Il 2024, oltre ad essere stato l’anno delle guerre, è stato l’anno dell’intelligenza artificiale che affascina e intimorisce (IA). A fare da trait d’union tra queste due parole – guerra e IA – ce n’è però una terza: drone, parola che deriva dall’inglese e significa «fuco». Il suo acronimo, in inglese, è UAV (Unmanned aerial vehicle) e, in italiano, APR (Aeromobile a pilotaggio remoto). Il drone nasce in ambito militare nel 1917 – durante la Prima guerra mondiale – ma solo verso la fine degli anni Novanta conquista mercati diversi, non ultimo quello dei «giocattoli per bambini». Duplice identità dunque quella dei droni che trova conferma anche nell’ultimo nato in casa EPFL (Politecnico federale di Losanna) dove i ricercatori, a inizio dicembre 2024, hanno messo a punto RAVEN (il corvo) il cui acronimo sta per Robotic avian-inspired vehicle for multiple environments (Veicolo robotico ispirato all’aviaria per ambienti multipli) e che si ispira appunto a uccelli come i corvidi, in grado di alternare i loro movimenti tra cielo e terra. RAVEN infatti, oltre a volare, sa saltellare al suolo su superfici di vario genere, col risultato di potersi spostare su terreni accidentati e decollare da aree ristrette. Affascinante per i bimbi, ma anche per i signori della guerra. L’ingegner Michele Pagani, 27 anni, è un ex-studente al Politecnico federale di Zurigo e, quello dei droni, è il suo mondo. Lui, tra l’altro, è uno dei progenitori dei droni saltellanti. Proprio grazie al suo Lynchpin – un prototipo di drone di questo tipo – vince, a pari merito con altri due concorrenti (un germanico e uno statunitense) il concorso promosso nel 2020 dall’attore Terrence Howard.
Quando nasce il suo interesse per i droni?
Nel 2018 al cinema. Non ricordo che film ero andato a vedere. Ricordo invece la pubblicità che ha catturato il mio interesse e che ha portato me, studente di ingegneria meccanica dal 2016, a trascorrere i mesi seguenti a leggere tutto quello che potevo trovare sul tema, ad allenarmi su un simulatore per poi iniziare a costruire i miei droni fino a farli volare. Tutto ciò ha influenzato la mia carriera scolastica e, dopo due anni, ho avuto l’opportunità di seguire una parte dei corsi – che si è presto trasformata in un 200% – sotto forma di progetto. Mi sono così trovato a progettare e a costruire droni in grado di generare energia elettrica carpendola in volo dal vento. Su questo tipo di drone ho basato anche la tesi di bachelor. L’elemento nuovo che ho aggiunto: il drone era «guidato» dall’intelligenza artificiale. È dopo aver conseguito il bachelor che mi sono imbattuto nella competizione del drone saltellante promossa da Terrence Howard. Un po’ perché mi divertiva l’idea, un po’ perché i 25’000 dollari in palio erano, per me studente, un premio assai allettante…
Quali le caratteristiche del suo Lynchpin?
Il concorso in sé era molto aperto. Il drone doveva avere sei motori, montati in una posizione particolare e doveva soprattutto avere una dimensione minima. Ho rispettato i requisiti e sono riuscito a fare in modo che il mio Lynchpin fosse in grado di volare, ma anche di muoversi a terra.
A cosa mirava il concorso?
All’inizio tutto sembrava un’iniziativa filantropica di Terrence Howard (a me noto solo perché sono un patito dei film della Marvel), al quale era venuta in mente l’idea di un drone piccolo ed agile che potesse collegarsi con altri simili così da poterne creare uno più grande. Obiettivo del concorso: accertarsi se l’idea poteva essere tradotta nella realtà. Terminata la competizione, che ha visto la partecipazione di un centinaio di concorrenti, a noi tre finalisti – premiati ex-aequo in quanto avevamo soddisfatto le condizioni del concorso in aree diverse – è stato chiesto di sviluppare il progetto. Cominciò a farsi largo il dubbio che più che una gara, il concorso fosse una vera “caccia di cervelli”. Da un certo punto di vista la cosa mi ha fatto piacere, ma avendo ancora gli studi da portare a termine ed avendo constatato la comparsa di esponenti dell’esercito statunitense, ho preferito distanziarmi dalla seconda fase del progetto.
I droni non la interessano più?
M’interessano ancora. Proprio a gennaio 2024 ho finito in bellezza con la tesi di master, sempre sui droni, dove ho presentato velivoli in grado di volare in modo autonomo, droni che usano cioè solo la telecamera a bordo per definire la propria rotta.
Droni pericolosi se penso al loro uso nelle guerre in corso…
«I droni non sono pericolosi, sono coloro che li governano e guidano ad esserlo. Pensi ai droni che da anni sorvegliano anche i confini svizzeri. Sono pericolosi o utili? E quanto avrebbero potuto essere utili i droni se impiegati per la sorveglianza e la manutenzione del viadotto Polcevera a Genova? Senza poi contare l’utilizzo dei droni nella ricerca di persone disperse a seguito di catastrofi naturali o in un bosco. Il drone è una macchina nata dal concorso di intelligenze volte a migliorare la vita degli umani. Se queste macchine vengono usate per colpire e uccidere, converrà con me che la negatività non sta in loro, ma in chi li impiega a tale scopo.
Convengo. Le chiedo però un’altra cosa. Il 24 novembre 2024 Elon Musk sul suo X, ha scritto: «Alcuni idioti continuano a costruire jet da combattimento con equipaggio, come l’F-35», facendo capire che il futuro dell’aviazione militare passa dai droni. La notizia non è passata inosservata in Svizzera (che ha acquistato per il suo esercito 36 di questi aerei). INFOsperber l’ha riportata completandola con quanto il professor Roland Siegwart dell’ETH ha dichiarato alla «Sonntags-Zeitung» ovvero: «Nel prossimo futuro i droni sostituiranno gli aerei da combattimento con equipaggio». Secondo Siegwart i droni, in futuro, abbatteranno i jet da combattimento e «i piloti non avranno alcuna possibilità, perché i droni sono molto più agili». È uno scenario verosimile?
È verosimile e probabile. Penso però che ci vorranno ancora un paio di decenni prima che questo scenario si concretizzi. Glielo dico pensando alle molte difficoltà che esistono nella programmazione di tutte le possibilità che l’AI preposta a condurre un drone deve gestire. Le faccio un esempio. Avrà sentito parlare – rimanendo nel campo di azione di Musk – delle automobili senza essere umano al volante, settore nel quale si registrano sviluppi rapidi e sorprendenti. Ebbene, a maggio di quest’anno, un’auto autonoma (Waymo, un servizio taxi di auto autonome a Phoenix, Stati Uniti) aveva davanti a sé un camion che portava un albero con foglie e rami. L’auto, probabilmente “pensando” di avere davanti un vero albero, ha continuato a frenare cercando di evitare l’albero e invadendo a più riprese la pista ciclabile. Apparirà chiaro a chiunque che di strada da fare ce n’è ancora molta.