La terra a Napoli continua a tremare. I Campi Flegrei, l’area vulcanica che si estende dall’estremo occidentale della città e prosegue verso Pozzuoli e Bacoli, fanno paura. Un terremoto di magnitudo 4.4 ha colpito la zona nella notte tra il 12 e il 13 marzo, seguito nei giorni successivi da eventi di intensità poco inferiore. Tra i fenomeni sismici più intensi degli ultimi anni nella zona. Il termine tecnico, in questo caso, è «bradisismo»: un fenomeno geologico che consiste nel sollevamento o abbassamento lento e graduale della crosta terrestre, talvolta accompagnato da scosse di terremoto. Sebbene il bradisismo si possa verificare in diverse occasioni e situazioni, è un fenomeno estremamente comune nei pressi delle caldere. Si tratta di grandi depressioni circolari che si formano a seguito dell’esplosione o del crollo del suolo che possono avvenire in seguito a una violenta eruzione vulcanica che svuota la camera magmatica, facendo collassare la parte superiore del vulcano. Oggi uno degli esempi più famosi di caldera sono proprio i Campi Flegrei. Ma quella che oggi è un’informazione scontata non lo era fino a pochi decenni fa. E il primo a ipotizzare che quella zona a ovest di Napoli caratterizzata da terra instabile, vampate di gas che fuoriesce dal sottosuolo e una ricca fertilità fosse una caldera fu uno studioso svizzero: Alfred Rittmann. A lui e al suo collega Immanuel Friedländer (tedesco di nascita ma svizzero di adozione), si deve una buona parte delle attuali conoscenze legate ai Campi Flegrei e alla vulcanologia in generale. Per capire in che modo, è bene fare un passo indietro. Friedländer, nato a Berlino nel 1871, studiò e si laureò in zoologia. Ma grazie all’influenza del fratello Benedict, naturalista e sessuologo, e a un viaggio intrapreso con lui nel Sud-est asiatico e alle Hawaii, il giovane Immanuel sviluppò un forte interesse per la vulcanologia.
Era il 1893. Solo nove anni più tardi lo studioso decise di dedicare la sua intera vita a questa professione e trasferirsi a Napoli, la città stretta tra aree vulcaniche distinte: Vesuvio, Ischia e Campi Flegrei. La sua attenzione fu subito catturata dai Campi Flegrei dove cominciarono le sue osservazioni e la raccolta di dati. Nel 1914 fondò l’Istituto vulcanologico di Napoli, dedicato a studi sistematici sull’attività vulcanica e sismica della regione. Erano anni difficili. Il mondo stava per fare i conti con la Grande Guerra. Per salvare se stesso e il suo lavoro, Friedländer trovò riparo in Svizzera dove trasformerà l’Istituto vulcanologico in fondazione privata: il Vulkan-Institut Immanuel Friedländer con sede a Sciaffusa. Con la fine della Prima guerra mondiale Friedländer poté tornare a Napoli. Qui di lavoro da fare ce n’era tanto. Per questo dopo qualche anno invitò un giovane vulcanologo svizzero a raggiungerlo. «Fu così che, nel 1926, Alfred Rittmann arrivò a Napoli per la prima volta», racconta ad «Azione» Daniele Musumeci, dottore in Scienze dell’interpretazione che ha dedicato gran parte della sua ricerca alla figura di Rittmann. A Rittmann il mondo della vulcanologia deve tanto. Non solo perché fu il primo a comprendere la vera natura dei Campi Flegrei e di altre conformazioni geologiche nel golfo di Napoli, ma anche perché fu il primo a rendere la vulcanologia una scienza interdisciplinare. «Tra il 1926 e il 1936 Rittmann sviluppò teorie che trasformarono la vulcanologia in una scienza che abbraccia più ambiti. Fino a quel momento, la disciplina era concepita principalmente come un’osservazione descrittiva dei fenomeni vulcanici, senza un vero e proprio approccio integrato. Alcuni studiosi tendevano a combinarla con la petrografia, che si occupa della classificazione delle rocce vulcaniche, mentre le altre branche della geologia e delle scienze della Terra seguivano percorsi separati. Fu Rittmann a unire questi diversi campi, integrando la tettonica, la magmatologia, la petrografia e la vulcanologia tradizionale», spiega Musumeci.
E fu proprio questo approccio interdisciplinare che spinse Rittmann verso le sue più grandi scoperte. Nel suo lavoro del 1950 intitolato Sintesi geologica dei Campi Flegrei (pubblicato sul «Bollettino della Società Geologica Italiana»), Rittmann analizzò l’evoluzione eruttiva dell’area e propose che l’ampia depressione osservata fosse il risultato di un collasso del suolo dovuto allo svuotamento della camera magmatica sottostante, definendo così il concetto di caldera in questo contesto. L’idea fu rivoluzionaria perché, fino ad allora, l’interpretazione delle eruzioni vulcaniche tendeva a concentrarsi solamente sull’aspetto esplosivo e sul sollevamento del suolo (il bradisismo, appunto), senza considerare il meccanismo di collasso post-eruttivo che porta alla formazione di un’enorme depressione. Rittmann non solo collegò il fenomeno del bradisismo alla dinamica del magma in risalita, ma evidenziò anche come, a seguito dell’espulsione massiccia di magma durante eruzioni esplosive (come quella che ha originato l’eruzione dell’ignimbrite campana circa 39’000 anni fa), il suolo sovrastante cede e collassa, dando origine alla caldera.
Questi concetti hanno avuto un impatto profondo sulla vulcanologia moderna, poiché hanno permesso di comprendere meglio la morfologia e la storia eruttiva dei grandi sistemi calderici, specialmente in aree densamente popolate come quella dei Campi Flegrei. Quelli napoletani furono anni intensi e straordinari per Friedländer e Rittmann ma la situazione politica che precedette la Seconda guerra mondiale separò le strade dei due studiosi. L’istituto fondato da Friedländer operò fino al 1934, quando fu costretto a chiudere a causa delle tensioni politiche nei confronti dei cittadini stranieri. Le sue collezioni furono trasferite all’ETH di Zurigo, dove Friedländer trascorse gli ultimi anni della vita, continuando le sue ricerche fino alla morte nel 1948. Anche Rittmann lasciò Napoli nel 1934 per rientrare in Svizzera, ma la sua carriera in Italia non terminò lì. Tornò nel Belpaese diverse volte: prima a Roma, poi a Napoli e infine a Catania. Qui nel 1960 fonderà un istituto che, tramite vari cambi di denominazione, è arrivato fino ad oggi: l’Osservatorio etneo dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv).