È colpa degli studenti. All’inizio della storia c’è una boutique su tre grandi sale, aperta da mio nonno materno nel 1950, in un quartiere abitato da famiglie di media e piccola borghesia. Una lunga tradizione che io, arrivato alla terza generazione, sono costretto a chiudere. Qui vicino è nato un Campus universitario. Ospita le facoltà umanistiche, quelle che ti garantiscono un futuro da disoccupato: lettere, discipline delle arti, della musica e dello spettacolo, cinema, storia dell’arte, sociologia, eccetera.
Le famiglie del quartiere si sono trasferite altrove, le altre si sono improvvisate affittacamere. Gli studenti che sciamano in queste strade hanno tanto tempo libero ma non sono interessati a cordoni, fiocchi, guarnizioni, merletti, ricami. Vanno alla ricerca di bar, pizzerie, discoteche, birrerie. Meglio metterci una pietra sopra e chiudere prima che sia troppo tardi.
Così, ogni giorno, per tre mesi, sono stato seduto al tavolino del bar di fronte al negozio con il cartello «Vendesi locali» appeso alla vetrina senza che nessuno si facesse vivo. Finché due tra i miei più cari amici hanno avuto l’idea vincente: perché non apriamo una scuola di scrittura creativa? Adesso vanno di moda. Bastano una cattedra e una dozzina di banchi.
Abbiamo chiesto consiglio a ChatGPT che ha suggerito di farla nascere come associazione culturale, è sufficiente redigere uno statuto e iscriverla presso l’Agenzia delle Entrate. Chi vuole frequentarla deve associarsi pagando una quota. Detto fatto. Ma serviva un nome. Il giorno dell’inaugurazione ci siamo fatti un selfie, schierati davanti all’insegna: «Scuola di scrittura creativa Chiamatemi Ismaele». Tre giorni e tre notti di discussioni per scegliere l’incipit di Moby Dick.
All’inizio eravamo d’accordo su un solo punto: il nome doveva alludere alla grande letteratura americana. Nei risvolti dei romanzi americani la biografia dell’autore termina quasi sempre con la frase: «Insegna scrittura creativa nell’università di…». ChatGPT ci ha fornito l’elenco delle scuole statunitensi che avessero nell’insegna il nome di un personaggio o di un autore della letteratura americana. Il responso: «Il calamaio di Twain», «Il Forum di Fitzgerald», «Gatsby Academy», «Huckleberry House», «Ishmael Institute», «Bartleby Writers Retreat», «Tom Sawyer Academy». Due sono stati ispirati da Francis Scott Fitzgerald e due da Herman Melville. Scelto quest’ultimo, bisognava decidersi fra Moby Dick e Bartleby. Questi è uno scrivano il quale, ogni volta che gli affidano un compito, pronuncia una frase diventata proverbiale: «I would prefer not to», ovvero «Preferirei di no». Ha vinto Ismaele.
Dopo un mese ho iniziato a fare pratica con tre anziane signore, aspiranti scrittrici iscritte alla scuola: seguono e si annotano tutto. Il nostro punto di partenza: i libri non li legge più nessuno, perciò la massima attenzione va dedicata a quelli che Gérard Genette, nel suo Soglie chiama «I dintorni del testo».
Per esempio l’epigrafe, una citazione sotto il titolo prima dell’inizio della narrazione. Deve dare un suono alto, aristocratico, generato da tre o quattro versi di una poesia. È bene che non c’entri niente con il testo della narrazione. Qualche esempio. Da Preghiera alla vita di Sergio Solmi: «[…] tregua non darmi, mia vita, / lasciami l’umiliata povertà, / le nere insonnie, le cure ed i mali». Ancora, da Le figlie dell’impiccato di Dino Campana: «Due forme ho già visto aggirarsi / Sotto la forca dell’impiccato / Ed una geme e piange / E l’altra bramisce e impreca».
La massima attenzione va posta nella stesura della quarta di copertina, perché è l’unica cosa che leggono i clienti prima di decidersi ad acquistare il libro, non per leggerlo, per carità, ma per regalarlo. Un grande aiuto lo fornisce ChatGPT. Gli chiedo la quarta de I promessi sposi: «Un amore ostacolato, un’epoca di oppressioni e ingiustizie, una storia intramontabile. Ambientato nella Lombardia del XVII secolo. Tra fughe, inganni e incontri con personaggi indimenticabili, dall’umile padre Cristoforo al terrificante Innominato, dalla dolce Monaca di Monza al cinico Azzeccagarbugli, i protagonisti affrontano le sfide di un’epoca seguita da fame, peste e violenza. Una lettura imprescindibile per chi vuole comprendere non solo la storia d’Italia ma anche il cuore umano nei suoi travagli e trionfi». ChatGPT ha capito tutto, infatti non cita i noiosissimi Renzo, Lucia e don Abbondio.