Il jazz del bosco

Non sarà il disco più accattivante che abbiate mai sentito, ma dopo aver ascoltato il suo artefice raccontare l’origine di questa pubblicazione, non potrete non esserne incuriositi. Ivano Torre, percussionista bellinzonese attivo da molti anni sulla scena musicale con una serie di proposte sempre estremamente originali e imprevedibili, si è confrontato in questo suo ultimo lavoro con il canto degli uccelli, che è diventato un suo ambito di studio e di ricerca, in particolare nel periodo del lockdown. «Sono sempre stato affascinato dall’aspetto musicale del mondo naturale» ci ha raccontato. «Come artista e come amante della natura. Mi capita spesso di camminare nei boschi e di fermarmi ad ascoltare questi meravigliosi canti. Finché, a un certo punto, ho pensato di farli diventare la traccia guida di un lavoro».

Torre, oltre a essere un valente performer, è anche un profondo ricercatore nel mondo dei suoni, e ha quindi iniziato a registrare il canto di alcune specie di uccelli, tra cui alcune tra le più comuni nei nostri boschi. Pettirosso, fringuello, tordo, merlo, barbagianni, cardellino e usignolo gli hanno fornito quindi la materia prima per un viaggio di esplorazione, potremmo dire, «microscopica» in un mondo sonoro assolutamente inaspettato.

«Ho cominciato a cercare un tratto comune nel canto di quelle varie specie e mi pareva di averlo trovato in una cellula ritmica minima, una frase musicale tenuta su un tempo di sette ottavi. Ho chiamato questa cellula sonora “codice” e ognuna delle composizioni che ho creato ne contiene una forma specifica per ogni specie».

Oltre a questa componente ritmica, Torre ha poi elaborato il frammento di canto, rallentandolo fino a mille volte con un programma di trattamento digitale del suono. Il risultato dell’esperimento si è dimostrato sconvolgente: «Un piccolo estratto dal canto di merlo, ad esempio, ha rivelato caratteristiche incredibili. Se noi rallentiamo di mille volte un frammento di parlato umano, non sentiamo praticamente più nulla, solo un brontolio molto basso. Gli uccelli invece modulano il loro canto su frequenze altissime, che, rallentate, riescono ancora a produrre suoni all’interno della gamma che noi possiamo udire. E quello che si sente è semplicemente straordinario».

Torre ci fa ascoltare questa nuova versione rallentata del canto del merlo. E quello che si può percepire, incredibilmente, è una composizione sinfonica fantascientifica, fatta di suoni lunghi e armoniosi, ma anche di scricchiolii, di rintocchi percussivi, di timbri di strumenti mai esistiti, con una sua bellezza coinvolgente e quasi miracolosa. «In pratica» continua il batterista, «ho semplicemente cercato di trascrivere questi brani, che la natura stessa fornisce, in partiture visuali che io con le mie percussioni insieme al pianista Carlo Maria Nardoni abbiamo eseguito e registrato negli studi di Rete Due Rsi».

Il disco, intitolato Cantus Avium, è edito da Altrisuoni; ha all’interno della copertina la riproduzione delle partiture stesse, che si presentano in forma di grafici iconografici, simili a quelli dei grandi compositori del Novecento, come Berio o Stockhausen: più che spartiti nel senso tradizionale sono indicazioni di intenti che i musicisti interpretano secondo un preciso e preordinato percorso cronometrico. Non mancano, infatti, nonostante la trama apparentemente aleatoria e improvvisativa, degli ostinati suonati all’unisono, parti coordinate tra i due strumentisti. Il tutto per dar forma a un’esperienza d’ascolto davvero straordinaria e sorprendente che conferma il genio imprevedibile del bravo e coraggioso Ivano Torre. Musicista che non si accontenta del «già sentito» ma cerca sempre nuove vie di espressione per la sua unicità artistica.

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