Quando l’arte si fa asettica, il disegno su tablet

Parecchi anni fa, chi scrive ebbe la fortuna di diplomarsi presso un istituto professionale noto a livello internazionale come una delle prime scuole di fumetto europee – in altre parole, un luogo in cui i cartoonist del futuro ricevevano un’istruzione in tutti gli ambiti del disegno. E quando ripenso al mio primo mestiere come «fumettara», i miei ricordi più vividi potrebbero essere definiti come quantomeno proustiani: l’odore della carta, la sensazione della gomma pane tra le mani, e quella dell’inchiostro di china che immancabilmente macchiava le dita nel punto in cui si impugnava il pennello.

Forse proprio a causa della natura delle mie reminiscenze, ammetto di aver ricevuto un discreto shock quando, alcuni anni fa, tornai nella mia vecchia scuola a ricercare un po’ di quella nostalgica magia che aveva contraddistinto la mia giovinezza – per trovare i tavoli stranamente sgombri, a parte un solo, anacronistico oggetto a occupare le postazioni di lavoro: un costosissimo tablet professionale, di cui ogni classe vantava un esemplare per studente.

Quella fu la prima volta in cui scoprii come oggi la maggior parte dei disegnatori professionisti abbia ormai abbandonato la modalità di lavoro tradizionale a base di matite, fogli di carta e inchiostro per passare a progetti del tutto digitali, realizzati direttamente sul tablet con l’ausilio della penna grafica e consegnati al committente sotto forma di file multimediali. Così, nonostante vi siano autori che effettuano ancora le fasi iniziali del lavoro a mano libera, la maggioranza dei giovani fumettisti svolge ogni passaggio del processo creativo tramite il touchscreen, senza più alcun reale contatto con la materia. In effetti, il fenomeno dei webtoon (fumetti pubblicati esclusivamente online) ha molto a che vedere con la diffusione di programmi informatici e app che permettono il cosiddetto «disegno facilitato», fornendo all’aspirante artista vari template già pronti e predisposti per la personalizzazione, in una sorta di catena di montaggio creativa.

Forse anche per questo, la maggior parte dei millennials identifica il fumetto digitale come l’unico con cui abbia reale familiarità – senza, tuttavia, rendersi conto delle conseguenze che un simile approccio ha sull’atto creativo. Come, ad esempio, il fatto che molti dei giovani fumettisti cresciuti a pane e tablet fatichino visibilmente a eseguire un disegno a matita: l’esitazione che fa tremare la loro mano, non usa a oggetti «reali», è evidente agli occhi di chiunque venga da una precedente generazione e differenti parametri.

Il che finisce per riportare alla mente i numerosi studi scientifici secondo i quali lo sviluppo della manualità è direttamente collegato a quello cognitivo: in sostanza, da quando il nostro mondo quotidiano è mediato da uno schermo e dal solo contatto delle dita con superfici asettiche quali tastiere e touchscreen, la conseguente perdita di destrezza manuale (evidente soprattutto nelle generazioni cresciute con lo smartphone in mano) sembra aver avuto ripercussioni anche sulla capacità dialettica e di assimilazione delle informazioni; infatti, qualora venga a mancare l’uso regolare e costante della coordinazione applicata alle cosiddette «capacità motorie fini», risulta apparentemente più difficile immagazzinare e codificare nuove conoscenze.

Naturalmente, la colpa non è dei giovani: dopotutto, la nostra è un’epoca contraddistinta dall’obbligo della velocità a tutti i costi, in cui anche le discipline artistiche si sono fatte «istantanee», un po’ come il caffè solubile – ragion per cui la qualità di un qualsiasi prodotto è ormai subordinata alla sua rapidità di commercializzazione. Eppure, forse ciò di cui questo momento storico più avrebbe bisogno è proprio un ritorno ai ritmi di un tempo, e a una visione della produzione artistica simile a quella dell’antico artigianato di alto livello: un processo attento e meditato, lontano dal semplice consumo «usa e getta» – qualcosa di personale e inestimabile, di cui fare tesoro. Perché tornare ad apprezzare davvero il gesto artistico significa, in fondo, imparare ad amare anche il dono offerto dall’artista stesso – e la fatica e abnegazione dalle quali esso nasce.

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