Riconoscere e curare il linfedema

Giovedì 6 marzo si celebra la Giornata Mondiale del Linfedema, una patologia cronica e progressiva del sistema linfatico, ma che può causare gravi disabilità. Si tratta di una patologia ancora poco nota malgrado molte persone ne soffrano. Di fatto, nonostante non esistano dati precisi sulla sua incidenza nella popolazione, le statistiche dicono che circa 140-250 milioni di persone al mondo ne soffrono. Da qui l’importanza di accendere i riflettori sulle malattie del sistema linfatico che la Giornata mondiale ad esse annualmente dedicata sviluppa in parecchi cantoni della Svizzera attraverso diverse iniziative (conferenze pubbliche, simposi e altro a tema).

Il termine deriva dal greco ed è composto da linfo e edema: «Il linfedema interessa solitamente gli arti inferiori o superiori, ma può manifestarsi in qualsiasi parte del corpo come viso, collo, bacino, torace, bocca, con il caratteristico gonfiore che determina cambiamenti della pelle e dei tessuti. In pratica, parliamo di linfedema quando siamo dinanzi a un ristagno di liquidi dei tessuti dovuto a una compromissione o un blocco del sistema linfatico».

Così esordisce il dottor Corrado Campisi, specialista in Chirurgia plastica e ricostruttiva che dal novembre scorso coordina il Centro multidisciplinare specializzato nella diagnosi e nella cura delle patologie linfatiche alla Clinica Sant’Anna di Sorengo, sottolineando in prima battuta l’importante funzione del nostro sistema linfatico: «Per l’organismo, la circolazione linfatica è uno dei sistemi di difesa fondamentali contro le infezioni: è indispensabile per espellere sostanze tossiche e i liquidi che filtrano dai capillari sanguigni». Svolge questa sua importante funzione per mezzo della linfa: «Scorrendo nei vasi linfatici, essa si raccoglie nei linfonodi (ndr: centri di filtraggio specifici) adibiti alla depurazione dell’organismo».

Diverse le cause che possono condurre a questa patologia, così riassunte dal dottor Campisi: «Fra i fattori di rischio vi sono infezioni ripetute derivanti, ad esempio, dal diabete (che diminuisce la resistenza immunologica alle infezioni) e l’obesità, alla quale si riconosce una valenza importante per lo sviluppo di questa patologia perché ogni punto aumentato di indice di massa corporea aumenta esponenzialmente il rischio delle problematiche linfatiche (e non solo del linfedema). Vi sono inoltre alcune cause minori come, ad esempio, una semplice manicure o pedicure non effettuata ad opera d’arte». Infine, egli parla dei «fattori costituzionali, ormonali e genetici»: «Sono tutti potenzialmente associati, e a questi si aggiungono quelle patologie che stimolano l’attivazione del sistema immunitario come, ad esempio nelle donne, le alterazioni della tiroide e la tiroidite di Hashimoto». In base alle cause che ne hanno determinato l’insorgenza, il linfedema si può distinguere in primario e secondario: «Primario, o genetico, è dovuto a un insufficiente sviluppo delle strutture anatomiche deputate al drenaggio della linfa. Si distingue tra quello congenito (già presente alla nascita), precoce (insorge prima dei 35 anni) o tardivo (dopo i 35 anni). Mentre quello secondario (o acquisito) riguarda l’ostruzione o la distruzione dei vasi linfatici». Queste cause sono metà e metà: «Nel 50 per cento l’origine è una malformazione e un mal funzionamento dei vasi linfatici e/o dei linfonodi. L’altra metà ha origine post-chirurgica come trattamento di tumori maligni della sfera urogenitale maschile e femminile o del melanoma, senza però dimenticare i trattamenti chirurgici per l’asportazione del tumore al seno al seguito dei quali si possono manifestare condizioni di sofferenza a carico della cicatrice, dell’articolazione della spalla e dell’ascella». Lo specialista ne descrive le conseguenze: «Sensazione di dolore più o meno grande, e difficoltà nella circolazione linfatica che, precocemente o anche dopo molto tempo, può sfociare in un linfedema».

Significativa la testimonianza di una paziente attualmente in cura dal dottor Campisi: Roberta (nome noto alla redazione) che oggi si trova a fare i conti con un linfedema manifestatosi parecchio tempo dopo l’intervento del 1993 per la rimozione di un tumore al seno durante il quale le furono asportati parecchi linfonodi ascellari: «Dopo l’intervento avevo il braccio un po’ diverso da quello sano, ma niente di ché: all’inizio non ho avuto disturbi fino a quattro anni fa quando, cadendo, mi sono rotta l’omero di quel braccio e sono stata operata per mettere una placca. A quel punto il mio braccio ha iniziato a gonfiarsi; il medico ha detto che la causa risaliva alla mastectomia durante la quale mi erano stati rimossi tanti linfonodi». Roberta affronta dapprima terapie conservative che pare abbiano un buon effetto: il linfodrenaggio e la pressoterapia. Poi qualcosa cambia: «Dopo un paio d’anni, il braccio ha iniziato a gonfiarsi nuovamente e le sedute di linfodrenaggio funzionavano sempre meno». Fino allo scorso mese di maggio, quando è approdata dal dottor Campisi che, spiega la paziente, «ha dapprima percorso la via conservativa (con linfodrenaggio e pressoterapia) e visto che non aveva più effetto, oggi abbiamo pianificato l’intervento chirurgico». Dal canto suo, lo specialista spiega che la presa a carico del linfedema è indirizzata alla riduzione del gonfiore e al miglioramento della sintomatologia e dei disturbi funzionali correlati. «L’approccio è multidisciplinare e i metodi terapeutici sono strettamente dipendenti dalla causa che ha provocato la condizione. Essi comprendono una terapia conservativa finalizzata alla mobilizzazione dell’edema attraverso compressione, linfodrenaggio, massaggi e bendaggi, fino a un trattamento chirurgico (bypass per permettere lo scorrimento della linfa, riduzione o ricostruzione dei tessuti molli). Anche la terapia farmacologica può essere parte del percorso terapeutico». Ad ogni modo: «La scelta chirurgica comporta un intervento di microchirurgia, derivativa o ricostruttiva e la persona va seguita e monitorata nel decorso post-operatorio che, comunque, implica un veloce ritorno alle attività quotidiane».

Lo specialista sottolinea che per un buon esito è essenziale l’approccio multidisciplinare. Inoltre «non dobbiamo dimenticare che, fra le malattie linfatiche, il linfedema registra annualmente decine di migliaia di nuovi casi; è una patologia il cui gonfiore manifesto può causare dolore, ingombro, difficoltà nelle attività quotidiane, come vestirsi o lavarsi». Infine, un cenno importante sulla prevenzione. «Il linfedema si può tanto curare quanto prevenire: abbiamo a disposizione test genetici e la Scintigrafia linfatica che permettono di individuare il rischio che si formino linfedemi. Questo “giocare d’anticipo”, insieme a un’igiene di vita adeguata, andranno a tutto vantaggio della salute e della cura dei pazienti e delle pazienti».

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