(Keystone)

Una vera gioia che va oltre i pregiudizi

by Claudia

Il Consiglio federale intende vietare le adozioni internazionali, lo ha fatto sapere mercoledì scorso, specificando che ha incaricato il Dipartimento federale di giustizia e polizia di elaborare, al più tardi entro la fine del 2026, un progetto di legge in tal senso da porre in consultazione. Il motivo principale? «Anche un diritto in materia di adozioni severo non può escludere il rischio di abusi», si legge sul portale del Governo elvetico. «Il divieto è il miglior modo per tutelare in modo adeguato tutte le persone interessate, in particolare i bambini». Mentre qualcuno sottolinea il rischio di spostare il problema altrove (leggi traffici sempre più illeciti e maternità surrogata, vietata nella Confederazione ma consentita altrove) e nell’attesa che il progetto prenda forma, abbiamo incontrato Renata, residente nel Locarnese, mamma biologica di Enea Xan e adottiva di Saïdou Elia. Mamma e basta, direbbe lei.

È consapevole delle irregolarità nell’ambito delle adozioni internazionali che, soprattutto tra gli anni Settanta e gli anni Novanta del Novecento, sono state perpetrate da individui senza scrupoli allo scopo di guadagnare sulle spalle di bambini che già soffrivano. Conosce appunto il lungo percorso dell’adozione, non privo di prove a volte dure (le ha raccontate in un libro intitolato Riigma che in lingua moré significa abbraccio). Ma vuole sottolineare, con grande energia, la positività di un’esperienza che arricchisce la vita: della famiglia che accoglie e del minore.

«Lo voglio ripetere più e più volte, per noi tre è una gioia», esordisce. «Mi sono spesso scontrata con visioni negative e pregiudizi: una parte della società giudica male l’adozione. Certo, le sfide non sono mancate. Soprattutto durante il percorso che ha portato all’arrivo di Saïdou. Ma lui è una gioia e un’opportunità di crescita, nonostante abbia un passato complesso alle spalle con cui deve e dobbiamo fare i conti. Siamo stufi della mancanza di sensibilità di alcune persone, che pongono domande indiscrete e fanno affermazioni infelici: “Poverino, avrà una vita difficile!”, “Conosco un’amica che ha adottato, ma il ragazzo le dà tanti problemi”, o “Avevate già un figlio vostro, perché buttarsi in una simile impresa?”. Dimostrano scarsissima empatia per una situazione in fondo così normale: accogliere chi ha bisogno, offrire una possibilità a chi non ce l’ha e se la merita, darsi la possibilità di sperimentare un amore più grande».

Come è nata l’idea dell’adozione? «Avevamo già un figlio nostro – racconta Renata – però non ci mancava la volontà di allargare la famiglia, aiutando nel contempo un bambino in difficoltà. Mio marito Oliver viene dal Canton Zurigo, dove viveva accanto a una struttura per ragazzi soli. Sapevamo bene quanta tristezza porta l’assenza di una famiglia vicino…». Inoltre la coppia ha sempre coltivato una profonda ammirazione per l’Africa, viaggiando in Zimbabwe, Namibia ecc. Lei si era anche trasferita per un periodo a Cape Town. Per questo – quando è arrivato il momento – non hanno avuto dubbi, puntando sull’adozione di un bambino del Burkina Faso. «Nel 2016 abbiamo inoltrato la richiesta al Cantone; nel 2019 l’associazione Mani per l’Infanzia – persone stupende – ci ha contattati per informarci dell’abbinamento: il bimbo era Saïdou!». Quegli anni di attesa, dice Renata, sono stati caratterizzati dalla speranza, dall’ansia, dalla paura, dai corsi pre-adozione, da allegria e delusioni (come la perdita di documenti sia in Africa sia in Svizzera). «La nostra grande fortuna, in fondo, è stata che avevamo già un figlio, Enea, che ci ha supportati in tutto e per tutto».

Nel 2020 è arrivata «la telefonata»: Mani per l’Infanzia ha informato la famiglia che il tribunale del Burkina Faso aveva dato il suo consenso e che i documenti erano pronti. La partenza era prevista sabato 5 dicembre 2020 da Ginevra – durante la pandemia – e il soggiorno nel Paese doveva durare due settimane ma, data l’instabilità politica nella regione, era consigliato rientrare in Svizzera il prima possibile. Renata si emoziona pensando al primo incontro con Saïdou: «Doveva avere 4-5 anni ma sembrava più piccolo della sua età. Era magrissimo, pesava appena 9 chili, e aveva evidenti tagli e bruciature sul corpo. Non aveva nessuno. Viveva in una “casa famiglia” a Koudougou: una capanna spoglia insieme a due persone con quattro figli. Due persone che non erano per niente gentili con lui…». È stato amore a prima vista. Sembrava che il piccolo volesse partire, si è affidato senza riserve alla sua nuova famiglia che veniva da lontano: meglio l’ignoto rispetto all’inferno che conosceva. «Durante i corsi obbligatori per l’adozione – utilissimi – ci avevano spiegato le probabili dinamiche dell’incontro, ci avevano detto della possibilità che non ci accettasse, che piangesse, che reagisse con aggressività per via del suo passato. La realtà per noi è stata diversa: bella e naturale. In Burkina Faso una signora ci ha chiesto che altro nome volevamo dargli… Non è mai stata un’opzione per noi, il suo nome era Saïdou e quello restava. È parte della sua storia, una delle poche cose che gli rimangono del suo passato».

L’arrivo in Svizzera è stato caratterizzato da momenti divertenti, ricorda Renata: Saïdou continuava ad accendere e spegnere la luce, ridendo a crepapelle, oppure ad azionare lo sciacquone del water. «È andato tutto molto bene! Certo, sapevamo che si trattava di un bimbo con un passato non idilliaco alle spalle. I segni erano evidenti e non sono del tutto scomparsi. Ad esempio all’inizio mangiava troppo, fino a stare male. Avendo sofferto la fame non si poneva limiti e poi nascondeva il cibo nell’armadio o, alla scuola dell’infanzia, non capiva perché le pietanze avanzate venivano buttate… Quando si rompeva qualcosa si accovacciava a terra, proteggendosi la testa con le manine. Ancora adesso se qualcuno alza la voce si blocca per la paura. Ha timore soprattutto degli uomini».

Ma le note positive superano di gran lunga le preoccupazioni. «Mi chiama mamma, adora suo fratello, ha tanti amici, è un gran chiacchierone. Dispone di un lessico fantastico. Si è integrato in classe. La scuola ticinese si è aperta alle diversità, come tante persone. Rimangono dei pregiudizi, specie tra le vecchie generazioni, e talvolta sento frasi quali: “I neri non si affermano nelle professioni prestigiose”, “Che futuro avrà?”. Siamo consapevoli che Saïdou dovrà confrontarsi anche con questo, cerchiamo di prepararlo, di dargli gli strumenti giusti per rispondere». Intanto lui dimostra la sua forza di volontà, ci mette tutta l’energia possibile per imparare, partecipa, corre, desidera essere come gli altri, sembra voler approfittare al massimo delle possibilità che in Africa non aveva. «Gli raccontiamo delle sue origini e, se un giorno vorrà, potrà ritornare… Lo aiuteremo a trovare la sua strada, come facciamo con Enea. I nostri figli devono sapere di essere amati e liberi di decidere come orientare la loro vita».

Trovate Riigma (2024) nelle librerie ticinesi e online (www.fontanaedizioni.ch). Parte del ricavato della vendita del volume servirà a sostenere la formazione professionale dei ragazzi e delle ragazze residenti nell’orfanotrofio di Ouagadougou, capitale del Burkina Faso.

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