«Vedere le donne che lavorano nelle cucine, nei cortili oppure che raccolgono l’acqua dai pozzi può provocare atti osceni», per non parlare dei pensieri… Secondo il portavoce dei talebani Zabihullah Mujahid, che parla per conto del leader supremo Hibatullah Akhundzada, la visione di un grosso fagotto di stracci neri che in religioso silenzio «spignatta» per la famiglia o trascina anfore piene d’acqua è suscettibile di scatenare indicibili turbamenti nell’animo (e zone adiacenti) dei «guerrieri della fede» che governano l’Afghanistan, e nei sensibili virgulti che compongono le milizie e la pubblica amministrazione dei terroristi al Governo. Così – dopo avere impedito a ragazze e bambine di andare a scuola, di passeggiare nei parchi, di andare in palestra o dal parrucchiere, di lavorare fuori casa e di uscire senza un maschio che le accompagni, di andare dal medico, di rivolgere la parola a un qualunque uomo fosse anche per comprare le patate, di recitare, di cantare o anche di parlare tra di loro se possono essere udite dalle suddette sensibilissime orecchie maschili – i talebani sono arrivati alla terribile apoteosi. Le donne, pur occultate sotto la indegna montagna di stracci che sono obbligate a indossare, non possono essere viste nemmeno dentro casa loro. Ergo: i nuovi edifici devono essere costruiti rispettando i nuovi canoni, cioè l’assenza di finestre in tutti i luoghi in cui una donna potrebbe essere vista dai passanti.
Secondo il decreto, le finestre non devono affacciarsi o guardare in aree come cortili o cucine. Se una finestra si affaccia su uno spazio di questo tipo, come in tutte le case attualmente esistenti in Afghanistan, la persona responsabile della proprietà deve trovare un modo per oscurare questa vista e «rimuovere il danno», installando un muro, una recinzione o uno schermo «per evitare fastidi ai vicini». Il fastidio, cioè, di cogliere anche per un momento la visione oscurata e silenziosa di un essere umano di sesso femminile. Il cui valore, è bene ricordarlo, per molti ideologhi è pari o di un gradino inferiore a quello di un qualunque capo di bestiame. Negli stessi giorni i citati «guerrieri della fede», verosimilmente terrorizzati a morte dalla figura femminile che cercano di cancellare, hanno inviato un ultimatum a tutte le organizzazioni internazionali che lavorano ancora in Afghanistan e che impiegano ancora delle donne: o le rimandano a casa immediatamente oppure, «in caso di mancata collaborazione, tutte le attività di quell’istituzione saranno cancellate e anche la licenza di attività concessa dal Ministero sarà annullata». Non solo: le organizzazioni internazionali non sono autorizzate nei documenti ufficiali nemmeno a usare la parola «donna». Basta il termine, a quanto pare, per provocare gli inenarrabili turbamenti di cui sopra ai funzionari deputati a leggere i rapporti: funzionari, soldati o governanti che, per inciso, non hanno alcun problema a giocare a pallone con le teste dei nemici e altre amenità del genere ma tremano anche soltanto nel leggere la parola «donna». Così come non hanno alcun problema, come esplicitamente ribadito dal Governo nel marzo 2024, a lapidare a morte le adultere sulla pubblica piazza. Dove per «adultera» si intende nella maggior parte dei casi una donna stuprata che è stata così incauta da denunciare il suo stupratore: se lo stupro non viene infatti confermato da quattro testimoni maschi e musulmani (che sono in genere gli stupratori), la donna che denuncia viene processata per adulterio. La giustizia secondo i talebani.
Che però, ai tempi dello sciagurato Accordo di Doha del 2020 – trattato di pace tra la fazione afghana dei talebani e gli Usa che prevedeva di porre fine al conflitto armato in Afghanistan, disponendo il totale ritiro delle forze armate statunitensi – non avevano mai fatto mistero delle loro intenzioni: di «assicurare» cioè i diritti delle donne e di tutti i cittadini afghani «secondo la Sharia», la legge islamica. E tutti, però, anche quelli che sapevano e che ricordavano benissimo l’Afghanistan prima dell’11 settembre, hanno fatto finta di nulla applaudendo ai «talebani 2.0», così «socievoli» e «amichevoli». Un coro di nefaste cheerleader capeggiate dall’attuale segretario generale delle Nazioni unite, António Guterres, che chiedeva a gran voce di dare una possibilità alla pace e, soprattutto, di dare una possibilità a quel manipolo di terroristi misogini. I risultati sono davanti agli occhi di tutti e tutte. Se le donne sono la metà del cielo, il cielo dell’Afghanistan è per metà oscurato. Un buco nero che ha inghiottito donne, ragazze e bambine, assieme a qualunque parvenza di dignità dell’Occidente e delle istituzioni internazionali. Quelle stesse istituzioni che denunciano fiaccamente le violazioni di qualunque legge civile, umana e morale ai danni delle donne, ma che continuano ad ammettere i talebani, alle loro condizioni, in qualunque consesso internazionale e a fare affari con loro con varie giustificazioni di lana caprina: la pace si fa con i nemici, bisogna usare il dialogo per non creare la prossima generazione di terroristi, bisogna rispettare la loro cultura. Le stesse giustificazioni usate a suo tempo dall’ineffabile primo ministro inglese Chamberlain nei confronti di Adolf Hitler: sappiamo tutti come è andata a finire… E sappiamo tutti come finirà, come è già finita a Kabul e dintorni, ma non ci importa. Nessuno marcia in solidarietà delle afghane: non l’Occidente, non i loro uomini. I rapporti pubblicati diventano carta straccia il giorno stesso della loro pubblicazione, l’indignazione nasce e muore nello spazio di un mattino. Ciò che rimane, per le donne afghane, è soltanto silenzio. Il silenzio delle loro case tramutate in sepolcri. In cui la vita somiglia ogni giorno di più alla morte.