Ne "Le mille e una Italia" di Guido Arpino, Riccio arriva in un’osteria della campagna fiorentina, dove tre uomini irsuti giocano a carte con Machiavelli (Immagine IA)

Giocare a briscola nello spazio profondo

by Claudia

Alcuni libri ritornano quando meno te lo aspetti. Magari credi di averli dimenticati, ma qualcosa fermenta nell’ombra. Finché una parola, uno sguardo, un evento minimo – la luce che cambia in una stanza, l’arrivo di un treno, una partita a carte – ti riporta un personaggio perduto. A me è accaduto con Niccolò Machiavelli.

Non parlo dell’uomo vissuto fra il 1469 e il 1527, e nemmeno dell’autore del Principe o della Mandragola. Il Machiavelli che mi è tornato in mente appare come personaggio in un romanzo di Guido Arpino: Le mille e una Italia (1960; Lindau, 2011). L’avevo letto a scuola, in seconda media. Racconta la storia di Riccio, un ragazzo siciliano che attraversa l’Italia per raggiungere suo padre al traforo del Monte Bianco. Nel percorso s’intrecciano la storia e la geografia, tanto che Riccio incontra uomini e donne celebri di varie epoche. Nella campagna intorno a Firenze si ferma in un’osteria dove quattro uomini giocano a carte. Tre sono grossi, rozzi e irsuti, mentre il quattro è più minuto e dall’aspetto signorile. Gli energumeni schiamazzano e giocano in maniera istintiva. Il quarto invece borbotta fra sé lunghe elucubrazioni tattiche, pensando a quale sia la mossa migliore. L’oste si rivolge a lui chiamandolo «signor Machiavelli».

Alla fine, nonostante i suoi piani tortuosi, Machiavelli viene sconfitto: «Tutti i suoi calcoli si svelarono deboli e astrusi di fronte allo schieramento di quei tre omaccioni, che avevano in mano carte buone. […] “Signor mio, paga lei le bottiglie,” dissero poi all’uomo che si lisciava la barba, pensieroso, con le delicatissime dita. Il signore assentì, senza neppure guardarli. Il suo occhio mirava lontano, nero e vellutato, occupato in strategie che quei forzuti miserabili non avrebbero mai potuto capire».

È evidente l’ironia di Arpino, che ritrae il grande politico mentre subisce l’ennesimo rovescio della fortuna. Ho ripensato a questa scena durante una partita a Luz (Taiki Shinzawa, Iello 2024). È una variazione della briscola per 3-5 partecipanti: c’è l’obbligo di rispondere al seme, chi gioca il valore più alto vince, un seme conta più degli altri. Con una particolarità: i giocatori guardano solo il dorso delle proprie carte, colorato secondo il seme. Io potrò sapere, per esempio, di avere quattro carte rosse, ma senza distinguerne i valori; in compenso, conoscerò le carte degli altri giocatori. Con queste premesse dovrò fare una previsione sulle mani che m’impegno a prendere, pur senza vedere l’arsenale di cui dispongo. Luz mette allegria: è impagabile il brivido di posare una carta scoprendo solo in quel momento il suo valore. Bisogna fare previsioni, azzardare ipotesi, studiare gli occhi degli avversari cercando indizi… in poche parole, ci si trova in una situazione simile a quella del povero Machiavelli di Arpino.

La scena del romanzo è ispirata probabilmente dalla Lettera a Francesco Vettori, scritta nel 1513, nella quale Machiavelli racconta all’amico i pomeriggi passati a «ingaglioffirsi» all’osteria e gli annuncia la prossima pubblicazione del Principe. Quando ho ritrovato il romanzo e ho riletto la scena, mi sono chiesto quale gioco avrei potuto suggerire a Machiavelli e agli «omaccioni». Se amavano le carte, forse avrebbero apprezzato The crew: alla scoperta del pianeta Nove (Thomas Sing, Kosmos 2019; Giochi Uniti, 2020). È una variante cooperativa della briscola, che detto così suona come un paradosso. Eppure funziona: i partecipanti (da 3 a 5) devono compiere una serie di missioni di difficoltà crescente, rispettando alcune condizioni (per esempio: un certo giocatore deve prendere una certa carta; anche se aiutato dagli altri, non è sempre facile). In questo modo, almeno, Machiavelli e i suoi amici d’osteria avrebbero perso o vinto tutti insieme.

The Crew è ambientato nello spazio: i giocatori sono astronauti che devono imparare a comunicare in maniera tacita, per poi imbarcarsi insieme alla scoperta di un nuovo pianeta. Non posso fare a meno d’immaginare Machiavelli e i suoi nerboruti compagni a bordo di un’astronave diretta verso l’ignoto interstellare, oltre le più remote galassie. Di certo l’autore fiorentino avrebbe apprezzato. Infatti s’interessava di tutto, era curioso e dotato di una mente aperta. Così lo descrive lo studioso Maurizio Viroli: «Ama vivere di cose gravi e leggere. Pensa che nella vita ci debba essere posto per le une e per le altre. Ritiene in questo di seguire la natura e non si cura del giudizio dei moralisti e dei noiosi, per i quali la vita deve essere rivolta sempre alle cose importanti e serie» (Il sorriso di Niccolò, 1998; Laterza 2018).

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