Come cantavano i Gotthard: One Team One Spirit

by Claudia

Verrebbe la tentazione di pensare che le sciatrici svizzere delle discipline veloci, per una questione di pudore nei confronti delle rivali, abbiano espressamente rinunciato alla loro porzione di medaglie ai Mondiali, ma non è così. Con il loro apporto, il record di quattordici medaglie conquistate a Crans-Montana nel 1987 sarebbe stato demolito.

Non mi soffermo a celebrare i fasti della nostra Nazionale. Von Allmen, Meillard, Rast, Odermatt e gli altri, sono già stati universalmente osannati. Mi focalizzo invece su alcune immagini che raccontano più delle parole. Penso alla corsa di Lara Gut-Behrami per abbracciare Wendy Holdener nel momento in cui la coppia rossocrociata realizza di aver conquistato la medaglia d’argento in combinata. In quell’istante, tutto viene ribaltato. La regina Lara tributa alla principessa Wendy tutta la sua gratitudine, confermando quanto la rivalità interna sia prima di tutto costruita su un profondo senso del rispetto e dell’amicizia. Facile, direte, quando le cose vanno bene.

Il giorno seguente, gli abbracci a fine gara fra i sei rossocrociati che hanno monopolizzato il podio della combinata, sono stati un’ulteriore conferma dello straordinario spirito di squadra degli elvetici. Difficile capire chi avesse conquistato l’oro, chi l’argento, e chi il bronzo. Era un autentico tripudio collettivo. Un paio di giorni prima era circolata la fotografia di tutta la squadra svizzera maschile, con la calotta cranica devastata da una serie di rasature improponibili, per festeggiare i trionfi dei nostri uomini-jet. «La mia fidanzata non era molto contenta», dichiarerà Marco Odermatt. Poco importa, non sarà un taglio alla Kojak a compromettere una storia d’amore. Queste scelte goliardiche sono figlie di dinamiche di gruppo in cui tutto funziona alla perfezione.

A conferma di quanto sia cresciuta la nazionale svizzera di sci alpino negli ultimi dieci, quindici anni, racconto un aneddoto di cui fui spettatore ai Mondiali del 1999 a Vail, nel Colorado. Fu un’edizione avara di soddisfazioni per i colori rossocrociati. Il grigionese Paul Accola conquistò il bronzo in combinata. Il vallesano Steve Locher quello in gigante. In una competizione svolta lontano dalle nevi di casa, si instaurarono delle relazioni di maggiore vicinanza tra atleti e giornalisti. Eravamo, tutti insieme, degli esuli provvisori. Ma scattò anche un sentimento di frustrazione tra noi suiveurs. Al punto che la scommessa tricologica la fece una collega dai capelli scuri. «Se Steve Locher va sul podio, mi tingo di biondo». Detto, fatto. Da allora, le coordinate sono cambiate radicalmente. Negli ultimi anni la Svizzera è la nazione dominante. Ha scalzato dal vertice le aquile austriache, che anche nel Mondiale in casa loro, hanno dovuto ascoltare più volte il salmo svizzero.

Non conosco le alchimie che si creano all’interno di una squadra di sci. Immagino che nascano delle relazioni più profonde rispetto a quelle di una squadra di calcio, i cui membri (ritiri a parte) ogni sera se ne tornano a casa loro. Nello sci, ci si alza alla stessa ora, di regola molto presto. Si vive il rito comunitario della prima colazione. Si sale sulle piste di buonora, spesso quando è ancora buio, per preparare tutto quanto serve per la gara. Dopo di che, arriva l’unico momento di solitudine, quando ogni atleta cerca di isolarsi nella sua personalissima bolla, per ritrovare memoria e concentrazione. Alla fine, di nuovo tutti insieme, a condividere delusioni e tristezza, gioia e onori. È inevitabile? Forse. Bisogna disporre di leader e di mentori dalle capacità relazionali straordinarie, per iniettare nel gruppo il senso dell’empatia e della condivisione.

L’immagine di Marco Odermatt che vive autenticamente l’emozione di Franjo Von Allmen per l’oro in libera, colpisce quanto quella in cui, da spettatore, saluta il trionfo dei suoi compagni in combinata. Lui leader, re, numero 1, a soli 27 anni ha assunto il ruolo del «vecchio saggio» capace di riporre nel cassetto più intimo la sua delusione, per celebrare il successo dei compagni. Anche in questo caso, come per le discesiste, ci sarebbe da rallegrarsi. Marco, l’alieno, torna sulla terra. Tutti noi lo sentiamo come più umano. Per fortuna, verrebbe da dire. È stimolante sapere che ogni tanto qualcuno lo sconfigge. Ma sotto sotto diciamo così perché sappiamo che questo accade, e accadrà, solo ogni tanto.