Cooperazione: il superpotere che ci rende umani

La nostra evoluzione è stata influenzata dalla biologia in modi ai quali spesso non pensiamo. Per ricordarci che cosa ci rende «umani» vale la pena addentrarsi tra le pagine di un libro appena pubblicato in italiano, scritto da Lewis Dartnell, docente di Comunicazione scientifica alla University of Westminster di Londra e giornalista scientifico pluripremiato. Essere umani. Come la biologia ci ha reso ciò che siamo (Il Saggiatore) è un racconto di quanto il nostro corpo, con i suoi difetti e le sue capacità, ha modellato la società, la cultura e l’economia. La nostra vulnerabilità a virus e batteri ha influito sullo sviluppo di certe civiltà rispetto ad altre, ed eventi epocali del passato sono stati determinati da pregiudizi mentali introiettati con l’evoluzione. Il volume è un excursus sulle modalità con cui abbiamo cercato di liberarci dai vincoli della genetica, modificando la nostra stessa natura.

Lewis Dartnell, che cosa ci rende umani?
Ciò che ci rende umani è la nostra storia evolutiva da quando abbiamo intrapreso una strada diversa da quella dei nostri antenati, gli scimpanzè, circa sette milioni di anni fa. Da allora ci siamo evoluti per diventare molto più intelligenti e capaci con il linguaggio e con l’uso degli strumenti. Alcuni di questi adattamenti evolutivi sono stati decisivi nell’influenzare la storia umana.

Nel suo libro usa l’analogia dell’hardware e dei software. Può spiegarla?
Il cervello è come l’hardware del computer, cioè un sistema che usiamo per elaborare le informazioni, percepire il mondo che ci circonda e scegliere i nostri comportamenti. Nel cervello, l’hardware esegue i software. In questi ultimi ci sono dei difetti, i pregiudizi cognitivi, che accompagnano da sempre la nostra psicologia. Esistono diversi esempi, nel corso della storia, che dimostrano come non sempre pensiamo in modo perfettamente razionale. Ad esempio, Cristoforo Colombo ha messo in atto una straordinaria ginnastica mentale per conservare la propria convinzione di aver raggiunto l’Oriente e non una strana nuova terra (era sbarcato ai Caraibi). Eppure i segnali erano chiari. L’interprete che lo accompagnava parlava diverse lingue asiatiche, ma non riusciva a farsi comprendere dagli abitanti che incontrarono. Le popolazioni locali andavano in giro nude, vivendo un’esistenza diversa da quella dei racconti di Marco Polo sull’Asia. Colombo non riuscì nemmeno a trovare le spezie orientali come la cannella, il pepe, la noce moscata, lo zenzero e il cardamomo. Però, nei suoi quattro viaggi che lo portarono a esplorare il Nuovo mondo per oltre dodici anni, non accettò mai di avere raggiunto un luogo diverso da quello che si aspettava perché guardava tutto attraverso la lente delle proprie convinzioni.

Qual è stata l’influenza della genetica nella storia umana?
Rispondo a questa domanda molto ampia con un esempio tratto dal mio libro. Pochissimi altri esseri sulla terra hanno la nostra particolare mutazione genetica che ha messo fuori uso la capacità di produrre la vitamina C. Questo difetto nel nostro Dna si è manifestato in certi periodi storici, quando le persone non avevano molto da mangiare, come durante le carestie. Divenne una mancanza determinante per i marinai che stavano mesi sulle navi, all’epoca del commercio marittimo e delle marine militari. La carenza di vitamina C provoca lo scorbuto. Alla fine ci si è resi conto che mangiare agrumi come limoni o lime era particolarmente efficace per evitare di ammalarsi. Dopo le guerre napoleoniche, la Royal Navy, la marina militare britannica, trasformò la Sicilia in un’enorme «fabbrica» di limoni per fornire antiscorbutici ai suoi equipaggi in tutto il mondo. L’aumento della domanda di agrumi, dovuta agli approvvigionamenti navali, creò un boom della merce e iniettò un flusso enorme di contanti. Questa situazione, combinata a un’incapacità di far rispettare le leggi in tutte le aree della Sicilia da parte dei diversi governi, portò all’emersione della mafia.

Perché la cooperazione è «il superpotere della nostra specie»?
Se ci confrontiamo con altri primati come le scimmie notiamo che i loro tassi di aggressività fisica – anche tra i più pacifici bonobo – sono oltre cento volte più alti dei nostri. La riduzione della violenza reattiva, di cui parlano gli psicologi evoluzionisti e i paleontologi, ha permesso agli esseri umani di vivere in grandi popolazioni e stabilirsi nei villaggi dove tutti cooperavano insieme per creare i prodotti del lavoro di squadra. La stessa civiltà è costituita da grandi gruppi di persone che convivono in modo relativamente pacifico e si sostengono a vicenda.

Nel suo libro lei considera non solo la biologia, ma anche la cultura come fattore decisivo quando pensiamo all’evoluzione.
I fattori biologici sono stati estremamente importanti nel corso della storia umana, ma non ne siamo schiavi. Non credo nel semplice determinismo. Le società che abbiamo costruito ci hanno permesso di andare oltre il nostro patrimonio biologico. Alcuni aspetti della cultura sono rappresentati dalle invenzioni, sviluppate per compensare le nostre debolezze: tutta la tecnologia del mondo moderno, dall’elettricità a Internet, serve per permetterci di vivere in modo più confortevole.

Dobbiamo affrontare le conseguenze delle conquiste tecnologiche, come il cambiamento climatico e il riscaldamento globale. Lei è ottimista rispetto a questi problemi. Perché?
Il cambiamento climatico e il riscaldamento globale sono la conseguenza non intenzionale di un problema cominciato nel 1700. In quel periodo gli esseri umani si sono resi conto che non riuscivano ad abbattere abbastanza alberi per la legna da ardere e hanno iniziato a cercare sottoterra e a bruciare le foreste fossilizzate, cioè i giacimenti di carbone. Da allora abbiamo rilasciato troppa anidride carbonica nell’atmosfera, condizionando il clima. Abbiamo creato dei problemi con la nostra intelligenza e la tecnologia, ma io sono ottimista sul fatto che possiamo risolverli. Però dobbiamo lavorare sodo, tutti insieme, cambiando i nostri stili di vita.

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