistema legislativo. Ma che fare quando sullo stesso territorio sgomitano due popoli, ognuno dei quali desideroso di localizzarvi la propria legge?

È proprio questo il caso di quella tormentata parte del mondo nella quale convivono due gruppi che le vicende della storia hanno reso nemici. Sono contrapposti per etnia, religione e cittadinanza: da una parte ebrei che sono insieme israeliti e israeliani, dall’altra arabi che si riconoscono nella tradizione musulmana e nell’identità palestinese. La loro coesistenza così difficile da rasentare l’impossibilità ha provocato quattro guerre e un diabolico intreccio di sanguinoso terrorismo e spietata repressione, ha reso il Medio Oriente l’area più infiammabile del pianeta e da sempre tiene il mondo col fiato sospeso.

Eppure la diplomazia si è sempre affaccendata attorno a quella che viene definita «questione palestinese». È impossibile dimenticare quel settembre 1993, quella stretta di mano fra il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin e Yasser Arafat, il presidente dell’OLP che aveva proclamato l’indipendenza della Palestina, davanti a un raggiante Bill Clinton, il presidente americano che aveva scommesso sulla pace. Le controparti avevano appena firmato gli accordi negoziati segretamente a Oslo, e la grande disputa mediorientale sembrava finalmente archiviata. Ma l’illusione durò poco, giusto il tempo necessario agli intransigenti per affilare le armi e riprendere la lotta. Rabin uscirà da questa vicenda con il premio Nobel per la pace e con una condanna a morte da parte della destra sionista: pagherà infatti con la vita, vittima di un nazionalista israeliano, la sua volontà di districare finalmente il nodo palestinese.

Non era la prima volta che davanti alla Casa Bianca di Washington statisti ebrei e arabi celebravano significativi progressi nel secolare dissidio che per interminabili decenni ha insanguinato il Medio Oriente. Quattordici anni e mezzo prima degli accordi di Oslo, precisamente nel marzo 1979, un altro primo ministro d’Israele, Menachem Begin, e il presidente egiziano Anwar al-Sadat si scambiarono una storica stretta di mano in quel luogo simbolico davanti al presidente degli Stati Uniti, all’epoca Jimmy Carter. Sadat e Begin avevano firmato quello che per decenni era parso impossibile, un trattato di pace fra Israele e la massima potenza militare del mondo arabo. Le due delegazioni lo avevano negoziato in rigoroso segreto nella quiete protetta di Camp David. Per effetto di quel trattato l’Egitto recuperò il Sinai, che gli israeliani avevano occupato nell’ottobre del 1973 durante la guerra dello Yom Kippur.

La pace di Camp David pose fine al coinvolgimento diretto degli Stati arabi nella lotta contro Israele. Quattro guerre erano state combattute, con un bilancio impressionante di lutti e devastazioni. La prima era esplosa nel 1948, subito dopo la proclamazione dello Stato d’Israele da parte di David Ben Gurion sulla base di una risoluzione delle Nazioni Unite che spartiva la Palestina in due Stati e prevedeva per Gerusalemme uno statuto speciale. Accettata dagli ebrei, questa sistemazione fu respinta dal mondo arabo nel suo insieme. Contrari alla spartizione della Palestina alcuni Stati, l’Egitto, la Siria, la Transgiordania, l’Iraq e il Libano, invasero in armi la nuova creatura politica. Il neonato Israele resse l’urto e le sue forze armate penetrarono a loro volta nei Paesi nemici. L’anno dopo i trattati di pace assegnarono allo Stato ebraico più territorio di quanto fosse previsto dalla risoluzione Onu. In particolare gli concessero la preda più ambita, Gerusalemme ovest.

A dare un drammatico contenuto demografico alla nascente questione palestinese alcune centinaia di migliaia di profughi arabi si rifugiarono negli Stati confinanti, in pratica destabilizzandoli al punto da provocare reazioni violente come il «Settembre nero» in Giordania, che a sua volta destabilizzò il Libano dove i profughi in fuga da Amman avevano cercato scampo. Il conflitto Israele-Palestina coinvolse così la «Svizzera del Medio Oriente», come il Libano era stato chiamato fino a quel momento per la sua florida pace sociale e la pacifica coesistenza interreligiosa. Non a caso si affacciava in quegli anni alla ribalta delle cronache una carismatica figura di uomo di guerra, il generale israeliano Moshe Dayan, che avrà un ruolo centrale nei conflitti seguenti. Negli anni Settanta e Ottanta del Novecento si estese il ricorso al terrorismo da parte di militanti palestinesi divisi fra numerose organizzazioni. Nello Stato ebraico gli arabi erano ormai rimasti in netta minoranza.

La seconda guerra è quella del 1956, quando la Gran Bretagna e la Francia cercarono di contrastare la nazionalizzazione del Canale di Suez voluta dal presidente egiziano Gamal Nasser. Alleate degli anglo-francesi, le truppe israeliane attraversarono il Sinai fino al Canale, ma poi l’intervento di Washington e Mosca, per una volta uniti nel segno della pace, riuscì a bloccare il conflitto. Sarà la terza guerra, chiamata dei sei giorni e combattuta nel giugno del 1967, ad apportare alla regione i più significativi mutamenti e a proiettare la questione palestinese sul gradino più alto dei contenziosi internazionali. Al termine di quel conflitto scaturito da un blocco navale egiziano, l’esercito d’Israele guidato da Dayan occupò anche Gerusalmme est, la Cisgiordania, la Striscia di Gaza, il Golan e il Sinai. Solo quest’ultimo territorio sarà restituito con l’intesa di Camp David.

A questo punto Arafat, al timone dell’OLP che aveva riunito buona parte del fronte palestinese, si rese conto che bisognava sparigliare le carte: incurante delle molte opposizioni interne riconobbe lo Stato d’Israele e il suo diritto all’esistenza. Lo fece nel 1993 con una comunicazione ufficiale al primo ministro Rabin, sulla base degli accordi nel frattempo raggiunti a Oslo. Il trattato che ne conseguì fu al centro dell’intesa siglata davanti al presidente Clinton. Purtroppo l’illusione durò poco, il conflitto riprese vigore con la resistenza degli oltranzisti israeliani che portò alla morte di Rabin e i ripetuti episodi di terrorismo brutalmente repressi. Fino al tragico ottobre del 2023, con il massiccio assalto di Hamas e la successiva reazione israeliana nella Striscia di Gaza, che non pochi osservatori definiscono un genocidio.

You may also like

ABBONAMENTI INSERZIONI PUBBLICITARIE REDAZIONE
IMPRESSUM
UGC
INFORMAZIONI LEGALI

MIGROS TICINO MIGROS
SCUOLA CLUB PERCENTO CULTURALE MIGROS TICINO ACTIV FITNESS TICINO