Tutti chiusi nella propria bolla

Il caos globale in cui siamo precipitati viene raccontato a partire da visioni e percezioni della realtà fra loro inconciliabili. Si può tentare di descriverlo dando conto dell’una o dell’altra posizione, ma in sede di commento non ci si può nascondere dietro un dito, occorre schierarsi. Così, non solo sui social, si leggono narrazioni dai toni sempre più assertivi e infiammati: difensori e detrattori di Trump, Musk, Putin, Zelensky, von der Leyen o Macron, danno seraficamente dei cretini e/o dei disonesti ai sostenitori della parte avversa. Come se esistessero due «religioni» che raccontano la stessa realtà con dati opposti, santi ed eroi opposti, malfattori opposti, cause e conseguenze opposte. Che tu stia da una parte o dall’altra della barricata, la controparte viene percepita come ingenua, se va bene, ma più spesso in cattiva fede e bugiarda. Putin è un criminale di guerra o un presidente saggio e paziente costretto a reagire all’allargamento indebito della Nato a est? Trump è un despota o un autentico fautore della pace? Il riarmo dell’Europa è l’unica soluzione per proteggersi o una follia suicida? La posta in gioco è alta: sta finendo un mondo e ne sta cominciando un altro; i toni si fanno aspri e la platea si polarizza. Cattiveria chiama cattiveria. Odio chiama odio.

Una guerra psicologica favorita dalla tendenza a informarsi sui social senza consultare i media tradizionali: quotidiani, settimanali, tg, podcast e radiogiornali. Se ciò che sappiamo sull’attualità viene solo dai social, restiamo infatti in una bolla autoreferenziale. Il fenomeno della «bolla» è stato sviluppato nel testo The Filter Bubble di Eli Pariser, edito per il Saggiatore nel 2011. «È una bolla – sintetizza efficacemente il sito agenda.digitale.eu – perché è creata su misura, a seconda degli interessi, delle pagine che consultiamo, dei click che disseminiamo per la Rete. Più ci si muove, più il web diventa simile a noi». Molti credono che rappresenti il mondo così com’è, ma è un inganno. I social blandiscono il nostro ego, proponendoci contenuti che assomigliano a quelli che abbiamo già premiato coi nostri «like» e scartando gli altri. Lo fanno con le merci e lo fanno con le idee. Gli algoritmi ci radicalizzano in opinioni già nostre, non ci fanno accedere a visioni «altre» della realtà. Se navigo nel mio profilo Facebook non trovo idee divergenti dalla mia, e se le trovo è per ridicolizzarle o denigrarle.

Perciò seguo e invito a seguire il suggerimento del filosofo Hegel: «La preghiera del mattino dell’uomo moderno è la lettura del giornale. Ci permette di situarci quotidianamente nel nostro mondo storico». Direi meglio: la lettura dei giornali, al plurale. È una pratica scomoda ma necessaria. Personalmente parto dalle testate (serie) che esprimono linee editoriali diverse da quella in cui mi riconosco. Le leggo, spesso mi arrabbio, ma a volte trovo argomenti meritevoli di riflessione e in qualche caso mi vedo costretto a riconoscere la validità delle tesi dell’«avversario».

Poi mi do a letture, podcast o tg più «confortanti» e consulto testate che sento più vicine al mio modo di pensare, rielaboro le notizie incrociando le opposte argomentazioni e cerco di trarne una sintesi che mi convinca. Viviamo in tempi difficili e non sempre ci riesco. Alla fine, tiro le mie conclusioni e se poi le scrivo incrocio le dita, perché già so che potrei finire nel tritacarne dei social per essere deriso da chi non la vede come me e allo stesso tempo per essere approvato da chi un po’ già mi assomiglia. Ma su questo non posso farci nulla.

Related posts

Il vizio della democrazia

Un venti centesimi speciale

Airbnb, croce e delizia del turismo nostrano