Le ragazze che vogliono una vita soft

Vengono denominate soft girls, le ragazze – esponenti della Generazione Z – cui non importano carriera e successo, ma piuttosto una vita lenta, tranquilla, in cui avere più tempo per se stesse, i propri interessi ed affetti. Le loro giornate si svolgono all’insegna della cura di sé, dall’alimentazione al movimento, ambito nel quale prevalgono discipline come lo yoga, il pilates e in generale gli allenamenti dolci. Nel lungo periodo, la soft girl si immagina di stare a casa con i figli ed attendere, la sera, il marito. Quello che persegue è insomma il desiderio ritenuto un po’ arcaico di condurre una vita solo casa e famiglia.

Può stupire che un tale fenomeno abbia origine in Svezia, uno dei Paesi simbolo dell’uguaglianza di genere, della parità occupazionale e dell’emancipazione femminile. Quello delle soft girls è infatti nato come un microtrend sui social media in diverse parti del mondo alla fine degli anni 2010 ma è proprio nel Paese scandinavo che, da qualche anno, è esploso, tanto che Ungdomsbarometern (il principale sondaggio annuale condotto sui giovani) ha evidenziato questa tra le tendenze riguardanti i ragazzi per il 2024, mentre un altro studio dello stesso anno metteva in luce il fatto come tale aspirazione si stia diffondendo pure tra le ragazzine di 7-14 anni, il 14% delle quali si sente una soft girl.

La BBC ha intervistato un’esponente di questo trend, Vilma Larsson, venticinquenne che ha, appunto, scelto di lasciare il lavoro per essere, semplicemente, una «fidanzata casalinga». Vilma ha raccontato che mentre il suo compagno si dedica alla carriera, lei va in palestra, a fare una passeggiata oppure cucina per lui. Oltre a ciò, lavorando lui da remoto, la coppia viaggia spesso e trascorre l’inverno a Cipro. Con il fatto di raccontare la sua vita da soft girl sui social, Vilma è diventata un’influencer, attività dalla quale sostiene però di non ricavare alcun profitto; è il compagno a darle, mensilmente, uno «stipendio».

La situazione della ragazza svedese risulta sicuramente privilegiata e uno degli interrogativi che ci si pone in relazione al fenomeno generazionale di cui ci stiamo occupando è proprio la sua sostenibilità a livello finanziario. Nella realtà però, come capita per varie tendenze, esistono diversi modi per metterle in atto; c’è chi diventa una soft girl a tutti gli effetti, smettendo di lavorare e lasciando al partner l’incombenza delle questioni economiche, e chi invece – la maggior parte – non può permetterselo. Per loro, la quotidianità tranquilla e priva di stress delle «ragazze dolci» rappresenta più un ideale a cui tendere che un vero stile di vita. In ogni caso, questa sorta di rifiuto di quanto ottenuto con l’emancipazione femminile dovrebbe quantomeno far riflettere.

Questa propensione non è del tutto estranea neppure in Svizzera ed è in particolare sui social che si trovano ragazze che ambiscono ad abbracciare una vita meno legata al successo professionale e maggiormente incentrata sul benessere fisico e mentale. «Dal mio punto d’osservazione, soprattutto in relazione alle ragazze, noto una certa mancanza di ambizioni lavorative», afferma Sara Rossini, co-fondatrice e direttrice di fill-up, prima azienda in Svizzera ad offrire servizi di coaching per l’apprendistato, «se prendo come esempio l’estetista, seguo delle ragazze che mi dicono “a cosa mi serve il diploma? Per ottenerlo devo studiare e quindi è meglio se seguo un corso per fare le unghie, apro un piccolo salone in proprio e lavoro, anche bene, come fanno tante”». Le ragazze tendono quindi a cercare – a detta di Sara Rossini – la via semplice e meno faticosa, influenzate in questo anche dai social, dove chi ne ha fatto, almeno in parte, un lavoro, dà l’idea di essere arrivato, senza particolare fatica. «Un altro motivo per cui le ragazze cercano la via facile coincide con l’idea che, una volta sposate, il lavoro passerà in secondo piano», continua la professionista, che ha svolto quasi tutta la sua carriera in settori legati alla formazione e conosce quindi molto bene i ragazzi e la Gen Z: «Ovviamente non si può generalizzare, ma se, su un ipotetico campione di 100 ragazze, una volta erano 80 quelle che ambivano a fare carriera e 20 quelle la cui aspirazione era avere una famiglia e stare a casa con i figli, attualmente mi sento di affermare che questi dati si stanno un po’ ribaltando».

Per contestualizzare, va comunque detto che i giovani di oggi vivono in una società non facile: «Le aspettative, soprattutto per le donne, sono alte. Devono sempre essere perfette e performanti e non tutte sono in grado di esserlo – aggiunge Sara Rossini – andando oltre le distinzioni di genere, il mondo del lavoro è diventato più complesso e, al suo interno, si è portato avanti il pensiero che i giovani siano più responsabili e quindi in grado di comportarsi di conseguenza, quando in realtà ragazzi e ragazze sono oggi meno forti, il che, a volte, li porta a fermarsi non tanto, o non solo, perché non si vogliono impegnare, quanto perché hanno in fondo paura di non essere all’altezza». La Generazione Z nasconde infatti un lato fragile, riconducibile in gran parte all’alto grado di stress che caratterizza la società della performance. Che quella delle soft girls sia quindi una tendenza a scappare da questa società? Oltre a ciò, quello compiuto dalle «ragazze dolci» sembrerebbe costituire un ulteriore passo all’interno di un altro filone caratteristico della generazione che comprende le persone nate tra il 1997 e il 2012, e cioè il fatto di essere molto legati alla propria vita personale. Se, infatti, in generale, gli esponenti della Gen Z aspirano ad avere una carriera che consenta loro di continuare a godersi la vita e coltivare i propri interessi, le soft girls si spingono oltre, scegliendo di concentrarsi esclusivamente sugli ultimi due aspetti.

Una visione della vita e del lavoro (di cui tra l’altro si occupa anche Simona Ravizza nella sua rubrica a pag.11), che si scontra diametralmente con quella della cosiddetta girl boss, figura simbolo della realizzazione femminile, nata negli anni 10 del 2000 negli Stati Uniti, che incarna una giovane donna in carriera, ambiziosa, instancabile e intransigente. Figura che ha con ogni probabilità ispirato parte delle madri delle giovani di cui ci stiamo occupando, lavoratrici emancipate sì, ma pure stressate. E sono proprio questo stress – con le sue conseguenze – e le esigenze di successo giudicate troppo elevate, che le attuali «ragazze dolci» rifiutano, ritenendoli dannosi per la propria salute mentale. Anche secondo alcuni studiosi, la loro ricerca, volontaria e consapevole, di un ruolo tradizionale nella famiglia è influenzata dal fatto di essere cresciute a fianco di madri che, pur facendosi in quattro tra casa e lavoro, non ottenevano gli stessi diritti dei loro colleghi.

A chi vede in tutto ciò un passo indietro, potenzialmente rischioso, nella lotta per l’uguaglianza di genere, Denice Westerberg, portavoce nazionale dell’ala giovanile del partito nazionalista e populista di destra dei Democratici svedesi, risponde: «Le ragazze dovrebbero poter decidere della propria vita; se hanno la possibilità economica di non lavorare, buon per loro. Viviamo in un Paese che ci dà tutte le opportunità per fare carriera. Abbiamo tutti i diritti. Ma abbiamo il diritto anche di scegliere di vivere in modo più tradizionale». Per lei quindi questo recente trend rappresenterebbe la vera emancipazione femminile, nella quale però, si potrebbe aggiungere, le sue esponenti sono probabilmente facilitate dal fatto di non aver dovuto lottare, contrariamente da chi le ha precedute, per i pari diritti e l’indipendenza.

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