Il tradimento della Silicon Valley

by Claudia

È finito il mito della Silicon Valley? È finita quell’onda che prometteva un mondo interconnesso e felice, esteticamente impeccabile, politicamente progressista e umanitario? Sognavamo un mondo bello come un iPhone, racchiuso in un palmo di mano e invece scopriamo che era tutta una favola.

La Silicon Valley, una zona nel nord della California che si estende a sud di San Francisco e comprende le città di San Josè, Sunnyvale e Palo Alto, è diventata decisiva negli anni Settanta come sede delle più famose aziende tecnologiche. Quell’area geografica un tempo si chiamava Santa Clara Valley, ed era famosa per la coltivazione delle prugne (Santa Clara Plums). Da Apple a Facebook e Google sono tante le start up che hanno trovato fortuna nella «valle del silicio», dal nome del componente necessario per realizzare i chip dei computer. Eppure, dopo decenni, molte ditte tech stanno lasciando lo Stato della California. Perché?

La storia di quella valle è anche la storia della cosiddetta controcultura nata negli anni Sessanta. Personaggi come John Perry Barlow passeranno dalla scrittura dei testi dei Grateful Dead alla stesura della dichiarazione d’indipendenza del cyberspazio, mentre altre figure centrali come Steward Brand (fondatore della storica rivista «Whole Earth Catalog») rappresenteranno il filo rosso che unisce la cultura psichedelica al nascente movimento hacker, influenzando il giovane Steve Jobs. Il fondatore della Apple ha lasciato un segno indelebile sotto il profilo tecnologico, ma anche sociologico. Un segno di grande eleganza ma che era anche un sogno: una tecnologia a portata di tutti, più democratica ed etica, capace di rendere gli uomini se non utopicamente tutti uguali tra loro almeno consapevoli di vivere in un medesimo luogo, in cui ognuno avesse diritti e dignità. Ecco, quel sogno si è interrotto bruscamente.​

«Credo che il mito della Silicon Valley fosse giustificato» sostiene Luciano Floridi, professore di Filosofia ed etica dell’informazione alla Oxford University e docente di Sociologia della cultura e della comunicazione all’Università di Bologna. Ha appena pubblicato un libro, Filosofia dell’informazione (Raffaello Cortina Editore) e alla rivista «Wired» ha dichiarato: «La Silicon Valley è stata capace di attrarre curiosità, talenti, finanziamenti, che via via si sono specializzati in settori ad alta qualità tecnologica, con una sinergia invidiabile. È stata un polo che ha radunato alcune delle menti migliori del pianeta. È però illusorio credere che quel modello sia ripetibile, il che non esclude esistano possibilità di competizione alternativa. Penso al Texas, verso il quale oggi c’è un costante flusso migratorio di aziende e personale “digitale”, alla zona di New York, a Boston, ma anche a Singapore o a quanto tentiamo di fare oggi a Bologna: stiamo arrivando a vedere sistemi più distribuiti, in cui è probabile che non sarà più vero che una regione che vince, vince tutto».

Due, le cause principali del tramonto della Silicon Valley: uno economico e l’altro politico. Facebook, Twitter (X) e Instagram, dopo essere stati travolti da una marea di scandali a base di fake news, abusi della privacy, troll russi e altro, stanno invecchiando e sono stati spodestati, o quasi, da un social network creato in Cina come TikTok. Aziende un tempo rivoluzionarie come Amazon o Google si sono ormai trasformate in oligopoli accusati di soffocare la concorrenza, mentre le ultime scommesse tecnologiche del metaverso e del web3 si sono rivelate, almeno per il momento, più che altro delle grandi trovate di marketing. Si calcola che negli ultimi due anni almeno 120mila dipendenti del settore tech abbiano perso il lavoro.

Il mito della controcultura si è così sfaldato miseramente, travolto da interessi economici e insospettabili attrazioni politiche. Elon Musk è diventato una sorta di vice Donald Trump e le sue ultime sortite sono sconcertanti. Ma anche i grandi amministratori delle Big Tech sono andati a baciare la pantofola di Trump. Zuckerberg, per esempio, è stato in passato un sostenitore delle politiche del Partito Democratico. Ma nel tempo si è reso conto che per continuare a fare business è meglio non esporsi. Parabola simile quella di Sam Altman. Appena otto anni fa il Ceo di OpenAI, casa madre di ChatGPT sosteneva: «I programmi di Trump sono un’inaccettabile minaccia per l’America». Nel dicembre del 2024 le cose sono cambiate: «Il presidente Trump guiderà il nostro Paese nell’era dell’intelligenza artificiale e sono intenzionato a sostenere i suoi sforzi per garantire che l’America rimanga all’avanguardia». Aveva capito tutto Emil Cioran ne La caduta nel tempo, 1964: «Una civiltà esordisce col mito e termina nel dubbio».

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