Andy Kaufman su Saturday Night Live nel 1975 mentre esegue la sigla di The Mighty Mouse (Leonardo Rodriguez)

Il trasformista dell’assurdo

by Claudia

«Lo sketch più audace del programma ha come protagonista il comico Andy Kaufman, che mise in scena una performance bizzarra. Andy, visibilmente a disagio, avvia un fonografo che riproduce il tema musicale del cartone animato The Mighty Mouse. Rimane immobile fino alla terza riga del testo, quando Mighty Mouse ruggisce: “Here I come to save the day!” (“Eccomi qui per salvare la situazione!”). A quel punto, Andy si risveglia dalla sua trance e mima quella battuta, sorridendo, piegando le ginocchia e fendendo l’aria con la mano. Poi si placa di nuovo, camminando nervosamente, abbassando lo sguardo con aria timida e versandosi tremolante un bicchiere d’acqua mentre la canzone continua. Il segmento, della durata di due minuti, avrebbe per sempre differenziato il Saturday Night Live dal resto del panorama televisivo». Così il premio Pulitzer Daniel De Visé (nel suo libro pluripremiato The Blues Brothers) descrive il primo vero e proprio debutto di questo anti-comico sulla TV nazionale americana.

Che Kaufman fosse qualcosa di completamente diverso lo stava dimostrando già da alcuni anni, nei club newyorchesi prima e losangelini poi. L’ambiguità delle sue interpretazioni cominciò ad avere un’eco in particolare quando giunse nell’epico night club The Improv di New York: di volta in volta il pubblico poteva assistere a lui che mangiava un gelato (e basta!) o che leggeva (davvero!) Il Grande Gatsby… e quando la tensione arrivava al limite (ci è o ci fa?) – e qualcuno direbbe anche un po’ oltre – eccolo tramutarsi in un incredibile Elvis Presley o ne «Lo Straniero», il suo personaggio più amato, un amabile e goffo comico dalla voce acuta che fa ridere perché non c’è proprio modo che riesca a far ridere.

Per Andy l’anno della svolta fu il 1978 quando ottenne dalla rete televisiva ABC il ruolo del maldestro meccanico Latka Gravas nella sitcom Taxi, praticamente la trasposizione televisiva del suo «Straniero». La serie fu un grande successo e coinvolse Andy per i cinque anni a seguire. Ma rimase sempre tenacemente un outsider: ottenne di poter essere sul set solo due giorni a settimana, per poter accettare altri lavori. Quali? Decise di servire ai tavoli in una gastronomia di Hollywood dove poteva anche «esibirsi» ogni lunedì, e dove godeva della preziosa opportunità di rimanere sempre «ancorato alla realtà», l’unico ambito che voleva esplorare.

Un incontro fondamentale – che però non sapremo mai se fu reale o albergò solo nella sua fantasia – fu quello con un crooner (cantante melodico) di Las Vegas. Come una specie di «muta-forma» Andy ne assorbì le caratteristiche, tramutandosi a partire dagli inizi del ’77 in «Tony Clifton», un personaggio sboccato e fastidioso – e tragicamente stonato – che a poco a poco si trasformò in una sorta di pappone. «Clifton» è la nemesi de «Lo Straniero»: tanto innocente il secondo, quanto odioso il primo. Ma è proprio l’«arrivo» dello «Clifton» a far superare a Andy la labile linea tra caratterizzazione e alienazione. Per rendere credibile questo personaggio, alimentò volutamente il dubbio se fosse davvero un’altra persona rispetto a lui, facendolo salire contemporaneamente a lui sul palco, sfruttando la complicità di un Bob Zmuda – il suo storico braccio destro – travestito ad hoc.

Per ingraziarsi Andy, la produzione decise di assumere Clifton come guest star in 4 episodi, facendogli sottoscrivere un contratto separato.

Ovviamente Andy-Clifton fu un disastro e fu lo stesso Andy-Andy a chiederne il licenziamento! Questa multi-polarità del suo estro artistico la portò anche sul palco dal vivo: «Clifton», «Lo Straniero» ed Andy – con la complicità di Robin Williams nei panni di sua nonna (avrebbe mai potuto interpretare sé stesso?), una Mrs Doubtfire ante litteram – il 26 aprile 1979 incendiarono il palco della Carnegie Hall con uno spettacolo che sarà considerato l’apice della sua carriera e la massima epifania della sua poetica, fatta di idee, inganni e illusioni.

Ma proprio all’apice della sua popolarità, con la critica che lo segue confusa ma sedotta, decise di alzare un po’ troppo l’asticella: seguendo un suo sogno di gioventù, per la sua successiva incarnazione optò per quella di un wrestler in pantaloncini neri da boxeur e un inguardabile completo bianco lanoso. «Volevo far rivivere i vecchi tempi delle fiere dove i lottatori andavano di città in città e offrivano cinquecento dollari a qualsiasi uomo che potesse durare sul ring con loro per tre minuti», dichiarò Kaufman. «Ma non potevo sfidare degli uomini perché sarei stato battuto subito. Con una donna della mia stessa stazza avrei avuto invece buone possibilità».

Se nei suoi spettacoli precedenti, giocava con il suo pubblico portandolo al limite dell’irritazione per poi riconquistarlo con le risate, la provocazione per la provocazione diventò da quel momento il suo unico interesse. Quando iniziò a indossare la cintura di Campione del Mondo Inter-Genere, anche i suoi amici – Robin Williams in testa – cominciarono a capire che qualcosa non andava.

Non pago, Andy allora organizzò un ultimo inganno: la sua morte. Il 26 maggio del 1984 a soli 35 anni arrivò la notizia della sua dipartita per un cancro ai polmoni. Al funerale arrivò un mucchio di gente convinta che fosse un altro dei suoi scherzi attendendosi che da un momento all’altro sarebbe sbucato fuori. Anche Carol Kane, che interpretava Simka in Taxi, ne era convinta e, avvicinandosi alla bara aperta gli diede un colpetto, convinta che Andy le avrebbe risposto con un cenno. Quel che è certo è che un anno dopo il suo funerale Tony Clifton tenne un concerto al Comedy Store per cantare in memoria di Andy. Dietro la sua maschera c’era ancora Bob Zmuda o era Andy, redivivo? Chi siamo noi per uccidere la speranza?

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