Arrivo quasi per caso al Museo Storico di Basilea, non mi aspettavo che fosse ospitato nella suggestiva chiesa sconsacrata di Barfüsserkirche. Attraverso rapidamente le sale, sfiorando i frammenti della danza macabra, il gabinetto numismatico, l’incredibile Wunderkammer e le tappezzerie medievali, fino a trovarmi davanti all’ingresso della mostra temporanea Verrückt Normal («Follemente normale»): un’esposizione che ripercorre gli ultimi 150 anni di storia della psichiatria, a partire dalla clinica cantonale basilese «Friedmatt», inaugurata nel 1886 come manicomio con oltre duecento posti letto e oggi facente parte della clinica psichiatrica universitaria.
All’ingresso, una gigantesca stampa lenticolare ricorda quelle cartoline zigrinate di una volta. A seconda della prospettiva, l’immagine cambia, ponendoci di fronte alla domanda: folle o normale? Una questione di sguardo, di percezione. Ed è proprio su questo confine sottile che si sviluppa l’intero percorso espositivo. La prima parte offre un ampio excursus storico, mostrando come il concetto di normalità è mutevole e come il confine tra salute e malattia mentale si è evoluto insieme alla società. La scenografia di alcune sale evoca l’architettura austera degli ospedali psichiatrici del secolo scorso, mentre oggetti e strumenti raccontano l’evoluzione dei trattamenti. Un mazzo di chiavi con un fischietto per dare l’allarme ci riporta al periodo «custodialistico», quando lo scopo principale dei manicomi e degli «asili per i pazzi» era soprattutto quello di isolare i pazienti dalla società.
Si passa poi all’epoca della medicalizzazione. In una sala, strumenti che oggi sembrano usciti da una stanza delle torture: siringhe per la «malarioterapia» (un metodo che prevedeva di infettare i pazienti con la malaria per ottenere effetti collaterali apparentemente benefici), vasche per bagni bollenti o gelidi, fino all’armamentario medico utilizzato per la controversa cura insulinica di Sakel, che induceva stati comatosi per stimolare miglioramenti nei pazienti. Sono esposti anche gli attrezzi per la lobotomia, pratica che si innesta profondamente nella storia della psichiatria svizzera: lo psichiatra Gottlieb Burckhardt ne fu un precursore, praticando lobotomie sui pazienti dell’ospedale psichiatrico del canton Neuchâtel. Grande spazio è dedicato all’elettroshock, entrato nell’immaginario collettivo anche grazie al film del 1975 Qualcuno volò sul nido del cuculo: mi impressionano particolarmente i filmati che confrontano la brutalità delle pratiche degli anni 40 e 50 con le moderne terapie elettroconvulsive, oggi ancora utilizzate ma con criteri più controllati. Anche alle nostre latitudini molte di queste tecniche erano applicate con convinzione nelle cliniche private e nei padiglioni immersi nel verde del parco di Casvegno a Mendrisio.
Essendo Basilea patria delle grandi case farmaceutiche, non poteva mancare una sezione dedicata agli psicofarmaci con decine di scatole, pillole e boccette colorate allineate nelle vetrine. L’introduzione del «Largactil» alla fine degli anni 50 segnò una svolta epocale, dando inizio a quella che fu definita una «rivoluzione silenziosa»: si poteva dare una risposta chimica alla sofferenza mentale, con il risultato che, in breve tempo, le urla nei padiglioni psichiatrici si spensero, lasciando spazio a un silenzio innaturale.
La mostra non ignora le tante pagine oscure di questa vicenda, come le sperimentazioni condotte in vari ospedali psichiatrici svizzeri, recentemente portate alla luce da commissioni di storici. Tra il 1940 e il 1980, in diverse strutture a Basilea, Lucerna e nel Canton Turgovia, numerosi pazienti furono sottoposti, senza il loro consenso, a sperimentazioni con farmaci ancora non autorizzati. O ancora il periodo in cui alla guida della clinica di Basilea ci fu il dottor Ernst Rüdin, aderente al partito nazionalsocialista, che ebbe poi un ruolo determinante nell’elaborazione delle leggi naziste sull’eugenetica.
Ad accompagnare la mostra, un podcast in sei episodi pubblicato ogni terzo giovedì del mese, disponibile sulle principali piattaforme. Racconta le storie di nove persone ricoverate all’ospedale psichiatrico di Basilea tra il 1879 e il 1984, dando voce a vicende reali attraverso ricostruzioni, documenti storici e testimonianze dirette.
L’ultima sezione della mostra ci catapulta nel presente, con interviste a pazienti, medici e operatori che affrontano il tema della salute mentale da diverse prospettive. Come vivono oggi le persone che soffrono di un disturbo psichico? Quali sono le sfide delle istituzioni preposte alla cura della salute mentale? Esiste ancora la «contenzione»? E che forme ha preso? Spesso tendiamo a ignorare queste tematiche finché non ci toccano da vicino, ma la psichiatria riguarda tutte e tutti e questa esposizione, visitabile fino alla fine di giugno, ci propone di prenderci il tempo per una riflessione. Un viaggio emozionante che mi porta a riflettere sulla sottile linea tra normalità e follia, su cui tutti camminiamo ogni giorno.