Sull’evoluzione delle economie europee dovrebbe aver influito, nel corso degli ultimi 50 anni, il fenomeno della mondializzazione. Non esiste una definizione condivisa del fenomeno. Ma al centro di molte delle definizioni in circolazione sta la perdita di importanza delle frontiere nazionali come ostacolo alla circolazione delle persone, dei beni e dei servizi. Anche rispetto ai fattori determinanti della mondializzazione non c’è unità di dottrina. Molti autori mettono tuttavia in evidenza il ritorno ai cambi flessibili in seguito all’abbandono, avviato nel 1971 dagli Stati Uniti, degli accordi di Bretton Woods, il moltiplicarsi degli accordi commerciali multilaterali e le trasformazioni nei trasporti e nelle comunicazioni internazionali indotte dal digitale, soprattutto nell’ultimo decennio del passato secolo. Tre sono le conseguenze principali di queste modificazioni del quadro entro il quale operavano le economie europee fino alla fine degli anni Sessanta dello scorso secolo.
La prima è stata la perdita di importanza degli Stati nazionali nel governo dei flussi delle loro economie e il crescere invece di importanza delle multinazionali nella gestione degli stessi. La seconda è rappresentata dall’aumento di importanza della concorrenza – soprattutto a livello internazionale – che ha indotto gli addetti ai lavori a occuparsi sempre di più di come si sviluppava la produttività nelle loro economie e di come questo sviluppo incideva sulla competitività delle stesse. Si può infine affermare che le migrazioni internazionali di lavoratori e delle loro famiglie rappresentano – non solo in Europa – la terza importante conseguenza della mondializzazione. Ovviamente la mondializzazione, con il retrocedere dei dazi, ha provocato anche una forte crescita dei flussi internazionali di beni e servizi, i flussi insomma registrati dalla bilancia commerciale. Tuttavia, come mettono in evidenza i critici della mondializzazione, questa crescita non è stata accompagnata da uno sviluppo parallelo del Prodotto interno lordo (Pil) delle diverse economie.
A livello di aggregati mondiali si è potuta osservare – se le statistiche di cui disponiamo sono affidabili – la seguente evoluzione. Nel 1960 commercio internazionale e Prodotto interno lordo dell’insieme delle economie del mondo si equivalevano. A partire dal 1970 però i volumi del commercio internazionale hanno cominciato a crescere più rapidamente di quelli del Prodotto interno lordo delle economie mondiali. Così, nel 2000, il tasso di crescita del commercio internazionale era già superiore al doppio di quello del Pil di queste economie (10,3% contro 4,8%). Nel 2020 il valore di questo rapporto era ancora aumentato. In quell’anno (il primo anno dell’epidemia del Covid) il commercio internazionale crebbe, a livello mondiale in ragione del 19,1% mentre il Pil di queste economie aumentò solamente dell’8,2%. L’evoluzione del rapporto tra questi due tassi è uno degli argomenti più pesanti che vengono presentati dai critici della mondializzazione. L’espansione dei flussi commerciali internazionali, messa in moto dalla mondializzazione, non avrebbe, secondo loro, avuto il riscontro positivo che ci si attendeva sulla crescita delle economie del mondo. Anzi, siccome il valore del rapporto tra i tassi di crescita del commercio mondiale e quelli del Pil mondiale continua a crescere, bisogna addirittura concludere che le politiche che dovrebbero incrementare il commercio internazionale per favorire la crescita si sono rivelate del tutto inefficaci. Si tratta di una conclusione che sta in piedi nella misura in cui le statistiche sulle quali si basa sono affidabili. Per l’economista tradizionale l’evoluzione del recente passato è però paradossale.
Il tasso di crescita del Pil, in generale, dovrebbe essere maggiore di quello del commercio internazionale di un Paese come per esempio è stato il caso del Ticino nel corso degli ultimi 50 anni, con l’eccezione dell’ultimo lustro del passato secolo quando le esportazioni hanno trainato l’economia ticinese fuori dalla recessione. Evoluzione parallela non significa però che le due grandezze continuino a crescere. In termini di tassi di crescita del Pil e delle esportazioni ticinesi, per esempio, gli ultimi 40 anni hanno visto aumenti e diminuzioni alternarsi.