(Keystone)

Il futuro incerto della roccaforte underground

by Claudia

Difficile non notarla, con le sue scritte e i graffiti colorati che fanno a pugni con i muri a graticcio e le torrette grigie. Per alcuni, la Reitschule è «la vergogna della città», per altri è l’ultima roccaforte della cultura alternativa nel cuore di Berna. Da oltre trent’anni, questo ex maneggio incastonato tra binari ferroviari, un groviglio di strade e l’area del Bollwerk, è uno dei simboli della capitale federale, nonché un luogo di scontro ideologico che, a scadenze regolari, si conquista la prima pagina dei giornali regionali e nazionali. È successo anche all’inizio dell’anno quando il collettivo della Reitschule ha comunicato la chiusura temporanea del centro perché era «impossibile garantire la sicurezza sulla Schützenmatte», la grande piazza antistante, colpevoli «il fallimento della strategia sulla droga, lo smantellamento delle infrastrutture sociali e la politica repressiva in materia d’asilo». La situazione intorno alla Reitschule è effettivamente degenerata negli ultimi mesi: ripetuti furti, risse, aggressioni e scontri tra bande rivali dedite allo spaccio di droga, con una media di cinque casi di violenza al mese registrati dalla polizia. L’episodio culminante risale al 29 dicembre, quando un uomo è finito al pronto soccorso con un dito amputato dopo un violento alterco. Il presunto aggressore, un algerino di 25 anni, è stato trovato in possesso di un coltello e un machete.

Mercoledì 22 gennaio la Reitschule ha riaperto i battenti, dopo una «pausa di riflessione» che ha permesso ai responsabili di «riorganizzarsi, allacciare contatti e fare la propria parte per trovare una soluzione per migliorare la situazione intorno al centro». Una soluzione che però il collettivo non può trovare da solo. E così, l’ultimo venerdì di gennaio, si è tenuto un importante incontro tra i rappresentanti del centro culturale alternativo, la polizia cantonale, il Consiglio comunale e il Parlamento cittadino. Promossa dalla nuova sindaca Marieke Kruit (PS), la tavola rotonda è stata un primo tentativo per riavvicinare le parti, superare le tensioni e riprendere il dialogo, già storicamente complesso, giunto a un punto di rottura. Nonostante il clima costruttivo, dal confronto non sono scaturite misure concrete e definitive. Da un lato, la polizia ha ribadito la necessità di avere pieno accesso al perimetro della Reitschule per garantire la sicurezza, mentre i rappresentanti del centro hanno sottolineato l’importanza di una strategia basata sul sostegno sociale anziché su interventi repressivi.

La Reitschule è quasi un unicum nel panorama culturale alternativo svizzero. A pochi minuti da Palazzo federale, l’imponente edificio è stato occupato per la prima volta nell’ottobre 1981, dopo che gli ultimi cavalli avevano lasciato il maneggio municipale e la scuola di equitazione. L’esperimento sociale ha però vita breve: dopo soli sei mesi, la polizia interviene sgomberando le e i giovani. L’occupazione definitiva risale al 1987, quando un migliaio di persone riprende possesso della struttura. Una settimana dopo viene organizzato uno «sciopero culturale»: si tratta di un momento di ribellione collettiva con concerti di diverse band, tra cui quelle di Stephan Eicher, Polo Hofer, Züri West, a cui partecipano diecimila persone. Nel corso dei decenni la Reitschule si trasforma in un punto di riferimento per la scena underground svizzera, sostenuta dalla città attraverso un contratto di prestazioni. Inoltre, è diventata un luogo di formazione della gioventù bernese, con il suo piazzale antistante che per anni è stato il più grande punto di ritrovo del Cantone, capace di accogliere fino a 3000 giovani nei fine settimana.

In un’intervista ad Azione, Ueli Mäder, professore emerito di sociologia presso l’Università di Basilea e coautore dello studio Berner Reitschule – Ein sozologischer Blick, ricordava anni fa che si tratta di «uno spazio di socializzazione molto importante. In città e negli agglomerati urbani ci sono sempre meno edifici autogestiti. Sono palestre d’apprendimento di grande valore. Chi osserva il centro autogestito solo dall’esterno è portato a pensare che sia davvero una vergogna per la capitale federale». Dietro al suo portone si celano infatti un cinema, un teatro, una tipografia, una falegnameria, una biblioteca, un locale per concerti, uno spazio per sole donne, un ristorante, vari bar e una sala polivalente. Insomma, una ricca offerta culturale e culinaria, a cui persone di vario ceto sociale e formazione non vogliono rinunciare. Negli oltre 35 anni di storia, tra la Reitschule e Berna si è stabilito così un legame profondo, come dimostra il forte sostegno che la popolazione continua a manifestare nei confronti del centro. Nel 2010, il 70% delle e dei cittadini ha respinto per la quinta volta consecutiva un’iniziativa che ne chiedeva la chiusura.

Tuttavia, di recente qualcosa è cambiato. Pur mantenendo un’offerta culturale di qualità, il centro ha registrato una diminuzione del proprio pubblico, una disaffezione nei confronti della Reitschule da ricondurre a due cause principali: i problemi legati alla sicurezza e il cambiamento delle abitudini sociali post-pandemia. La Schützenmatte, il piazzale antistante, abbandonato in parte dalle e dai giovani, ha perso la sua funzione di aggregazione, diventando un ricettacolo dei problemi sociali attuali e un punto d’incontro della microcriminalità locale. Il futuro della Reitschule è ora a un bivio, una situazione con cui il centro autonomo è stato confrontato a più riprese in passato. Il contratto di prestazione con la città scadrà nel 2027 e dovrà essere rinegoziato in un contesto profondamente mutato. La sindaca Kruit si è però detta fiduciosa che il dialogo avviato possa contribuire a migliorare la situazione. La sfida sarà trovare un equilibrio tra la preservazione dell’identità alternativa del centro culturale e la necessità di garantire un ambiente sicuro e accogliente per tutti e tutte.

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