Le sfide della spiritualità nello sport: limiti, gioco e identità è il titolo della tesi di dottorato di Alessandra Maigre, teologa ginevrina di origini anche leventinesi.
Alcuni stralci e alcune suggestioni della sua ricerca, l’autrice le ha proposte negli spazi della Gottardo Arena a un folto pubblico che ha risposto all’invito del Museo di Leventina. Una maglia, una fede: la magia di un rito collettivo, è il titolo della conferenza. L’esempio attorno al quale la relatrice ha costruito il suo pensiero, è il rapporto tra l’Ambrì-Piotta, i suoi tifosi, i suoi luoghi, i suoi riti sacri e pagani. Perché lei stessa gioca a hockey su ghiaccio, ma anche perché le sue radici la riconducono ad affetti antichi e profondi.
Alessandra Maigre ha preso le mosse dall’interrogativo se lo sport sia o meno la religione del 21esimo secolo. Ci sono segnali che lascerebbero intuire una risposta affermativa: gli sportivi che si fanno il segno della croce prima di scendere in campo o dopo aver segnato una rete. Altri che si inginocchiano per pregare. Per non parlare della celeberrima «mano de Dios» ricevuta in dono, come illuminazione divina, da Diego Armando Maradona per «punire» gli Inglesi.
La ritualità dello sport richiama le religioni. «Pensate ad esempio – ha sottolineato l’autrice dello studio – alle cerimonie inaugurali e finali dei grandi eventi totalizzanti come i Giochi Olimpici». Sono scandite da gesti e formule spesso affidate a officianti che si atteggiano a figure ieratiche. D’accordo con le analogie tra ritualità religiosa e ritualità sportiva, tuttavia, ha chiarito Alessandra Maigre, lo sport non può dare un senso globale alla vita. Una partita di hockey propone tutti gli ingredienti della sacralità: il quadro spazio-temporale (la celebrazione della Messa all’interno di un luogo di culto), i giocatori (gli officianti), gli spettatori (i fedeli), i top player (idoli o santi), il ghiaccio, spazio sacro e inviolabile ai profani (il presbiterio). Ciò nonostante siamo pur sempre in presenza di un rito pagano in cui la fede può manifestarsi anche con la deflagrante violenza delle sue derive.
Cent’anni or sono, la retorica dello sport avrebbe potuto essere messa in relazione a quella dei grandi e nefasti totalitarismi del Novecento. Oggi la musica è cambiata. Sociologia, psicologia di massa e scienza della comunicazione hanno capito quanto sia pagante legare il fenomeno sportivo alla sacralità e alla ritualità delle religioni. Lo hanno compreso anche gli addetti ai lavori. A questo proposito, Alessandra Maigre, ha ripercorso quanto fu fatto, detto e scritto, l’11 settembre del 2021, in occasione della partita inaugurale del nuovo «tempio» leventinese, la Gottardo Arena.
La sfida fu preceduta da un rituale ad altissimo contenuto simbolico ed emotivo: l’addio alla vecchia Valascia. Una fitta folla intergenerazionale e interclassista si era riunita davanti al vecchio «tempio» per dedicargli l’ultimo abbraccio. Dall’elaborazione del lutto, alla gioia per un futuro radioso. Ovvero, i tre giorni che separano la crocefissione di Gesù dalla sua resurrezione, riassunti in poco più di un’ora, con processione, canti e discorsi che aiutassero il popolo dei fedeli a riconoscere il valore identitario del nuovo stadio. Il discorso pronunciato dal presidente Filippo Lombardi, ampiamente citato dalla relatrice, è un esempio chiarissimo. Più che ovvio e atteso il riferimento all’11 settembre di vent’anni prima: «Dove l’odio divide e uccide, lo sport unisce e crea. […] Oggi vince chi vuole costruire, e non vince solo un presidente o una società sportiva. Vince una valle, vince una regione, vince un popolo intero che crede nei suoi valori, nella sua identità e nella sua unità. […] Era impossibile, quindi lo abbiamo fatto. È il motto che abbiamo scelto per questa sfida quasi sovrumana. Teniamocelo ben stretto, questo motto, perché rappresenta lo spirito più autentico dell’Ambrì».
«Questi rituali pagani – ha concluso Alessandra Maigre – sono indispensabili alle istituzioni. Legittimano e mettono in scena il corpo sociale. Sono una struttura, una regola di vita, un orizzonte, un orientamento».
Si tratta tuttavia di non perdere di vista l’ambito in cui ci si sta muovendo: una partita di hockey o di calcio. In una sola parola, lo sport. Quindi, se il fervore trascende nel furore, significa che siamo messi male. Il confine è labile. Sta a noi capirne i contorni, compito non sempre agevole.