Colpo critico: dai mattoncini dell’infanzia ai giochi da tavolo, dall’immaginazione all’urbanistica, così si riflettono le nostre aspirazioni e visioni del mondo
Chi non ha mai costruito una città?Appena abbiamo l’età per ragionare, appena ci mettono in mano quattro sassi cominciamo a tirare su case, chiese, locande, ospedali, palazzi. È uno dei primi gesti della nostra infanzia, che si tratti di edificare capanne nel bosco o di creare una boom town con dei cubetti colorati. I bambini replicano le azioni dei loro progenitori, che sempre hanno pensato sé stessi in luoghi più o meno simili a una città, dagli accampamenti dei nomadi fino alle megalopoli.
La costruzione di una città è il tema di fondo di molti giochi da tavolo. La concezione ludica può rivelare anche una visione dei centri urbani e del loro ruolo storico, semplicemente per come essi vengono rappresentati. Nel suo Link City (Bandjo, 2024), Émilien Alquier usa il meccanismo delle associazioni d’idee per invitare i partecipanti (da 2 a 6) a costruire una metropoli ideale. Un giocatore (il «sindaco») sceglie segretamente dove collocare tre edifici – per esempio una scuola, un centro benessere e una casa per anziani – intorno ad altri edifici già presenti; gli altri giocatori dovranno poi indovinare le varie posizioni. Nasceranno quindi discussioni interessanti. Avrà messo la casa per anziani vicino alla scuola? Così i nonni possono vedere i nipoti. Ehi, un momento, il centro benessere non sta bene vicino al night club! E perché no? Io lo metterei piuttosto vicino alla galleria d’arte o alla gioielleria, visto il tipo di clientela. Eccetera. Fra pianificazione del territorio e pseudo teorie sociali, i partecipanti collaborano per creare la loro Link City.
Senza rendersene conto, i giocatori si trovano a riflettere su che cosa sia una città. In questo senso si può dire che il contesto ludico abbia una valenza culturale e forse pure una risonanza politica. All’inizio di marzo 2025 un gruppo di autori francesi ha scritto un «manifesto metaludico» (www.manifeste-métaludique.fr). Secondo i firmatari, il gioco da tavolo non è solo un divertissement, ma possiede una dimensione sperimentale (emotiva, poetica, surrealista) e un significato politico, dal momento che può influenzare la nostra visione del mondo. Il manifesto ha generato un vasto dibattito, nel quale non voglio addentrarmi. Mi limito a dire che, in fin dei conti, ogni genere di lavoro culturale finisce per avere un impatto sulla società. Vale per la progettazione ludica quello che diceva Ettore Sottsass circa il suo mestiere. «Progettare – ha osservato nel 1987 l’architetto italiano in una conferenza al MET di New York – è un evento politico nel senso che si deve sempre o si dovrebbe sempre sapere molto bene che quando si fa qualcosa, quel qualcosa viene depositato in un ambiente sociale in movimento. Quello che è stato depositato in un ambiente sociale provocherà reazioni diverse. Qualche volta quello che è stato disegnato sarà percepito il giorno dopo, qualche volta sarà percepito anni più tardi e altre volte non sarà mai percepito perché resterà per sempre nascosto nel grande calderone della storia».
Molti giochi sono frammenti invisibili nel «grande calderone della storia», ma la loro influenza antropologica potrebbe essere maggiore di quanto sembri. Che cosa dice di noi il Monopoly? E perché oggi vanno di moda gli escape game in cui si cerca di fuggire da una stanza chiusa? La maniera in cui giochiamo rivela le nostre paure e le nostre aspirazioni.
Costruire una città ideale è un sogno antico. Possiamo risalire al mito della Torre di Babele nella Bibbia e seguire il corso dei secoli fino alla polis greca e alla città-stato del Rinascimento teorizzata da Leon Battista Alberti nel suo De re aedificatoria (1485). Risponde a questo desiderio anche l’utopia della Città del Sole (1623) di Tommaso Campanella, così come il concetto della Gerusalemme celeste che i mistici contrappongono alla Gerusalemme terrena (e perciò imperfetta). Per queste ragioni è liberatorio l’esercizio di mettere in piedi una città.
Un gioco recente che approfondisce l’aspetto anche tattile del piacere, chiedendo ai partecipanti (da 2 a 4) di impilare dei mattoncini, è Tower Up (Monolith, 2024) di Frank Crittin, Grégoire Largey e Sébastien Pauchon. Il gioco è elegante e limato in ogni dettaglio: a ogni mossa bisogna scegliere se procurarsi nuove risorse o se aggiungere un pezzo a un grattacielo, rispettando alcune condizioni. C’è una gara serrata per mettere il tetto del proprio colore in cima al palazzo più alto. Qual è la valenza sociale o politica di tutto ciò? Di certo suggerisce che gli esseri umani non abbiano ancora smesso di costruire la Torre di Babele, sempre più alta e talvolta, purtroppo, sempre più pericolante…