Oltre la crescita del numero di turisti

A partire da due secoli or sono, quando ancora eravamo povera gente, il turismo ha traghettato la Svizzera verso la modernità e il benessere, lasciando poi spazio a nuovi settori quali finanza, farmaceutica, meccanica di precisione. A livello nazionale il turismo conta oggi solo per circa il 3% del prodotto interno lordo (anche se occupa molto più spazio nell’immagine della Svizzera nel mondo). In Ticino tuttavia ha conservato una maggiore importanza, così come nei Grigioni, in Vallese, Canton Lucerna o Canton Berna; da noi il settore turistico rappresenta circa il 12% dei posti di lavoro e il 10% del PIL. Anche per questo se ne discute molto. Per esempio nelle scorse settimane le previsioni meteo e il tasso di occupazione delle camere d’albergo per la Pasqua sono stati sviscerati in ogni dettaglio. In particolare l’aspetto economico ha regolarmente il sopravvento su ogni altra prospettiva. Minime flessioni di pochi punti percentuali, del tutto fisiologiche, sono considerate presagi di sventura.

Ci aspettiamo poi che le presenze crescano ogni anno, senza mai chiederci veramente quale sia il giusto numero di turisti per il cantone. Personalmente credo che abbiamo già raggiunto da tempo la cosiddetta soglia di carico, sociale e ambientale, oltre la quale i turisti provocano più problemi che opportunità. E quindi certo possiamo differenziare i mercati, privilegiare alcune provenienze (o esperienze), ma al fondo dovremmo tacitare quell’eterna insoddisfazione.

C’è anche un’altra ragione. Del turismo ci piacciono i guadagni, molto meno altri aspetti essenziali quali l’incontro con altre culture, la diversità di abitudini, mettersi in discussione. Spesso la questione viene affrontata dal punto di vista dell’ospitalità. Il nostro cantone, si dice, al fondo sarebbe poco ospitale, al di là di una cortesia di facciata. C’è del vero, credo, in questa impressione, nel senso che a volte manca la volontà di cogliere in tutta la sua portata la sfida rappresentata dalla presenza degli stranieri. Oggi più che in passato i visitatori non cercano solo dei servizi, ma un incontro, una condivisione, una reciproca scoperta. Se manca questo interesse da parte nostra, anche legittimamente, è una ragione di più per contenere la crescita del turismo ai numeri attuali.

Anche l’organizzazione dell’offerta è un poco autoreferenziale: quanti visitatori sanno che il Cantone è suddiviso in quattro regioni principali, ciascuna gestita da un’Organizzazione Turistica Regionale (OTR)? Ben pochi credo, considerato che molti visitatori scavalcano con disinvoltura nelle due direzioni anche il confine con la vicina Italia e si muovono in una più ampia regione dei laghi.

Una minore enfasi sugli aspetti economici aiuterebbe anche nelle scelte strategiche. Negli anni Settanta, con la regia di un giovane Marco Solari, fu elaborata una nuova immagine del Ticino «Terra d’artisti», spostando l’attenzione da stereotipi folcloristici a una rappresentazione più autentica e ricca del territorio. Nasce allora quel turismo culturale che ha trovato nel LAC la sua naturale evoluzione. Fu una scelta giusta? Io lo credo, anche se naturalmente il turismo culturale ha costi maggiori rispetto al tradizionale turismo ambientale e dà minori soddisfazioni sul piano delle entrate, perché la scena è estremamente competitiva e ogni grande città lotta per conquistare e difendere un suo spazio. Anche in questo caso considerazioni strettamente economiche non ci avrebbero portato dove felicemente siamo.

Lo stesso discorso vale per il Locarno Film Festival, la nostra manifestazione più importante e conosciuta. Qualche tempo fa, in occasione di una tavola rotonda, ascoltavo il direttore operativo Raphaël Brunschwig giustificare il contributo pubblico annuale di 3,4 milioni di franchi sottolineando minuziosamente il vario indotto generato dal festival. Ma abbiamo davvero bisogno di questa minuziosità contabile? Non ci basta Piazza Grande colma di pubblico, in larga parte ticinese? I grandi eventi dovrebbero prima di tutto piacere a noi, rispecchiare le nostre passioni, per essere poi proposti e condivisi coi visitatori. Solo i Paesi poveri cercano di assecondare in tutto e per tutto le aspettative dei turisti; ma noi poveri non siamo, non più.

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