Approvare l’utilizzo dei dispositivi digitali e in particolare dello smartphone da parte dei figli con meno di 14 anni solo se accompagnati, educati e quindi supervisionati dalle famiglie. È quanto pensano diversi genitori sulla base delle evidenze scientifiche legate allo sviluppo del cervello negli adolescenti. Genitori che a Sorengo sono passati dalle discussioni informali ai fatti, costituendo lo scorso dicembre l’Associazione Obiettivo 14+ per realizzare un Patto digitale con altre famiglie e favorire maggiore consapevolezza soprattutto nelle madri e nei padri che cedono all’acquisto di uno smartphone individuale più che altro per una questione di pressione sociale. Nel nome dell’associazione sta il concetto di base, ossia mettere in rete i genitori che desiderano attendere almeno fino ai 14 anni prima che i loro figli possano disporre di uno smartphone o un tablet personale e fino ai 16 anni per l’accesso ai social media. Sostenuti dalle direzioni della Scuola Elementare di Sorengo e della Scuola Media di Lugano – Besso, i promotori possono già contare sul coinvolgimento di famiglie di diverse località grazie a un prezioso passaparola. Lo dimostra anche il notevole interesse suscitato dalle prime conferenze organizzate.
I quattro genitori impegnati nel promuovere il Patto digitale legato a Obiettivo 14+ non sono quindi contrari all’uso delle nuove tecnologie. Lo conferma Olivier Bremer con un trascorso professionale in questo settore e che accetta lo smartphone come strumento della vita quotidiana il cui impiego da parte dei più giovani va però regolato. «Le soluzioni per non far sentire nessuno escluso esistono – spiega ad Azione – perché si può accedere a Internet o far parte della chat di classe anche attraverso un dispositivo di famiglia di cui gli adulti gestiscono il tempo di utilizzo e le relative finalità». Gli fa eco Laura Brenni, che con Simona Casati Pagani e Julia Frohneberg fa parte dei fondatori dell’associazione, accomunati da un figlio o una figlia in quarta elementare. «L’educazione digitale è importante e la vediamo come un processo graduale in sintonia con l’età. Desideriamo accompagnare i nostri figli affinché siano in grado più avanti di utilizzare da soli i vari strumenti in maniera consapevole e sana». Il cammino verso l’indipendenza in questo ambito passa pertanto dall’educazione e dai limiti, proprio come avviene nella vita reale. La riflessione del gruppo di genitori di Sorengo si spinge oltre, evidenziando come paradossalmente oggi la tendenza dei genitori sia quella di essere iperprotettivi a livello di esperienze reali fuori casa (bambini controllati proprio attraverso lo smartphone) e nel contempo molto permissivi nel mondo digitale.
Perché fissare a 14 anni l’età per consentire l’uso di uno smartphone personale? Risponde Olivier Bremer: «Evidenze scientifiche indicano che prima di questa età il rischio di sviluppare una dipendenza è elevato, perché il cervello non è ancora in grado di reagire in modo controllato agli stimoli provenienti dai dispositivi digitali. Inoltre, per un sano sviluppo delle capacità di apprendimento sono necessarie esperienze vissute nel mondo reale e non in quello digitale, esperienze di interazioni personali a cui gli strumenti digitali tolgono tempo». Dopo un primo incontro con la Fondazione ASPI – Aiuto, Sostegno e Protezione dell’Infanzia (organizzato in collaborazione con la Scuola Elementare di Sorengo), Obiettivo 14+ ha ospitato in gennaio la dottoressa Raffaella Ada Colombo, psichiatra e psicoterapeuta, responsabile medico dell’Organizzazione sociopsichiatrica cantonale (OSC), proprio per capire come si sviluppa il cervello nella fase adolescenziale.
L’educazione digitale è importante e deve essere affrontata come un processo graduale in sintonia con l’età
Veniamo al Patto digitale, punto centrale dell’associazione alla quale si può aderire quali soci attivi (sottoscrivendo il documento), simpatizzanti o sostenitori. I suoi contenuti sono ancora in fase di elaborazione, ma si ispirano a esperienze analoghe già collaudate. In Svizzera si può prendere spunto dall’iniziativa bernese Smartphone – Freie Kindheit (www.smartphonefreiekindheit.ch), il cui slogan è «Smart Kids, not Smartphones!». Un punto di riferimento è pure l’associazione statunitense Wait Until 8th (www.waituntil8th.org), il cui numero è riferito all’ottava classe. «Nella realtà scolastica – spiega Olivier Bremer – succede non di rado che un adolescente sia l’unico in classe a non possedere uno smartphone con conseguente rischio di esclusione dal gruppo. Il Patto digitale favorisce la nascita di una rete di genitori che condividono lo stesso principio e quindi di figli che si trovano nella medesima situazione. L’adesione al Patto implica anche il coinvolgimento dei figli, ai quali vanno spiegate la decisione, le motivazioni e le modalità per utilizzare insieme i dispositivi digitali».
Restrizioni sull’utilizzo di questi strumenti da parte dei giovani iniziano ad apparire in più ambiti, dalle scuole a interi Paesi. Fra questi ultimi, ad esempio, l’Australia dove lo scorso autunno è stata votata una legge che vieta l’accesso ai social media ai giovani con meno di 16 anni. Età minima di 14 anni per lo smartphone e di 16 per i social media è quanto propone anche l’appello rivolto al Governo italiano da un gruppo di specialisti fra i quali spicca il medico e psicoterapeuta Alberto Pellai. Sarà proprio lui il prossimo ospite dell’Associazione Obiettivo 14+ in una serata prevista il 26 marzo. «In maggio organizzeremo invece un incontro dal carattere più pratico – spiegano Olivier Bremer e Laura Brenni – presentando il Patto digitale e i suoi contenuti. I genitori disporranno così di indicazioni concrete su come affrontare questa scelta e discuterla con i figli». Seguirà in autunno una conferenza di Gabriele Barone, psicologo e psicoterapeuta specializzato in psicologia della comunicazione, dello sviluppo e delle nuove tecnologie. Al centro della presentazione i videogiochi, altra attività ambivalente con potenziali benefici per determinate capacità e nel contempo rischi di abuso. La giovane associazione è già quindi molto attiva e conta sul sostegno di enti e privati per continuare in questa direzione, coinvolgendo in futuro direttamente anche i giovani a partire dagli 11-12 anni.
In maniera generale per Gabriele Barone – confrontato nell’attività professionale con i disturbi dei giovani derivanti da un abuso dei dispositivi digitali – i rischi legati allo smartphone riguardano due aspetti principali: il tempo di utilizzo e la qualità dei contenuti. «Il primo è sovente eccessivo, pari a diverse ore al giorno, mentre i secondi possono risultare inadeguati in rapporto all’età». Inoltre bisogna considerare che «con questi strumenti i giovani sono bravi dal punto di vista funzionale, ma non altrettanto capaci di valutare le conseguenze delle loro azioni. Un chiaro esempio è l’abilità di montare e diffondere un video che riprende però un compagno mentre viene picchiato». Lo psicologo, che condivide quindi i principi di Obiettivo 14+, evidenzia pure come in famiglia grazie alle nuove generazioni di genitori si stia riducendo il gap fra le competenze digitali degli adulti e quelle dei giovani, facilitando ai primi il compito di affrontare la tematica, per la quale devono però dimostrare un interesse. Precisa al riguardo Gabriele Barone: «L’educazione digitale spetta alla famiglia che può regolare il tempo di utilizzo, i contenuti e anche la logistica fra le mura domestiche (non portarlo a tavola, non tenerlo nella camera da letto durante la notte), perché uno dei problemi riscontrati a scuola, già a livello di elementari, è la stanchezza degli allievi che passano ore notturne di fronte a uno schermo».
Il ruolo dei genitori resta essenziale anche quale esempio di comportamento nell’utilizzo delle nuove tecnologie. L’associazione Obiettivo 14+ attraverso il sito e i suoi incontri intende offrire ai genitori gli strumenti necessari per prendere decisioni ragionate ed essere in grado di argomentarle con i propri figli. Consapevoli che la problematica è complessa, per cui richiede tempo e impegno, i genitori di Sorengo puntano a unire le forze per raggiungere un obiettivo comune.