Potrei stupirvi con degli effetti speciali, e parlarvi del più grande fondista della storia, Johannes Høsflot Klæbo. Ai recenti Mondiali di Trondheim, ha conquistato l’oro in tutte le sei gare in programma, portando il suo bottino a quota 15 titoli, che si aggiungono ai 5 ori olimpici. Nessuno meglio di lui. Neppure il fenomenale Bjorn Dæhlie. E pensare che ha solo 29 anni, e ancora tanta strada davanti. Tuttavia, del fenomeno norvegese si sono giustamente occupati tutti i media. Non avrei nulla da aggiungere, se non l’ennesimo inchino.
Vorrei per contro soffermarmi sulla prestazione dei fondisti elvetici, che sono rientrati a casa con tre medaglie al collo. Non era mai capitato, neppure durante l’era di Dario Cologna. L’argento di Nadine Fähndrich nello sprint non stupisce. Tutto sommato non mi meraviglio neppure per il bronzo nel Team Sprint, in cui la stessa Fähndrich ha fornito un contributo determinante alla compagna Anja Weber. Ma quanto ha combinato la staffetta maschile 4 x 7,5 km, ha del miracoloso. Alle spalle di una Norvegia in gita di piacere, il quartetto rossocrociato, composto da Cyril Fähndrich (il fratellino), Jonas Baumann, Jason Ruesch e Valerio Grond si è reso protagonista di una prova perfetta. I primi tre frazionisti hanno tratteggiato un capolavoro tattico.
Dal canto suo, Grond, 24enne sprinter grigionese, sul rettilineo conclusivo ha disegnato una volata alla Klæbo. Irresistibile. Ha addomesticato la concorrenza con un’autorevolezza e una potenza insospettabili.
Poca roba, obietterà qualcuno. Certo! Se paragonata al bottino dei norvegesi, come dargli torto. Tuttavia, per lo sci di fondo svizzero si tratta di un risultato storico. L’ultima nostra presenza sul podio di una staffetta, risale all’edizione di Sapporo nel 1972, quando Alfred Kälin, Albert Giger, Alois Kälin ed Eduard Hauser conquistarono il bronzo alle spalle di Unione Sovietica e Norvegia.
L’argento del quartetto svizzero a Trondheim mi ha entusiasmato poiché era totalmente inatteso. Eravamo in crisi. L’effetto Cologna non c’è stato. I suoi epigoni sembravano arrancare, e sprofondare spesso nell’anonimato di metà classifica. Il fondo svizzero era stato inghiottito in un vortice pericoloso. Nessun risultato, significa meno finanziamenti, e meno copertura mediatica, soprattutto televisiva.
Solo sei anni fa, a Seefeld, in Austria, con ancora Dario Cologna nella selezione, i mondiali di sci nordico erano considerati dalla SRG-SSR come una «Grosse Operation», al pari dei mondiali di sci alpino e di altre manifestazioni sportive di grande richiamo. Ciò significava dedicarvi un’abbondante copertura, con l’impiego di mezzi e risorse. In pochi anni le corde del borsellino si sono ristrette, soprattutto per la nostra piccola RSI. Spariti gli studi e le postazioni per analisi e interviste. Uscito di scena il commentatore tecnico. E, dulcis in fundo, il cronista, ha narrato le gesta della staffetta elvetica da una cabina di Comano, cercando di trasmetterci gioia ed entusiasmo. Con me, c’è riuscito, ma l’impresa era facile.
Per catturare il grande pubblico, serve invece continuità, ed è ciò che mi sento di augurare a tutto il movimento, che ultimamente sta ricominciando a far sentire la propria voce. Il successo di una disciplina sportiva passa attraverso vari canali.
Per evitare che entrino in un circolo vizioso servono buoni tecnici, ottimi materiali e un bacino allargato dal quale attingere per forgiare i campioni di domani. Perbacco, non è obbligatorio disporre di atleti di livello mondiale. Tuttavia, se ci sono, vincono. Se vincono, Swiss Olympic finanzia maggiormente la federazione in questione. I media trasmettono, approfondiscono, ricamano. E incassano maggiori introiti pubblicitari.
Con le medaglie aumenta lo «share», la voglia e la motivazione per rimanere davanti allo schermo. Insomma, è un sistema che si autoalimenta. A condizione che sia ben oliato e che tutti gli ingranaggi funzionino alla perfezione. Come dicevo, non è assolutamente indispensabile che ciò accada. Ma se in virtù dello spirito di emulazione, molti più giovani si avvicinano a una disciplina sana come lo sci di fondo (o ad altre), e se, oltre alla visione delle gare, ciò aiuta la popolazione a staccarsi dagli schermi e dalla realtà virtuale, per tuffarsi in quella reale di un bosco o di un pendio, mi sentirei di dire: missione compiuta.
Lo sport non sarebbe solo l’oppio dei popoli.