Al penultimo anno di liceo la mia figlia 16enne Clotilde e i suoi compagni di classe alle prese con lo studio di Alessandro Manzoni, convinto che l’arte deve avere «l’utile per iscopo», ossia l’educazione civile e morale, sono invitati dalla prof di italiano a fare un dibattito: la musica deve essere educativa? Il modello è il debate all’americana: due gruppi di studenti si confrontano sull’argomento tramite delle dissertazioni a tempo limitato, divisi in squadra Pro e squadra Contro. Il pensiero del Manzoni viene calato nell’attualità: l’occasione la offrono le polemiche su Tony Effe, escluso dal Concertone di Capodanno dal sindaco di Roma Roberto Gualtieri per i testi violenti e misogini delle sue canzoni. Martedì scorso, il rapper ha debuttato al Festival di Sanremo, l’evento di musica nazional-popolare di Rai 1 da 10 milioni di telespettatori, e l’interrogativo rimbalza con forza a Il caffè dei genitori: la musica deve essere educativa?
Alcuni di noi i testi delle canzoni di Tony Effe & C. già li conoscono, altri si mettono ad ascoltarli dopo la bufera che si è sollevata; persino più di un insegnante ci racconta di essersi ritrovato in auto alla fine delle lezioni a cercarli su Spotify per essere in grado di discuterne con gli studenti; a metà gennaio sulla questione intervengono anche dei pediatri (come PediatraCarla, mezzo milione di follower). Il loro video su Instagram, che totalizza in pochi giorni quasi un milione di visualizzazioni, è la rappresentazione dell’atteggiamento di noi boomer (tutti o quasi) – confermato anche dalle lettere di lettori che scrivono a Il caffè dei genitori e a Le parole dei figli – davanti alla musica trap. Risuonano le parole de La Cura di Franco Battiato «Perché sei un essere speciale. Ed io, avrò cura di te»; mentre in sovraimpressione – e in contrapposizione – appaiono le frasi di Doc 2 di VillaBanks, Tony Effe e Guè «La scopo talmente forte che perderà il mio bambino (forte). Dieci tipe in fila indiana, non so più a chi dare i resti (okay). Le mando a mio fratello chiuso in casa agli arresti (seh)». Almeno tu nell’universo di Mia Martina «Tu, tu che sei diverso. Almeno tu nell’universo. Un punto sei, che non ruota mai intorno a me. Un sole che splende per me soltanto. Come un diamante in mezzo al cuore tu» contro Mi piace di Sfera Ebbasta e Tony Effe «Lei la comando con un joystick. Non mi piace quando parla troppo (troppo). Le tappo la bocca e me la fott* (shh)». Sei nell’anima di Gianna Nannini «E lì ti lascio per sempre. Sospeso. Immobile. Fermo immagine. Un segno che non passa mai» contro Straight Rydah di Emis Killa (che avrebbe dovuto essere anche lui sul palco dell’Ariston, ma si è ritirato dopo essere stato indagato per associazione a delinquere nell’ambito di un’inchiesta sugli ultrà del Milan) «Piscio sopra queste bitches. In rubrica ho più battone che a Sin City. Champagne a litri nel privè, Chardonnay, Moët, queste bestie tornano a casa con me, Noè». Più bella cosa di Eros Ramazzotti «Più bella cosa non c’è. Più bella cosa di te. Unica come sei. Immensa quando vuoi. Grazie di esistere…» contro TVTB di Dark Polo Gang (ex band di Tony Effe) e Fedez «Mangio queste tipe come M&M’s (M&M’s)».
Se, come diceva Vassily Kandinsky, «l’artista è la mano che suona, toccando un tasto o l’altro, per provocare vibrazioni nell’anima», l’obiettivo dei pediatri è evidenziare il contrasto tra i valori trasmessi. L’essenziale di Marco Mengoni, «Mentre il mondo cade a pezzi io compongo nuovi spazi e desideri che appartengono anche a te che da sempre sei per me l’essenziale», contro Non è easy di Shiva, «Se la tipa non vuole farlo, se la scopano i miei. Gli va male perché dopo se la scopano in sei». E tu di Claudio Baglioni «In un sospiro, tu. In ogni mio pensiero, tu. Ed io… restavo zitto, io per non sciupare tutto, io. E baciarti le labbra con un filo d’erba e scoprirti più bella coi capelli in su. E mi piaci di più. E mi piaci di più. Forse sei l’amore», contro Doc 4 di Villabanks, Emis Killa, Ernia e Niky Savage: «Lei su di me s’allena, bagna tutto, si scatena (Spingere). E giriamo un’altra scena mañana se lo fai bene (T***a)».
Non c’è dubbio, però, che questa contrapposizione venga considerata a dir poco cringe (imbarazzante) dagli Gen Z che sono i nostri figli. Loro sono sintonizzati su un’altra lunghezza d’onda che è quella espressa dai rapper Emis killa e Massimo Pericolo in Nel male e nel bene: «Non ho responsabilità verso i fan. Che ci pensi il padre, non chi fa la trap (skrrt, skrrt, skrrt)». Nerissima Serpe dice: «Sento la responsabilità delle cose che scrivo? Io non sono un educatore, non sono un politico. Il mio compito non è educare». Papa V: «Sono i dottori che salvano la vita della gente, non i cantanti. Io ho sempre ascoltato i Dogo e non sono finito a farmi le botte di coca in bagno perché loro raccontavano quel mondo. La musica è una cosa, la realtà e la vita sono un’altra. Sono i genitori e la scuola che devono educare, non i rapper». In sintesi: noi genitori mettiamo sotto accusa i rapper per i testi delle loro canzoni? L’attacco ci torna indietro come un boomerang ricordandoci che il compito di educare è il nostro! A Il caffè dei genitori ci viene da dire (anche se non tutti sono d’accordo) che un po’ di ragione ce l’hanno anche loro.
Del resto, davvero i brani dei nostri tempi ci ispiravano l’amore romantico, e quelli trap rischiano di crescere Gen Z con modelli sballati? Per dircela tutta, non è che negli anni Ottanta-Novanta, durante la nostra adolescenza, fossero tutte rose e fiori. In Colpa di Alfredo Vasco se la prende con «la t***a che è andata a casa con il negro!»: «E lei invece non ha perso tempo. Ha preso subito la palla al balzo. L’ho vista uscire, mano nella mano, con quell’africano che non parla neanche bene l’italiano, ma si vede che si fa capire bene quando vuole? Tutte le sere ne accompagna a casa una diversa, chissà che cosa le racconta, per me è la macchina che c’ha che conta!». Per Riccardo Cocciante è Bella senz’anima, per Marco Masini è una Brutta stronza. Nulla in confronto ai brani di oggi?
«Sparo a un figlio di puttana in un minuto. Trovo un bel pezzo di f**a e ci entro dentro. Quindi se sei a uno spettacolo in prima fila ti chiamerò t***a o t***a sporca. Probabilmente ti arrabbierai come una t***a dovrebbe fare. Ma questo mi dimostra, sgualdrina, che non sei contraria»: è il 10 luglio 1988 quando esce Straight Outta Compton degli N.W.A, inseriti dalla rivista Rolling Stone nella classifica dei 100 artisti musicali più importanti di sempre e annoverati tra i principali ispiratori del gangsta rap o g-rap, caratterizzato da testi esplicitamente violenti ispirati allo stile di vita di strada delle bande dei ghetti americani. Droghe, armi e misoginia: insomma, i trapper italiani non si sono inventati nulla.
Forse, dunque, come mamme e papà, più che confidare su una «musica educativa», dobbiamo continuare ad interrogarci sul mondo misogino che può produrre quel tipo di testi e ad aiutare i figli a sviluppare un senso critico. A tal proposito quello che ci sorprende più di tutto a Il caffè dei genitori è una sorta di contraddizione della Generazione Z, in particolare delle adolescenti. Sempre più attente al linguaggio inclusivo e pronte a scagliarsi contro il coetaneo che fa jokes (battute) sessiste, considerandole giustamente delle red flags (ossia dei campanelli di allarme) su una persona da cui è meglio stare alla larga. E poi cantano i brani di Tony Effe & C.? A giustificarli basta il fatto che raccontano la loro realtà, in nome dell’arte libera in cui ognuno ha il diritto di esprimersi e ognuno può ascoltare quello che vuole? Chi lo sa!