Il Martirio di San Bartolomeo di Valentin

by Claudia

All’inizio del Seicento la Chiesa di Roma, dopo aver conquistato le odierne Polonia, Austria, Germania e parte della Svizzera, pensa di aver contenuto l’avanzata dell’eresia protestante. Comincia di conseguenza un’intensa attività di propaganda dando l’incarico ai pittori di rappresentare da una parte l’estasi, come momento di comunione in Dio, e dall’altra la testimonianza del sacrificio degli antichi martiri e il loro coraggio sotto le torture.

Il testo di riferimento è il Martyrologium romanum di Cesare Baronio approvato nella prima versione da papa Gregorio XIII nel 1584.

Le grandi tele commissionate a Guercino, Valentin e Poussin per gli altari della basilica di San Pietro raccontano proprio le storie di martiri: santa Petronilla, i santi Processo e Martiniano e sant’Erasmo. Supplizi, dipinti fra orrore e commozione per gli atti di efferata crudeltà.

Raccontiamone uno: il Martirio di san Bartolomeo di Valentin de Boulogne alle Gallerie dell’Accademia di Venezia.

Le Gallerie dell’Accademia sono il punto di riferimento cittadino, e non solo, per l’arte veneta. Troviamo capolavori come il Ritratto di gentiluomo di Lorenzo Lotto, la Sacra conversazione di Palma il Vecchio, i dipinti di Giovanni Bellini, ma soprattutto una grandiosa Ultima cena di Paolo Veronese il quale, convocato il 15 luglio 1573 dall’inquisizione per sospetto di eresia, muta il titolo dell’opera nel Convito in casa di Levi, come si chiama ancor oggi.

Le Gallerie dell’Accademia sono situate nel complesso di S. Maria della Carità che in origine, e fino al XVII secolo, aveva tre funzioni: chiesa, monastero, scuola. Nel 1750 sorge la Scuola dei pittori e scultori e col periodo napoleonico, e la soppressione degli istituti religiosi, diventa sede dell’Accademia di Belle Arti. Le opere presenti servono per il lavoro degli studenti. Nel 2004 con il progetto di restauro Grandi Gallerie, l’Accademia di Belle Arti viene trasferita all’ex ospedale degli Incurabili.

Il primo nucleo delle opere è costituito dai gessi della Collezione Farsetti e dai saggi degli allievi ai quali si sono aggiunte le raccolte Molin, Contarini, Renier e Manfrin. Dopo il passaggio delle Gallerie allo Stato, dal 1878 si procede con importanti acquisizioni.

Prima di addentrarci nel dipinto di Valentin, vediamo chi è Bartolomeo. Di lui si sa poco; ne accenna il Vangelo di Giovanni identificandolo con Natanaele (o Nataniele). «Gesù lo vide che veniva a lui e dice di lui: Ecco veramente un Israelita in cui non è inganno». In ogni caso è un apostolo che predica in India, Etiopia, Armenia. Ma è soprattutto un martire, anche se non è specificato se il martirio avviene tramite crocifissione, scorticamento o decapitazione. Esiste un Vangelo apocrifo di Bartolomeo del X-XI secolo nelle versioni greche e latine, famoso per il colloquio fra Bartolomeo e il Diavolo che parla degli angeli, della creazione e della sua disobbedienza. Il fantastico colloquio inizia con la presentazione: «Dapprima mi chiamavo Satanael, che significa messaggero di Dio, ma quando non riconobbi di essere modello di Dio, il mio nome fu chiamato Satana, che significa guardiano del Tartaro».

Valentin oggidì è poco conosciuto anche se ai suoi tempi riscuoteva molto successo. Nasce il 3 gennaio 1594 a Coulommiers en Brie e muore, il 17 agosto 1632, nella Parrocchia di Santa Maria del Popolo a Roma. Valentinus filius Valentini de Boulogne e di Jeanne de Monthyon; probabilmente discendente da un bolognese. Anche di lui si sa molto poco. Figlio d’arte ha studiato forse a Parigi o a Fontainebleau; arriva a Roma tra il 1609 e il 1615. Joachim von Sandrart afferma che è stato allievo di Vouet e che frequentava la bottega di Manfredi. Amico di Poussin, ha condotto una vita sregolata bevendo e fumando. Nel 1524 si iscrive al gruppo dei Bentvueghels con il nome di Amador, un sodalizio il cui motto è Bacco, tabacco e Venere. Giovanni Baglione racconta con dovizia di particolari la sua morte in giovane età. È protetto dal cardinal Barberini che gli commissiona diverse opere e dal papa Urbano VIII che lo incarica, nel 1629, di dipingere per la basilica di San Pietro il Martirio dei santi Processo e Martiniano. I personaggi raffigurati si muovono danzando in un clima esasperato. Opera che gli è valsa subito grande notorietà.

Seguace di Caravaggio, Valentin ha una pittura decisamente superiore a quella degli altri seguaci del Merisi. Nel 2016 il Metropolitan Museum di New York gli ha dedicato una grande mostra a cura di Keith Christiansen e Annick Lemoine.

Il Martirio di san Bartolomeo quando, nel 1871, entra alla Galleria dell’Accademia, è attribuito a Mattia Preti, poi a Jusepe de Ribera. Nel 1958 Roberto Longhi sostiene che sia di Valentin de Boulogne. Tesi confermata in seguito da Arnauld Brejon de Lavergnée e Jean-Pierre Cuzin.

La scena è quella centrale del martirio. Bartolomeo, anziano, barba e capelli lunghi e bianchi, viene legato da un carnefice a una croce. Un altro inizia a tagliare la pelle della coscia sinistra. Lo sguardo di Bartolomeo è di rassegnazione, mentre quello degli altri due uomini di attenta concentrazione. Una chiarezza luminosa svetta su tutto il corpo del santo. Una scena tragica, orrorifica, macabra, dipinta con realismo caravaggesco e con una «peculiare attenzione alla resa lenticolare».

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