L’anarchia comica che fece saltare il banco

I Fratelli Marx – Groucho, Chico, Harpo (e per un po’ anche Zeppo, con Gummo che lasciò quasi subito diventando l’agente di Groucho) – incarnano il lato più irriverente, assurdo e irresistibilmente caotico della comicità del Novecento.

Provenienti da una famiglia di migranti europei – Samuel detto «Frenchie», alsaziano, e Minnie Schönberg, di origini tedesche, che si stabilirono a New York nel 1880 – Leonard, Adolph, Julius, Milton ed Herbert rientrano tra quei tanti immigrati ebrei che tra fine Ottocento e inizio Novecento si distinsero nello spettacolo. Come molti colleghi, i Fratelli Marx condividevano tre elementi: un padre fallito nel Nuovo Mondo (Samuel era un sarto maldestro noto come Sam «malcucito»); un’educazione religiosa trascurata e rapporti complicati con lo studio; e, soprattutto, una madre forte, intelligente e determinata. Minnie, proveniente da una famiglia di artisti (il fratello era il comico Al Shean), volle per i suoi figli un futuro da performer. Fu così che ognuno dovette imparare a suonare uno strumento: fin da giovani si esibirono nel circuito del vaudeville come The Four Nightingales.

Ma servirono un mulo, una partita a poker e un temutissimo critico teatrale a determinare definitivamente la loro carriera: nel 1912, infatti, mentre intrattenevano il pubblico in un teatro in Texas, gli spettatori uscirono in massa per assistere allo spettacolo di un mulo in fuga per le strade. Al loro ritorno Groucho non si trattenne a improvvisare battute sarcastiche su di loro, sul paese e sul Texas. Anziché indispettire il loro pubblico, lo deliziò, e dal quel momento le loro esibizioni si orientarono maggiormente verso la comicità, riducendo drasticamente i numeri musicali. Tuttavia nel 1912 Groucho non era ancora… «Groucho». Lo divenne tre anni dopo durante una partita a poker.

Fu il comico Art Fisher a battezzare i fratelli con i loro soprannomi con cui oggi li conosciamo: Groucho (da «grouchy», brontolone), Harpo (ottimo suonatore di arpa), Chico (uomo dalle mille passioni, dal gioco alle «chicks», appunto, le ragazze) e Gummo (probabilmente per le sue scarpe di gomma, «gumshoes»). Misteriose, invece, le origini del soprannome «Zeppo»… In ogni caso servì anche il contributo del caustico critico teatrale Alexander Woollcott per lanciare definitivamente in orbita il team comico.

Critico temutissimo, tanto che molti teatri non lo facevano neppure entrare a vedere gli spettacoli, nel 1924 Woollcott assistette con il suo proverbiale scetticismo alla prima di I’ll Say She Is, il debutto dei Marx Brothers a Broadway. Ne rimase folgorato (in particolare lo colpì la performance di Harpo – di cui poi divenne amico – al punto da intitolare la sua recensione sul «New York Sun» Harpo Marx and Some Brothers) e la sua recensione trasformò dalla sera alla mattina i fratelli in leggenda.

Con l’avvento del sonoro, i comici del vaudeville tornarono alla ribalta e la Paramount mise sotto contratto i Marx, che conquistarono il mondo con la loro comicità esplosiva. Al cinema, ogni fratello sviluppò uno stile personale: Groucho, maestro della battuta pungente; Chico, re dell’umorismo linguistico; Harpo, esperto in pantomima e gag visive. Nulla era sacro per loro: né la logica, né l’autorità, né il buon senso.

Dopo cinque film con la Paramount, nel 1934 la collaborazione si interruppe. La guerra lampo dei Fratelli Marx, oggi considerato un capolavoro, fu ritenuto un insuccesso commerciale. Zeppo lasciò il gruppo, frustrato dai ruoli secondari. Senza contratto e con un membro in meno, i Marx accettarono l’offerta della MGM e del suo giovane e geniale produttore Irving Thalberg. Thalberg voleva un film con meno risate ma una vera storia: «Metà risate, ma con una trama vera: incasserà il doppio», disse. Il suo obiettivo era unire il caos comico dei Marx a una struttura narrativa solida, con intrecci romantici e sceneggiature più curate. Per rassicurarli, spiegò di non voler cambiare il loro stile, ma il modo in cui presentarlo. Promise loro i migliori sceneggiatori e produzioni di alto livello. I Marx accettarono, convinti anche dalla reputazione e dal carisma del produttore.

Il risultato fu Una notte all’opera, unanimemente considerato il loro miglior film. Alla sceneggiatura contribuì anche il più grande battutista dell’epoca, Al Boasberg. Talmente rispettato da essere pagato anche solo per approvare copioni senza modificarli, Boasberg scrisse per tutti i grandi dell’epoca. Ma, come Thalberg, morì giovane. La magia tra la sua penna e il talento dei Marx non si sarebbe più ricreata.

Un giorno alle corse, l’ultima commedia a cui lavorò Boasberg, è anche l’ultimo grande film dei Fratelli Marx. Più avanti negli anni, senza la guida di Thalberg e il genio di Boasberg, i fratelli persero slancio. Girarono altri sette film, alcuni solo per aiutare Chico, spesso nei guai per le scommesse. Ma la loro grandezza non fu mai dimenticata. Molti comici – da Woody Allen ai Monty Python, da Mel Brooks a Steve Martin – hanno riconosciuto nei Marx dei pionieri assoluti: per il tempismo comico, l’uso audace del linguaggio, la capacità di sovvertire la logica narrativa. Ancora oggi, i loro sketch sorprendono, fanno ridere e, forse, anche riflettere. Perché i Fratelli Marx non erano solo comici. Erano un’idea: un’esplosione di libertà sotto forma di battuta.

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