La psicogeografia come forma d’ arte agli Eventi del Monte Verità

Si intitola Il detective sonnambulo il nuovo libro di Vanni Santoni, scrittore ed editor italiano, che sarà ospite degli Eventi letterari Monte Verità, sabato 12 aprile con la moderazione di Giuliana Altamura. In libreria dall’8 aprile, (ma già preordinabile), è un romanzo che esplora la tensione tra aspirazioni utopiche e realtà, nella creazione di una comunità intellettuale, dando vita a una narrazione ricca di riferimenti storici, artistici, filosofici («anzi mistici»), tecnologici, informatici, politici, e provenienti dalla cultura Pop, con ampi rimandi al mondo dei manga, dei videogiochi e del cinema, che insieme tracciano un parallelo tra i grandi movimenti del passato e le sfide contemporanee.

Santoni ha già dato prova del suo forte interesse per le tradizioni esoteriche e mistiche, oltre che per la simbologia junghiana, elementi che permeano anche la sua ultima opera, rendendola perfettamente in linea con il tema degli eventi di quest’anno, Psicogeografie, organizzati per i 150 anni dalla nascita di Carl Jung.

Una trappola labirintica

«…mi aggiravo ombroso e fuori fuoco tra quei banchi, tra […] cineserie, pipe di gesso, bambolotti, abat-jour e bronzetti, resti d’interno di una Parigi che non c’era più; mi dicevano, almeno, che non era esistita solo nella mia immaginazione alimentata dai libri e da troppi, davvero troppi film, e intanto ponderavo la sciocchezza che avevo fatto a trasferirmi lì, a quanto provinciale fosse stato pensare che la cosa logica, per qualcuno che voleva realizzare qualcosa, e neanche sapevo cosa, fosse trasferirsi a Parigi, come se fossimo ancora negli anni Trenta o a fine Ottocento…»

Nel romanzo di Santoni, la ricerca della bellezza, del significato e dell’arte sembra trasformarsi in una trappola in cui i protagonisti si perdono, prima a Parigi poi a Berlino, come in un sogno lucido che alla fine non riescono più a controllare, e che porta il lettore a interrogarsi su come possa un luogo carico di significato e potenzialità trasformarsi in un labirinto di illusioni: «Per effetto del tempo – spiega l’autore –, è la risposta numero uno. Ma non è solo questo. C’entrano anche i soldi e come influenzano lo spazio urbano in epoca di tardo capitalismo».

Modernità, gentrificazione e cambiamenti sociali potrebbero dunque aver eroso la capacità di certi luoghi di essere fucine di innovazione e ispirazione: «Il fatto che nessun aspirante artista – essendo l’aspirante artista per definizione squattrinato – possa oggi permettersi di trasferirsi a Parigi o a Londra, come non può da tempo trasferirsi a New York, e come a breve non potrà trasferirsi nemmeno a Berlino, per via dell’impennata senza controllo dei prezzi degli affitti è un problema significativo, perché le individualità atomizzate hanno meno possibilità di creare movimenti artistici, e dunque arte»… cosa che accadeva invece in passato, e lo dice bene il protagonista Martino: «Guardavo la scrivania di Breton e pensavo, facile la vita se arrivi a Parigi e ti ritrovi in ghenga coi surrealisti…».

Monte Verità e psicogeografia

Nei primi del Novecento, una fiorente attività intellettuale e artistica nacque anche al Monte Verità, che si dice fosse intriso di una certa energia: «Lo conoscevo solo di fama – racconta l’autore – ma recentemente ne ero rimasto assai impressionato in seguito a una mostra a esso dedicato al Museo del Novecento di Firenze. Essendo da sempre interessato al tema delle comunità spirituali e artistiche, tema centrale del mio romanzo La verità su tutto (ndr. Mondadori, 2022), ho sentito un’immediata affinità con tale luogo».

Torniamo dunque al tema degli Eventi letterari del Monte Verità di quest’anno: la psicogeografia suggerisce che i luoghi influenzino il nostro stato d’animo e i nostri comportamenti e che, di conseguenza, l’esplorazione di spazi urbani, suburbani o naturali possa ancora oggi arricchire la creatività di un artista: «Per me è fondamentale. Il detective sonnambulo, come credo ben testimoni la copertina che abbiamo scelto, nasce proprio dalle mie esplorazioni – spiega l’autore –, solitarie e rigorosamente a piedi (di Parigi e delle altre tre città, Berlino, Davos e Venezia) attraverso le quali si articola il romanzo».

Nel nome, l’identità

Non solo paesaggi reali, però: il surrealismo ha spesso trattato Parigi come un paesaggio onirico, di esplorazione psichica. Nel romanzo, l’esplorazione di temi profondi legati all’identità, alla memoria e alla percezione della realtà passa anche attraverso l’espediente letterario legato ai nomi dei protagonisti, che mutano nel corso della narrazione e lasciano al lettore decidere se questo «dispositivo» esprima il concetto di identità fluida, rappresenti forme di archetipi, alluda a livelli diversi di realtà o se sia solo un modo di creare maschere.

Tra i tanti nomi, spicca pure quello di Jöelle Van Dyne, che – Umlaut e spazio nel cognome a parte, è anche il nome di Madame Psychosis, protagonista di Infinite Jest di David Foster Wallace: «Diciamo che è un omaggio “mirato”: è certo un omaggio, ma il riferimento non è casuale. Inoltre va letto pensando al fatto che quel nome se lo è scelto Johanna», coprotagonista del romanzo di cui Martino è innamorato: «…una parte di me sperava di far ingelosire Johanna a distanza, non eri forse quella che mi leggeva nel pensiero, Johanna? Fallo, allora, appari qua infuriata come un’erinni».

Genius loci e Anima

A noi più che la personificazione della vendetta, Johanna pare essere da una parte l’incarnazione dell’anima della città di Parigi, del Genius loci («Veniva il dubbio di aver amato uno spettro o un riflesso, l’eggregora di una città che, pure, pareva esistere più nel proprio mito, nell’idea che altri hanno di lei, che nelle sue pietre…») – la personificazione di Parigi oggi potrebbe benissimo incarnare una figura sfuggevole, contraddittoria e volubile, rispecchiando la complessità e i contrasti della città moderna. La Parigi di oggi potrebbe essere una donna mutevole, sempre in bilico tra il suo passato glorioso e il suo desiderio di innovazione, una figura che cambia umore con il passare del tempo, affascinante ma imprevedibile, ora romantica e sognante, ora fredda e distante; una città che ti attrae e ti respinge, ti fa innamorare e ti confonde, come una musa ispiratrice che cambia volto ogni volta che cerchi di capirla meglio; un simbolo della tensione tra autenticità e cambiamento, tra tradizione e modernità, con un cuore che batte in modo irregolare ma sempre pulsante di vita – dall’altra, la donna-Parigi potrebbe essere un archetipo dell’Anima che Martino insegue senza riuscire davvero a farla sua, a integrarla… (non più solo un luogo fisico, ma una dimensione psichica che rispecchia le sue paure e le sue ansie creative, in un girovagare nel quale sviluppare almeno una nuova consapevolezza dei luoghi che abita, del suo tempo, e di sé stesso).

Realtà e inconscio

Johanna, anche se intesa come donna-Parigi senza confini, è un’entità viva che sfugge alla comprensione del protagonista sonnambulo. Si potrebbe dire che, come nel surrealismo, ci sia un’interazione tra il mondo onirico del protagonista e lo spazio fisico dei luoghi, dove realtà e inconscio si fondono: «Credo di sì – conferma Vanni Santoni – e anche in un piano ulteriore, quello della visione e della profezia. Ma ho voluto che Il detective sonnambulo restasse anche un libro leggibile come narrazione realistica, e che la chiave interpretativa dipendesse dal tipo di sensibilità del lettore. Spero di esserci riuscito». Indubbiamente, sì: i livelli di lettura sono molteplici e con rimandi anche molto pop, come quelli al mondo dei fumetti, ai manga, ai videogiochi, alle «individualità solo-digitali»: «…come se fosse una realtà di secondo grado», si legge nel romanzo, quasi si trattasse di un ampliamento di questa, più che di un rifugio: «Sicuramente ampliamento e intensificazione della realtà, come nel caso delle arti digitali (o gli strumenti digitali) che si sono semplicemente aggiunte a quelle preesistenti senza per questo cancellarle, come è sempre avvenuto e sempre avverrà», conferma Santoni, aggiungendo che «l’ipotesi escapista – per i fumetti come per altri fenomeni che ho affrontato in libri come Muro di casse o La stanza profonda, dedicati ai rave e ai giochi di ruolo – è sempre una semplificazione, oltremodo superficiale».

Psichedelia

Realtà che porta con sé però anche il mal di vivere, tra problemi sociali e ambientali: «Come liberare il mondo dal male, dalla sofferenza…» si chiede il ricco Manfredi. La posta in gioco è gigantesca: sconvolgere il mondo, per fargli cambiare direzione con l’arte impegnata. Il vero limite sarebbe dato dal fatto che «Abbiamo smesso d’immaginare il futuro, un futuro» […] («Quanto era meglio ai tempi di Galileo, quando si poteva ancora immaginare…»). I surrealisti usavano tecniche come l’automatismo per lasciare che l’inconscio guidasse la loro arte e si immergevano nei sogni per superare i limiti della realtà; i protagonisti del romanzo si immergono invece nelle vasche di deprivazione sensoriale. Più precisamente, quale alternativa all’incapacità di immaginare, il romanzo sembra suggerire la pratica dei «viaggi astrali», utili per estendere il proprio cosmo, grazie alla psichedelia, che il narratore però definisce «[…], nient’altro che volgare espansione della coscienza…»: «Non credo che Martino Suckert abbia un’opinione precisa sui viaggi interiori a cui lo sottopone il coprotagonista Manfredi Contini della Torre – afferma Vanni Santoni – anzi ne è spesso assai perplesso. Dall’altro lato è certo che per Manfredi sono un modo, anzi il modo più efficace e diretto, per potenziare l’immaginazione e la teoresi».

Eppure, la narrazione si spinge oltre, quasi a voler sostenere che queste pratiche non forniscano una soluzione ai problemi del mondo: «La psichedelia e la meditazione sono strumenti molto potenti, ma non bisogna dimenticare che la loro efficacia risponde anche allo stato del set (condizioni interiori e intenzioni del soggetto) e del setting (condizioni esteriori, luogo e compagnia durante l’esperienza), nonché del framing (momento storico e contesto sociale), concetto che nel pamphlet Dopo il Rinascimento psichedelico (Einaudi 2024) mi sono permesso di affiancare ai due succitati, ideati dai grandi psicologi e psiconauti di Harvard Timothy Leary, Richard Alpert e Frank Metzner».

Sincronicità

Rimanendo in ambito della psicologia analitica, Johanna si fa portavoce anche di altri temi cari a Jung, come la sincronicità, concetto che però lascia interdetto Martino, fino alla fine, e di fatto non sembra essere chiarissimo nemmeno al lettore: «Jung parlava di “nessi acausali”, e si noterà che Il detective sonnambulo ne è pieno. Chi vuole approfondirlo può leggere il libro dello stesso Jung intitolato appunto La sincronicità, oppure, se preferisce un approccio più squisitamente letterario, leggere i libri di W.G. Sebald, in particolare Austerlitz e Gli emigrati, che ritengo il più riuscito esempio del suo uso in narrativa, naturalmente tenendo sempre conto del lavoro pionieristico di Hermann Broch nei Sonnambuli (il riferimento al suo trittico nel mio titolo non è casuale)».

Ancora due domande…

Il protagonista, Martino, appare come un cronista impacciato, che spesso si abbandona al flusso di pensiero, ammette di non sapere chi è né cosa vuole, e vaga al margine dell’oscurità mentale, come un dormiente solitario («sentendosi in un sogno febbrile che spingeva verso l’incubo») incapace di connettersi davvero con quanto gli sta accadendo attorno: Martino siamo noi? «Sempre…», conferma Vanni Santoni.

Ispirazione e disillusione permeano il suo romanzo, ammantandolo di un non velato nichilismo, e mettendo in risalto la disillusione dei protagonisti come fosse una riflessione sulla difficoltà odierna di trovare autenticità nell’arte e nei luoghi. È possibile che questa sfuggevolezza creativa sia il cuore del viaggio artistico? «Ebbene sì, è possibile… Molto possibile».

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