Sin dalla sua campagna elettorale, Donald Trump ha più volte dichiarato la sua intenzione di «riprendersi» il Canale di Panama. Ha menzionato la vicenda perfino durante il discorso d’insediamento, sostenendo che l’infrastruttura, cruciale per il commercio globale come il Canale di Suez, sia ormai controllata dalla Cina e che vada strappata al suo dominio. Ma di recente la polemica si è intensificata. Nel suo primo viaggio all’estero da nuovo segretario di Stato dell’Amministrazione Trump, Marco Rubio è andato proprio a Panama, dove ha incontrato il presidente José Raúl Mulino e ha parlato di una situazione «inaccettabile»: la Casa Bianca avrebbe «stabilito in via preliminare che l’attuale posizione di influenza e controllo del Partito comunista cinese sull’area del Canale di Panama è una minaccia». Qualche giorno prima Trump aveva accusato le autorità di Panama di voler eliminare le prove del presunto «controllo» cinese sulla rotta interoceanica, sostenendo che il Governo panamense stava cercando di cancellare il 64% dei cartelli scritti in cinese presenti nella zona del Canale. Secondo il presidente americano, quei cartelli sarebbero la prova dell’influenza cinese nella regione. Le sue dichiarazioni bellicose erano arrivate poco prima dell’inizio del tour di Rubio a Panama, in Guatemala, El Salvador, Costa Rica e Repubblica dominicana, per rafforzare i legami diplomatici degli Usa con la regione e, probabilmente, rafforzare anche la posizione dell’Amministrazione Trump sulla questione del Canale, che fino a poche settimane fa sembrava una spacconata trumpiana, una boutade, e adesso invece assume i contorni di un obiettivo concreto.
«Il Canale di Panama è gestito in modo efficiente da mani panamensi e la crisi migratoria nella giungla del Darién è stata stabilizzata», ha dal canto suo detto il presidente Mulino, respingendo le accuse di Trump. Il Canale di Panama, che attraversa l’Istmo di Panama e collega l’Oceano Atlantico con l’Oceano Pacifico, è stato costruito dagli Stati Uniti e inaugurato nel 1914, diventando un’infrastruttura strategica per il commercio marittimo globale. Grazie alla nuova via d’acqua, che sfrutta un sistema di chiuse, tutte le imbarcazioni possono evitare il lungo e pericoloso viaggio intorno a Capo Horn, all’estremo sud dell’America. Per decenni Washington ha mantenuto il controllo del Canale, amministrandolo come un proprio territorio d’oltremare. Ma negli anni Settanta la crescente tensione tra la Repubblica di Panama e Washington ha portato alla firma dei trattati Torrijos-Carter, il 7 settembre 1977. Gli accordi stabilivano il trasferimento della gestione del Canale da Washington a Panama, un lungo processo che si è completato il 31 dicembre del 1999. Da allora, gli Usa hanno iniziato a usare il Canale di Panama come tutti gli altri, ma la piccola Repubblica dell’America centrale utilizza ancora il dollaro statunitense come valuta corrente e non ha una banca centrale né forze armate.
Secondo diversi rapporti d’intelligence, l’Amministrazione Trump non ha tutti i torti sull’influenza che Pechino, negli ultimi anni, ha aumentato nell’intera regione dell’America Latina, con frequenti visite diplomatiche dei rappresentanti del Partito comunista e attraverso ingenti prestiti e investimenti infrastrutturali concessi a diversi Paesi di aree tradizionalmente alleate di Washington. L’attenzione di Pechino su Panama è iniziata poco più di una decina di anni fa: nel 2017 la Repubblica di Panama ha chiuso le relazioni diplomatiche con Taiwan – che la Cina rivendica come proprio territorio – e aperto quelle con la Repubblica popolare cinese. Per il leader cinese Xi Jinping quella decisione aveva cambiato, e di molto, la proiezione della Cina in America Latina. Da anni, infatti, Xi sta lavorando per trasformare la Cina in un monopolio del trasporto marittimo internazionale, aumentando il controllo sui porti stranieri, dominando la produzione e il movimento di cargo e cercando vie preferenziali diplomatiche nei passaggi strategici come il Canale di Panama e quello di Suez. L’influenza strategica cinese in alcuni punti nevralgici dei traffici internazionali è ormai considerata da quasi tutte le agenzie d’intelligence internazionali un problema per la sicurezza.
Trump, dal canto suo, ha spesso utilizzato argomentazioni geopolitiche per giustificare azioni di politica estera aggressive, e in molti hanno perfino paragonato il caso del Canale di Panama con lo schema usato dalla propaganda russa con l’Ucraina: così come Putin ha giustificato l’invasione dell’Ucraina parlando di un presunto accerchiamento della Nato, così Trump sta cercando di costruire una retorica secondo cui Panama avrebbe «svenduto» il controllo del Canale alla Cina, minacciando la sicurezza nazionale statunitense. Anche perché, parallelamente alle tensioni con Panama, Trump ha riacceso un’altra controversia geopolitica sin dall’inizio della sua presidenza: la sua ambizione di acquisire la Groenlandia, che dopo un iniziale scetticismo internazionale ha acceso diverse preoccupazioni tra i leader europei. Le due vicende – quella del Canale di Panama e della Groenlandia – mostrano come Trump stia cercando di ridefinire la politica estera americana con un approccio aggressivo, basato su un’interpretazione estrema della dottrina «America First».