Contro le voci della libertà

by Claudia

Negli Stati Uniti Trump ha tagliato i fondi a diversi media che hanno fattola storia, quali «Voice of America» e «Radio Free Europe/Radio Liberty»

Nel quartier generale di «Voice of America» («VoA»), al 330 di Independence avenue a Washington, un’intera parete è dedicata ai giornalisti che lavoravano per l’emittente americana caduti durante il loro servizio. Il primo è Leonid «Liavon» Karas, che aveva trent’anni: dall’Unione sovietica era scappato a Monaco, in Germania, ed era stato uno dei primi conduttori del servizio bielorusso di «Radio Liberation». Il 1° settembre del 1954 non si presentò in redazione, e il suo corpo senza vita fu trovato nel fiume Isar. Due mesi dopo un collega di Karas, Abdurrahman Fatalibeyli, rimase ucciso in circostanze mai chiarite. C’è anche lui fra i ritratti su questo doloroso muro di «Voice of America», insieme con lo scrittore e giornalista bulgaro Georgi Markov, ucciso nel 1978, e più di recente Almigdad Mojalli, freelance yemenita ucciso vicino Sana’a, Sabawoon Kakar e Maharram Durrani, morti entrambi nell’aprile del 2018 a seguito di due attentati suicidi coordinati a Kabul, fino all’ultima giornalista uccisa: Vira Hyrych, reporter e produttrice di «Radio Svoboda», la versione ucraina di «Radio Free Europe/Radio Liberty», morta quando un missile russo ha colpito l’edificio in cui si trovava. Sotto a questo lungo ricordo di volti e storie c’è una citazione, quella di John Adams, secondo presidente degli Stati Uniti, che diceva: «La libertà di stampa è essenziale alla sicurezza di un Paese».

«VoA», «Radio Free Europe/Radio Liberty», «Radio Free Asia», l’«Office of Cuba broadcasting», sono tutte testate che fanno capo a un’unica agenzia federale che si chiama US Agency for Global Media, considerata uno dei pilastri della diplomazia e del cosiddetto soft power americano nel mondo con un budget di circa 270 milioni di dollari l’anno e più di duemila dipendenti nel mondo, che trasmette in 49 lingue diverse. È a quella agenzia che il nuovo presidente Donald Trump ha improvvisamente tagliato tutti i fondi. Il 17 marzo scorso, dallo Studio ovale, il tycoon ha firmato il suo ennesimo ordine esecutivo per smantellare la US Agency for Global Media e «Voice of America». Il giorno dopo gran parte dello staff dell’azienda – che è praticamente ovunque nel mondo, anche in zone dove nessun media privato o commerciale avrebbe alcun interesse a mandare un inviato o un corrispondente – è stato messo in aspettativa. L’Amministrazione Trump e gran parte dei sostenitori del movimento Maga (Make America great again) accusano da anni ormai i media che vivono grazie ai contributi federali di diffondere «propaganda radicale» e di essere «anti-Trump», e quindi i contribuenti non dovrebbero finanziare più contenuti contrari agli interessi Usa. Ma l’attacco alla libertà di stampa, a un giornalismo indipendente che ha fatto la storia e anche la grandezza del modello americano soprattutto dopo la fine della Seconda guerra mondiale, è evidente. Così come il tradimento della citazione di John Adams, sotto al muro che ricorda i giornalisti caduti.

Il direttore di «Voice of America», Michael Abramowitz, di recente ha scritto in un post sui social media che «praticamente tutto lo staff» è stato messo in congedo amministrativo, compreso lui: «“VoA” promuove la libertà e la democrazia in tutto il mondo raccontando la storia dell’America e fornendo notizie e informazioni obiettive ed equilibrate, soprattutto per coloro che vivono sotto i regimi tirannici». È la verità. La data di nascita di «VoA» viene fatta risalire al 24 febbraio del 1942, quando sembra sia stata diffusa la prima trasmissione radiofonica in tedesco che iniziava con queste parole: «Ogni giorno, a quest’ora, vi parleremo dell’America e della guerra. Le notizie possono essere buone o cattive. Vi diremo la verità». L’obiettivo era quello di creare una stazione radio che bucasse la propaganda di regime, uno scopo poi ampliato enormemente dopo la fine del conflitto e l’inizio della Guerra fredda. «Voice of America» aveva lo scopo di fermare il comunismo e la diffusione della sua ideologia nei Paesi anche europei. E non era solo un canale di notizie: il quotidiano programma «Voice of America Jazz Hour», condotto da Willis Conover dal 1955 al 2003, fece scoprire il jazz a milioni di persone nei Paesi sovietici, trasformando la musica in un’arma di soft power e di rappresentazione della democrazia.

Parallelamente, il Governo americano, attraverso il suo braccio operativo della Central intelligence agency (Cia), diede vita a «Radio Free Europe». Le sue trasmissioni iniziarono non a caso il 4 luglio del 1950 da Monaco di Baviera, nella Germania ovest, e i programmi erano diretti alla contropropaganda in Cecoslovacchia. Ma presto la sua copertura venne aumentata, trasmettendo in quindici lingue diverse e raggiungendo la maggior parte dei Paesi sotto l’influenza sovietica. Il ruolo della Cia nel suo finanziamento è rimasto segreto fino alla fine degli anni Sessanta, per evitare possibili ritorsioni da parte dell’Unione sovietica. Del resto, «Radio Free Europe» era vista come una minaccia dai regimi comunisti. Nel 1981 la sede di Monaco fu colpita da una bomba piazzata dal terrorista Carlos lo Sciacallo su ordine del regime rumeno di Nicolae Ceaușescu. Ma la radio non si fermò, nemmeno nel 1986, subito dopo il disastro di Chernobyl, mentre i media sovietici minimizzavano l’incidente e «Radio Free Europe» diffuse informazioni cruciali, diventando la fonte principale per chi cercava di capire la verità sulla catastrofe. Col tempo gli obiettivi di «Voice of America» e di «Radio Free» sono cambiati enormemente: la prima riforma la fece il presidente americano Gerald Ford, che nel 1976 per legge impose alle stazioni radio di essere «accurate, obiettive e complete», e vietò ogni interferenza editoriale da parte dei Governi in carica – un modo per far diventare le radio, poi trasformate anche siti web da milioni di utenti, uno dei più indipendenti e affidabili media americani, libere dalla necessità di stare sul mercato commercialmente. È anche grazie a questo che alcuni luoghi del mondo hanno avuto una copertura giornalistica internazionale negli ultimi decenni. Un ruolo cruciale che Trump vuole spegnere del tutto, ufficialmente per ridurre «gli sprechi» e la «propaganda woke», ma facendo così un favore ai dittatori di mezzo mondo.