Il Regno Unito fa sognare, si sa. E non è raro che tra coloro che sognano si trovi anche gente con manie di grandezza e un piccolo penchant per l’autocrazia: lì c’è un re vero, che non ha bisogno dell’IA per avere una corona in testa e un mantello di ermellino, a capo di una monarchia millenaria che tuttora, e nonostante tutto, riesce a proiettare un’aura di sacralità e di potente simbolismo. Altro che la politica, con le sue miserie e i suoi alti e bassi. Lo sanno bene gli inquilini di Buckingham Palace i quali, privi ormai di qualunque potere politico, possono incidere a modo loro sulle cose del mondo spargendo un po’ della loro magia laddove serve e facendo leva sul soft power – un miscuglio di prestigio, cultura, bellezza, solennità, storia, ma anche buone maniere – per blandire e sedurre e fare gli interessi dei cittadini. Nel momento in cui l’Occidente si sta spaccando sull’Ucraina, nelle ultime settimane Re Carlo si è trasformato nel sovrano incisivo che ha sempre sognato di essere grazie a una serie di inviti e di incontri che, anche agli occhi del più incallito degli anti-monarchici esasperato dai costi e dalla natura anacronistica dell’istituzione, hanno il sapore di una grande arma diplomatica, molto rassicurante nell’incertezza folle di questi tempi. E come tutte le armi diplomatiche, funziona meglio in mano ai funamboli.
In visita a Washington, il premier Keir Starmer ha allungato a Donald Trump una lettera in cui il re lo invitava in Scozia per preparare per bene la seconda visita di Stato del presidente americano a Londra, suscitando una reazione più entusiasta di quella delle sorellastre di Cenerentola quando arriva l’invito al ballo. «È un gran gentiluomo», ha esclamato Trump. «Un grande, grande gentiluomo. Che cosa gentile, davvero. Devo assicurarmi che ci sia la sua firma qui sopra. E che firma! Che bellezza. Un uomo bellissimo, un uomo magnifico, e bisogna dire che l’ho conosciuto, ho avuto modo di conoscerlo molto bene. Al primo giro e ora al secondo», ha proseguito gongolante mentre Starmer gli assicurava che nessuno ha avuto l’onore di un altro invito ufficiale. Al secondo mandato di solito si va solo per un tè a Windsor! Così come nessuno, a parte Eisenhower, ha avuto l’onore di essere invitato a Balmoral, in Scozia e terra di una certa valenza edipica visto che è il luogo d’origine della mamma di Trump, a cui sarà presto dedicato un campo da golf. Non solo, era la residenza preferita di Elisabetta II, che Trump adorava e che, al momento della morte, ha salutato con consueto understatement: «Che grande signora bellissima che era! Non ce n’era un’altra come lei!». Insomma, con lui Carlo ha giocato la carta dell’eccezionalità, dei toni enfatici per auspicare di «rafforzare la relazione speciale». Gli ha anche dato la possibilità di scegliere se andare invece a Dumfries House, una splendida residenza non lontano dai campi da golf, dove il re si occupa di progetti educativi, come a ricordare che il potere in teoria dovrebbe andare di pari passo con la responsabilità di fare del bene.
Ma la monarchia britannica srotola vari tappeti, è una delle sue attività principali. E quindi Carlo ha aperto le porte della residenza di Sandringham a Volodymyr Zelensky poche ore dopo il drammatico incontro tra il presidente ucraino in mondovisione con Trump stesso, e il suo vice J. D. Vance, con uno spettacolo di quelli da far rimpiangere, tra le altre cose, le buone maniere di cui la Royal Family è custode di rango. E lo stesso ha fatto con il canadese Justin Trudeau, accolto con calorose strette di mano in uno di quei salotti di divani a fiori e vecchie boiseries che i soldi non potranno mai comprare, nel momento in cui il presidente americano ha lanciato l’idea di far diventare il Canada, di cui Carlo è il capo di Stato, parte degli Stati Uniti. In entrambi i casi è stata proiettata un’immagine di confidenza, di familiarità, per difendere due punti essenziali come il sostegno a Kiev, su cui l’opinione pubblica britannica è compatta, e il Commonwealth, di cui il Canada è parte integrante e a cui il re tiene particolarmente. Il successore di Trudeau è Mark Carney, ex governatore della Bank of England, a riprova di quanto i rapporti siano stretti. Solo che ora Carlo deve stare attento a non lasciarsi andare a quel gusto dell’intervento schietto manifestato in passato: proprio in Canada paragonò Putin a Hitler e dal Cremlino bollarono il commento come «poco regale».
Ora è la stagione del soft power, poche parole e simboli forti, come Kate Middleton sorridente e vestita di rosso alla messa per il Commonwealth Day all’abbazia di Westminster. Lei e William sono i preferiti di Trump. Di lui ha addirittura garantito che «è più bello di persona», mentre di Harry, sans papier di alto bordo negli Stati Uniti, si è limitato a dichiarare che non lo deporterà: «Lo lascio stare. Ha già abbastanza problemi con sua moglie, terribile». Sono anni che Trump coltiva un’ossessione sui reali. Ha iniziato con Lady Diana. Pare che in seguito all’annuncio del divorzio, si ritrovò bombardata di fiori del tycoon, roba da «brividi», disse lei. Era il 1992 e di fatto lui la stava perseguitando, con una procedura molto simile a quello che, stando alla serie tv The Crown, un altro rapace di fama mondiale come Mohammed al-Fayed avrebbe fatto da lì a poco. All’epoca Diana era il trofeo più scintillante e Trump, dopo la sua morte, disse che avrebbe senz’altro potuto conquistarla e che certo «era pazza, ma sono dettagli minori». Se c’è una cosa che a Palazzo sanno fare è ricordare tutto, e far finta di niente.
A chi volesse andare nel Regno Unito ricordiamo che, a partire dal prossimo 2 aprile, i cittadini svizzeri avranno bisogno di un’autorizzazione elettronica di viaggio. Informazioni su www.eda.admin.ch.