Volontariato: il progetto Caritas Impegno Alpestre cerca persone disponibili ad aiutare le famiglie contadine di montagna in Svizzera
Do ut des. Dare per ricevere. Il motto latino restituisce magnificamente il senso a monte del progetto Caritas Impegno Alpestre: sostenere attivamente nel lavoro quotidiano le famiglie contadine di montagna di tutta la Svizzera che si trovano in situazioni difficili. In che modo? Il sodalizio colloca volontari di tutte le età ai quali vengono garantiti vitto e alloggio e tanto altro (come vedremo) e i proprietari degli alpeggi, dal canto loro, ricevono per una o più settimane un aiuto concreto nell’economia della loro attività: dall’impiego in stalla, alla gestione dei pascoli, alla fienagione, al sostegno come baby sitter.
Caritas Impegno Alpestre si batte così a favore della sicurezza sociale e dell’integrazione delle persone vulnerabili e al contempo promuove la solidarietà e lo spirito di amicizia e preserva i nobili princìpi delle aziende alpestri. Spiega Jessica Pillet, responsabile per il Ticino e la Svizzera francese, che raggiungiamo telefonicamente a Losanna: «La situazione permane difficile per le famiglie contadine di montagna, confrontata sempre di più ai cambiamenti climatici. Periodi di siccità o, al contrario, di grandi piogge rendono difficile la gestione delle mucche in altura». Di qui la volontà di tendere una mano verso le imprese in difficoltà. Quali criteri devono essere soddisfatti per poter aderire alla vostra piattaforma e sperare nel sostegno dei volontari? «È importante certificare un bisogno reale. Le aziende devono certificare di non essere in grado di impiegare personale oltre a quello attivo nell’impresa. Noi incontriamo le famiglie per capire bene qual è la loro situazione, che è sempre diversa l’una dall’altra. Chiaramente il nostro aiuto con l’impiego di volontari si limita al periodo primavera-estate, e non può estendersi su tutto l’arco dell’anno».
Ma come si traducono concretamente in sostegno le esperienze dei volontari? «I volontari non hanno formazioni nel mondo agricolo, si prodigano dunque in compiti semplici che possono essere appresi facilmente. Abbiamo una bella eterogeneità di volontari: più o meno un terzo sono perlopiù studenti dai 18 ai 30 anni, ma ci sono anche diversi impiegati d’ufficio che decidono di dedicare una delle loro quattro o cinque settimane di vacanza alla solidarietà, desiderosi di stare all’aria aperta e confrontarsi con lo sforzo fisico. Un altro terzo è rappresentato da prepensionati o pensionati che vogliono ancora spendere la loro buona forma e svolgere qualcosa di utile. Tra questi ultimi c’è anche chi ha già lavorato nella propria vita in vigneti o in fattorie e sono dunque abituati a questo genere di attività. L’esperienza di vivere una o più settimane con una famiglia rappresenta un’occasione umana e sociale sia per i volontari sia per i contadini».
Veniamo ai numeri. «L’anno scorso in Svizzera abbiamo sostenuto circa 130 famiglie. Ad oggi sono una settantina le famiglie contadine che hanno richiesto aiuto, di cui tre in Ticino. I profili sono sul nostro sito Internet (www.impegnoalpestre.ch) ed è possibile iscriversi e aderire al progetto principalmente da aprile a settembre e scegliere personalmente l’alpeggio in cui essere destinati, interfacciandosi direttamente con i contadini. Noi ogni anno cerchiamo dai 1000 ai 1200 volontari. L’80% si impiega per una settimana». Ospitare degli sconosciuti in casa propria per le famiglie contadine non dev’essere facile. «In effetti. Ma poi quando inizia la conoscenza, le famiglie si aprono. Ricevono, ma danno anche tanto ai volontari, desiderosi di vivere una vita così diversa dalla loro, di essere a contatto con la natura». Quali tipi di mansioni vengono perlopiù richieste? «Recuperare le mucche all’alpeggio, pulire i materiali dopo la mungitura, raccogliere il fieno, aiutare a mettere le recinzioni, talora preparare da mangiare. La famiglia si adatta comunque alle competenze dei volontari, tra bisogni e motivazioni». Registrate anche rinunce? «Qualche volta capita. Come in tutte le relazioni umane può succedere che non si vada d’accordo o che l’impegno immaginato non corrisponda alle aspettative, ma sono l’eccezione. La maggior parte delle esperienze sono molto positive».
In Ticino tra le realtà che si sono rivolte al progetto di Caritas Impegno Alpestre in attesa di volontari ci sono Albertine e Luca Ferracin del caseificio Grom a Capriasca (www.gromealperompiago.com) e i loro quattro figli. «È il secondo anno che aderiamo» – dichiara Albertine. «L’anno scorso è stata una piacevole scoperta, abbiamo avuto una dozzina di volontari. Nessuno di loro aveva pratica, eppure tutti ci hanno dato una grandissima mano, fornendoci una grande prova, è stato davvero bellissimo. L’estate è però stata funestata dall’incendio divampato il 28 agosto: la nostra azienda agricola a Bidogno, sotto l’alpe Rompiago, alle pendici del monte Bar, è stata completamente distrutta dalle fiamme, sprigionatesi probabilmente da un cortocircuito. Per fortuna tutti gli animali si trovavano all’alpe e nessuno è rimasto ferito, però abbiamo perso l’azienda che adesso stiamo cercando di ricostruire e tutte le nostre mucche sono in gestione da altri contadini». Ma con il ritorno della bella stagione si ricomincia? «Sì, la transumanza è prevista a maggio. Torneranno all’alpe con la nostra dozzina di vacche e con un’altra trentina di un altro contadino della regione». Quali sono le difficoltà del vostro settore oggi? «La cosa più ardua è trovare persone che abbiano voglia di svolgere il nostro lavoro e di affrontarlo tutti i giorni. È un carico di lavoro molto importante mungere mattina e sera. E poi noi abbiamo deciso di trasformare tutto il latte per l’azienda, vale a dire nel caseificio che ora non abbiamo più dopo l’incendio. Oggi abbiamo salvato il formaggio dell’alpe che per fortuna si trovava in alto. Gestiamo anche un apiario e produciamo miele di montagna. All’alpe possediamo un agriturismo con prodotti bio, con una terrazza panoramica per trenta persone e dieci posti letto, aperta da maggio – il 3 avrà luogo l’inaugurazione – fino a settembre. Né io né Luca siamo di famiglia contadina, da sei anni siamo attivi nel settore, io dopo l’incendio lavoro in parte anche come infermiera, mentre mio marito era professore di lettere. Amo la mia professione di contadina: è un lavoro duro che non arricchisce, ma dà un compenso umano impagabile e di bellezza inestimabile. Andare a prendere le mucche per mungerle, il suono delle campane, il vitello che nasce…».
E di questa alchimia sa qualcosa Enea Sangiorgio, 18 anni, studente del liceo di Savosa, che la scorsa estate ha preso parte al progetto di Caritas Impegno Alpestre trascorrendo un intero mese in una famiglia contadina del Vallese con caseificio e alpeggio, a circa 2000 metri di altitudine, dove intende tornare per alcune settimane. Un bilancio entusiasmante, dunque? «Assolutamente. Sono partito principalmente per imparare il francese e ho trovato questa soluzione: ho imparato a fare il formaggio, il fieno, a pulire la stalla e tutta la struttura, a raggruppare le mucche. Ne avevamo 55, non tutte erano loro ma anche di altri contadini. Mi è piaciuto tantissimo. È stata un’esperienza completamente nuova, sempre a contatto con la natura, ero a tutti gli effetti membro del team. Ma non mi è mai sembrato di lavorare, mi sentivo come in vacanza. Sul mio telefonino conservo ancora le foto di albe e tramonti impareggiabili. E se ho scelto questo luogo è proprio per il paesaggio. Una meraviglia».