Genealogia del movimento autonomo

Ti ricordi la tua prima bicicletta? Ti ricordi quando tuo padre ha lasciato la presa sul sellino (ma non te ne sei accorto subito) e hai pedalato da solo senza rotelle per la prima volta? Per un bambino la bicicletta è una rivoluzione: segna un decisivo aumento della velocità (da pochi chilometri all’ora sino a venti e oltre), garantisce una nuova autonomia, permette avventurose esplorazioni dei dintorni. Ma anche nell’evoluzione della nostra società il ruolo della bicicletta è stato altrettanto importante, per quanto spesso lo si dimentichi.

Dopo secoli di viaggi lenti, faticosi, incerti, con cavalli, asini e carretti, verso la metà dell’Ottocento la rivoluzione dei trasporti ha aperto la via al nostro mondo globale. Ferrovia e navi a vapore hanno disteso intorno al pianeta una rete di collegamenti facili e soprattutto prevedibili, scritti nero su bianco nei massicci volumi degli orari. Anche troppo prevedibili, se già all’inizio del Novecento i viaggiatori lamentavano la fissità dei percorsi ferroviari e sentivano un nuovo desiderio di libertà. La risposta fu la bicicletta.

Prima dell’automobile, e con un costo contenuto, permetteva ai viaggiatori di raggiungere mete nascoste, paesaggi fuori mano e piccoli borghi; offriva la libertà di scegliere il proprio passo, di cambiare direzione all’ultimo momento, di fermarsi a piacere anche solo per guardare il panorama.

Dopo aver raccontato nel 2021 i Treni fra arte, grafica e design, ora il m.a.x. museo di Chiasso celebra le due ruote con una nuova mostra: Bicicletta e motocicletta fra grafica e design (a cura di Stefano Pivato, Giorgio Sarti e Nicoletta Ossanna Cavadini). Come sempre, quando si tratta del m.a.x. museo, che dispone di sole quattro sale espositive, è una mostra relativamente piccola per numero di pezzi esposti, ma ben fatta e curata. Diversi gli aspetti interessanti, a cominciare da una nuova idea di bellezza: moderna, pratica, essenziale, utile. La bicicletta è come il cucchiaio, un oggetto in odor di perfezione e dunque difficilmente migliorabile. Già nel 1885 infatti la bici assume il suo aspetto definitivo, sostanzialmente immutato sino ai giorni nostri.

Fedele alla sua missione di documentare l’evoluzione della grafica, il m.a.x. museo ha raccolto un’ampia selezione di meravigliosi, coloratissimi manifesti pubblicitari d’epoca, spesso firmati da autori famosi, provenienti dalla collezione Salce di Treviso. Oltre ai manifesti, sono esposti modelli originali di biciclette e motociclette d’epoca, una ventina in totale, compresi alcuni curiosi e rari esemplari prodotti in Svizzera e in Ticino (non si dimentica una sontuosa Mototicino di rosso vestita, prodotta a Chiasso da Attilio Faroppa SA nel 1956).

Piccole sorprese: la mostra è affollata di figure femminili che inforcano la bicicletta, spesso in abiti succinti (per i tempi). In realtà non andò proprio così. Alle donne – e ai preti! – per lungo tempo si sconsigliò l’uso del nuovo veicolo. Per renderne l’adozione universale bisognò prima inventare la bici da donna, con il tubo orizzontale del telaio curvo verso il basso, ma soprattutto allentare i vincoli della morale e del decoro. L’uso della bicicletta favorì un nuovo abbigliamento: per esempio al posto delle lunghe e pesanti gonne e degli onnipresenti busti rigidi con stecche di balena si adotta la più comoda gonna-pantalone. I pantaloni! In quegli anni non erano solo un capo d’abbigliamento; erano il simbolo del potere maschile, della libertà di movimento, dell’autonomia, e per le donne indossarli significava sfidare un ordine sociale secolare.

Da questo punto di vista, dunque, la bicicletta è stata senza dubbio parte del percorso di liberazione femminile. Ma perché allora tante donne nei primi manifesti, quando ancora la bicicletta era loro vietata? È presto detto, il nascente marketing utilizzò la sensualità femminile per attrarre una clientela che all’inizio era appunto prevalentemente maschile; un vizio dal quale non si è mai veramente liberato. Poi, come sempre, qualcosa resta e mette radici nell’immaginario, anche oltre le intenzioni.

In questa mostra la motocicletta è accostata alla bicicletta, ma racconta una storia diversa. I primi ciclisti crearono una filosofia che sarà poi ereditata dagli automobilisti. La moto invece segue strade sue. Se in un primo momento è solo una bicicletta con un piccolo motore, negli anni Trenta diventa un veicolo ben distinto (e sempre più apprezzato).

La motocicletta resta a lungo un mezzo di trasporto popolare, nella stagione della Vespa per esempio. La diffusione delle utilitarie negli anni Cinquanta (la FIAT 600 è del 1955) insidia ma non cancella mai del tutto il ruolo della moto. Inoltre, sin dal primo momento, la motocicletta è prediletta dagli spiriti liberi, dai ribelli; anche nella cultura popolare apre una via che porterà a film quali Easy Rider e a Il selvaggio, a Peter Fonda e Marlon Brando. Di certo la bicicletta e la moto attraversano questo nostro tempo in ottima salute e guardano con fiducia al futuro, mentre l’automobile sembra aver smarrito nel traffico e nella congestione delle strade (e ne sappiamo qualcosa noi qui nel cantone) quel sogno di mobilità libera e creativa immaginato dai primi viaggiatori su quattro ruote.

Passo di sala in sala, di pensiero in pensiero; a questo del resto servono le mostre. Poi lascio il museo attraversando il bosco dei manifesti: quindici postazioni dedicate alla motocicletta con schizzi e disegni. Nel frattempo, in questa sera primaverile, nel centro di Chiasso una donna in bicicletta scivola sicura verso casa, forse ignara di tutta la storia che si è lasciata alle spalle per giungere sin lì…

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