La lotta silenziosa delle donne iraniane

Le illusioni della rivoluzione che aveva fatto cadere lo Scià di Persia e la delusione crescente per l’instaurarsi della Repubblica islamica. Sono gli ingredienti del romanzo autobiografico di Azar Nafisi Leggere Lolita a Teheran pubblicato nel 2003, diventato un film diretto da Eran Riklis, ora nelle sale ticinesi dopo essere stato presentato in concorso alla 19esima Festa del cinema di Roma, dove ha ricevuto il premio del pubblico e il premio speciale della giuria per il suo cast femminile.

Nel 1979, sulle ali dell’entusiasmo per la libertà del suo Paese, la giovane Azar, docente di letteratura, lasciò gli Stati Uniti, dove si era laureata e viveva, per tornare in Iran con il marito ingegnere Bijan. Presto prevalsero però gli islamisti guidati dall’ayatollah Khomeini imponendo un regime rigido e soffocante che dura tutt’ora.

Oltre alla caduta rapida delle illusioni di libertà, per la donna, che aveva iniziato a insegnare letteratura angloamericana all’università di Teheran, la nuova situazione politica comportò limitazioni pratiche, dal dover indossare l’hijab alla censura sui libri stranieri che utilizzava in aula.

Figlia di un ex sindaco della capitale e cresciuta a contatto con la cultura occidentale, Nafisi dapprima rifiutò di adeguarsi alle regole, per poi soccombervi: la sua reazione fu di abbandonare temporaneamente la docenza per dedicarsi a seminari privati con le sette allieve migliori e più interessate. Alla fine decise di tornare negli Stati Uniti e prendere la cittadinanza americana, dando alle stampe la propria vicenda.

Il romanzo è insieme un racconto della società iraniana lungo due decenni cruciali, tra la fine degli anni Settanta e i Novanta, e una critica a uno Stato basato sulla legge coranica utilizzando testi fondamentali della letteratura anglofona. Il testo di partenza è proprio Lolita dello scrittore d’origine russa Vladimir Nabokov, diventato una celebre pellicola di Stanley Kubrick. «Vediamo se leggere Lolita può trasformare la cupa realtà di questa rivoluzione e ci aiuterà a combatterla» dice Nafisi, interpretata nel film da Golshifteh Farahani, rivolgendosi alle studentesse.

Il libro di Nafisi è bello e profondo quanto poco cinematografico e poco agito: qui si trova una difficoltà dell’adattamento, trasporre in immagini quanto era sulla pagina. Riklis, regista esperto conosciuto soprattutto per La sposa siriana (2004) e Il giardino di limoni (2008), resta fedele alla pagina e divide i fatti in quattro capitoli ispirati alle seguenti opere letterarie molto note: Il grande Gatsby nel 1980, Lolita nel 1995, Daisy Miller nel 1988 e Orgoglio e pregiudizio nel 1996.

Li precede però il prologo del rientro nel 1979, quando all’aeroporto vengono vagliati i libri presenti nella valigia di Nafisi, la quale dovrà presentarsi come docente per poterli conservare. Tra i volumi c’è il romanzo di Francis Scott Fitzgerald del 1925, che Nafisi userà nelle prime lezioni in aula, subito contestate dagli studenti fondamentalisti. Il dibattito tra la professoressa e i contestatori, che si limitano a una lettura letterale e moralista, si traduce in un processo a Gatsby, con l’insegnante nei panni dell’avvocato difensore.

L’obbligo del velo spegnerà anche questi residui di confronto e costringerà Nafisi a ritirarsi nel privato: come si è visto in tanti film iraniani di questi decenni, il chiuso delle case e delle auto, gli spazi isolati delle aree rurali, (vedi anche il giardino del film recensito dal collega Nicola Mazzi), sono gli unici dove ci si possa esprimere.

Per ovvi motivi di permessi, Leggere Lolita a Teheran è stato girato in Italia, in gran parte a Roma nel quartiere dell’Eur, e purtroppo il contesto artefatto si percepisce. Era già successo per Holy Spider di Ali Abbasi (peraltro più coeso e incisivo) che l’Iran fosse ricostruito altrove, in quel caso in Giordania, per evitare scontri con il regime. L’attrice Zar Amir Ebrahimi, premiata a Cannes nel 2022 per il film di Abbasi, interpreta qui Sanaz, la studentessa che subisce violenze e punizioni corporali e osserva che «Siamo noi Lolita».

È significativo che l’interprete compaia come protagonista nell’australiano Shayda di Noora Niasari (visto in Piazza Grande a Locarno nel 2023) e nel thriller sportivo Tatami di cui è pure coregista con Guy Nattiv, come se Amir Ebrahimi si mettesse a capo di un’opposizione cinematografica al Governo di Teheran. Con lei si distingue per l’impegno politico pure Farahani, ormai naturalizzata francese e vista in film hollywoodiani come Exodus – Dei e re.

Come evidenziato dalla giuria della Festa di Roma, uno dei pregi del lungometraggio sta proprio nell’interpretazione delle protagoniste, molto intense e partecipi nel dare volto e voce ai dolori e alla delusione dei loro personaggi. Riklis sembra però più concentrato sulla denuncia delle condizioni delle donne iraniane che sulla scioltezza della narrazione, e si scontra con la difficoltà della trasposizione del romanzo.

Da osservare che, dopo il citato Tatami, è la seconda produzione israeliana in poco tempo che tratta di Iran, quasi la battaglia si giocasse sul terreno cinematografico.

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