Consigliere federale? No, grazie

Meglio di no, non fa per me, mi dedico ad altro, non ne ho voglia… Una sfilza di «no grazie» ha accompagnato il processo di selezione dei candidati alla successione di Viola Amherd. Stupore e meraviglia. Un po’ tutti ci siamo chiesti: ma allora la carica di Consigliere federale non è più attrattiva, non seduce più i politici come una volta? Di Flavio Cotti si diceva che aveva studiato da consigliere fin da piccolo, che la carriera l’aveva nei cromosomi. E si pensi a quante rivendicazioni in passato sono state avanzate, specialmente in Ticino, affinché nel collegio governativo entrasse anche un rappresentante della minoranza italofona. Come spiegare simile riluttanza? Ci sono sicuramente fattori personali e familiari; altri impegni già assunti in precedenza, che si vuole portare a termine nel proprio Cantone o in una delle due Camere federali. Sedere in Consiglio federale vuol dire disponibilità al dialogo e al compromesso, e non tutti dispongono di questa qualità. Alcuni fanno fatica, vivono questa condizione come una camicia di forza, una limitazione della libertà, dato che il desiderio di primeggiare è altamente sconsigliato. Pensiamo all’estromissione dello scomodo Blocher, all’insofferenza di Couchepin, all’alterigia di Furgler, anzi del Doktor Kurt Furgler. Reggere le critiche che provengono dal Parlamento e dal fronte dei media non è da tutti. Molti si ritrovano a mangiarsi il fegato perché le considerano infondate o ingenerose.

C’è poi l’onere della carica, la responsabilità di guidare dipartimenti che nel corso del tempo sono cresciuti a dismisura, conglomerati di settori anche molto diversi tra loro, strutturalmente complessi, eppure presenti sotto il medesimo tetto. Spaventa, in particolare, il gigantismo del Dipartimento federale della difesa, della protezione della popolazione e dello sport: 12mila addetti distribuiti nei vari comparti, dal Servizio informazioni, alle aziende incaricate di produrre armi e munizioni per l’esercito (Ruag e Armasuisse). Ogni decisione di acquisto (velivoli, droni, sistemi di sorveglianza dello spazio aereo) deve passare al vaglio delle Camere e spesso del voto popolare. E anche quando arriva il benestare generale non tutto fila liscio, con aerei che restano a terra e droni che precipitano. Le iniziative per riorganizzare il Governo in modo razionale inserendo nell’organigramma nuove figure apicali col compito di sgravare il capo-dipartimento sono puntualmente fallite. Sempre si è temuta l’esplosione dei costi e un incremento abnorme del potere dell’amministrazione. Sta di fatto che la gestione di un simile «Tanker», o nave-cisterna (come la chiamano a Berna), succhia energie e inghiotte risorse, rendendolo poco appetibile.

Per fortuna finora il sistema ha retto. Caso unico al mondo, con i suoi sette membri (numero invariato dal 1848), il Consiglio federale non ha almeno apertamente nemici che brigano per riformarlo alla radice. I tentativi, che pur non sono mancati nel corso dei decenni, di farlo eleggere direttamente dal popolo non sono mai andati in porto. E si capisce: nessuno ha interesse a sovvertire un sistema fondato su un’impalcatura di delicati equilibri: partitici, linguistici e regionali (un tempo anche confessionali, cattolici e protestanti). È un consesso che garantisce soprattutto stabilità e continuità, ovvero assenza di sorprese spiacevoli come una crisi di Governo. Chi esce di scena lo fa solitamente in punta di piedi, come conclusione naturale di un percorso. Strana creatura, il Governo centrale. Solo alcuni dei suoi membri restano conficcati nella memoria collettiva per particolari meriti o per la durata del mandato. I più svaniscono nelle nebbie della dimenticanza, per ricomparire soltanto nei repertori degli storici (tra questi spicca l’opera di Urs Altermatt, autore che al Consiglio federale e ai suoi protagonisti ha finora dedicato tre volumi e una galleria di ritratti disponibile – in seconda edizione – anche in italiano presso l’editore Dadò). Difficile anche trarre un bilancio dell’opera dell’uno o dell’altro (o dell’altra), dei risultati raggiunti, dei progetti rimasti sospesi. Da segnalare infine questa particolarità, molto elvetica: al di fuori del bacino elettorale di riferimento, che è di solito il Cantone, pochi osservatori possono dire di conoscere davvero i candidati in lizza con i loro pregi e difetti. Solo chi frequenta il Palazzo sa inquadrarli e valutarli. Per la maggioranza della popolazione i prescelti rimangono dei perfetti sconosciuti fino al giorno dell’elezione.

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