Tornare sui propri passi

Questo articolo è dedicato a coloro che, al pari di chi scrive, non mancano mai di lamentare come, oggigiorno, l’accezione più popolare e mainstream della scena pop-rock non brilli esattamente per raffinatezza o cultura: ascoltatori perlopiù disillusi, i quali, però, sanno riconoscere un’eccezione quando ne vedono una – e che, di conseguenza, sono in grado di apprezzare l’integrità e sincerità di un nome di richiamo (il cui momento di massima fama risale, in effetti, a qualche anno fa), tuttora capace di incidere brani di grande impatto.

Mi riferisco al 34enne cantautore irlandese Hozier, salito alla ribalta nel 2013 grazie al successo vertiginoso della sua ballata Take Me to Church, uno dei pezzi più efficaci degli ultimi anni; un artista ancora giovane ma non esattamente prolifico, il quale, tuttavia, ha appena fornito un’ulteriore prova della propria onestà e coerenza compositiva con la recente pubblicazione di Unreal Unearth: Unending, versione ampliata del suo terzo album, risalente al 2023. Si tratta infatti di un’edizione nella quale l’autore ha deciso di includere diverse tracce extra, all’epoca escluse dalla tracklist originale: il risultato è un’opera ancora più completa, la quale, lungi dall’accettare di piegarsi alle sonorità idealmente più commerciali, riesce a creare un equilibrio pressoché perfetto tra le necessità del pop-rock radiofonico e quelle del cantautorato alternativo. Il che permette a Hozier di mantenere intatto uno stile ormai collaudato, caratterizzato da riferimenti di tipo storico e letterario particolarmente intriganti, in quanto per nulla scontati.

Una tendenza che, del resto, risplende già in Eat Your Young, prescelto come singolo apripista al tempo dell’uscita dell’album: un vero e proprio tour de force all’interno dell’ambiguità lirica da sempre tanto cara al cantante, qui alle prese con una rievocazione della caustica satira che, in risposta alla devastante povertà settecentesca del popolo irlandese, lo scrittore Jonathan Swift (sì, proprio quello de I Viaggi di Gulliver) rivolse ai politici inglesi – suggerendo come i mendicanti avrebbero fatto meglio a vendere i propri figli per farne (letteralmente) cibo per ricchi.

E in effetti, in Unreal Unearth: Unending, il gioco dei rimandi colti coinvolge quasi tutti i brani della tracklist, legati tra loro da un evidente fil rouge – ovvero, quello del trapasso, qui inteso come momentanea dissoluzione corporea e metafisico viaggio in un’altra dimensione: non a caso, l’intero lavoro è stato ispirato da una rilettura della Divina Commedia, in particolare dell’Inferno, come evidenziato dalla ballata Francesca, incentrata sul tragico legame con Paolo che fa della protagonista la metà femminile dei celebri amanti, da Dante relegati a un infausto destino; oppure lo straziante lento I, Carrion (Icarian) – in cui la morte di Icaro diventa una riflessione romantica basata sulle assonanze linguistiche – o il lapidario All Things End, il cui videoclip mostra esplicitamente la morte all’opera su un tavolo operatorio, tracciando un parallelo tra la dipartita fisica e la fine di un amore («ogni cosa finisce / e tutto ciò che intendiamo compiere è costruito sulla sabbia»).

Tuttavia, la vera gemma di quest’album sono le tracce extra, semplici outtakes ora promossi al rango di brani a tutti gli effetti, quasi tutti già pubblicati in due EP usciti nel corso del 2024 – tranne l’inedito Hymn to Virgil, pezzo di grande forza espressiva che ci accompagna di nuovo negli abissi dell’ignoto, dove Dante viene condotto dal suo mentore Virgilio; mentre il suggestivo Empire Now vede una riflessione sulla fragilità tramutarsi in una strenua, disperata rievocazione dell’indipendenza irlandese dall’impero britannico.

Eppure, anche nel mezzo di tanta aspra intensità, Hozier sa offrire all’ascoltatore aperture all’ironia e a quella che, nonostante tutto, si potrebbe definire una forma di scanzonata fiducia nel futuro – come in Too Sweet, esempio da manuale del genere di ballata d’amore equivoca e disturbante da sempre cara all’autore; o Fare Well, che sembra addirittura suggerire la possibilità di una guarigione emotiva dall’infinito dolore di un amore malato.

E se è vero che, pur in questa versione «riveduta e corretta», nemmeno Unreal Unearth può del tutto competere con l’immediatezza dell’album d’esordio di Hozier, il CD rappresenta comunque una nuova, gradita conferma dell’integrità di un artista che, lungi dall’arrendersi a un qualsiasi cliché, ha deciso di correre più di un rischio con quest’ultimo disco – si vedano, ad esempio, le nenie gaeliche di De Selby (Part 1) e To Someone From a Warm Climate (Uiscefhuaraithe).

Il che porta a pensare che il giovane Hozier, con i suoi brani ricchi di riferimenti letterari e mitologici, le ossessive metafore e gli oscuri simbolismi d’altri tempi, abbia tutte le carte in regola per promettere di rimanere ancora a lungo uno dei cantautori più originali e creativi dell’attuale scena pop-rock angloamericana, e non solo.

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