Napoli, 1895. Due cantanti e attori di teatro, Nicola Maldacea e Berardo Cantalamessa, passeggiano presso la Galleria Umberto I, dove si imbattono in una vetrina di un negozio che espone dei fonografi. Quel giorno, i due artisti hanno la fortuna di essere non solo fra i primi ad ammirare alcuni esemplari dell’antenato del giradischi, inventato da Thomas Edison nel 1877, ma anche di ascoltare direttamente dall’apparecchio una canzone. Il brano, in inglese, suscita grande impressione su entrambi: anche se non conoscono il nome dell’interprete, e probabilmente non capiscono il testo, non è importante. Ad affascinarli non è neppure la melodia, ma è un altro dettaglio: una risata incontenibile che sprigiona un’allegria contagiosa. Maldacea e Cantalamessa hanno, di fatto, appena ascoltato The Laughing Song interpretata da George W. Johnson. La canzone, che nel 1891 ha riscosso un grande successo commerciale negli Stati Uniti, si avvale di una risata che irrompe a più riprese, fragorosa e spontanea, al termine di alcune frasi cantate.
Cantalamessa lesto fiuta l’occasione e traduce in dialetto napoletano il titolo, adatta la melodia, e poi elabora un testo, sempre in dialetto. Nasce A risa – poi italianizzato in La risata – il primo disco in assoluto a essere inciso in Italia. In quegli anni compaiono, in diversi Paesi, altri rimaneggiamenti di The Laughing Song di George W. Johnson, e il brano internazionalizzato fa rapidamente il giro del mondo, suscitando interesse anche in India e in Cina. Parallelamente, si diffondono anche i cosiddetti laughing records, registrazioni di melodie classiche che vengono improvvisamente interrotte da risate travolgenti e incontrollate. Non è inusuale, all’epoca, vedere persone che si affollano attorno a un grammofono e, pagando una piccola somma di denaro, ascoltano queste registrazioni. Contagiati dalla risata registrata, irrompono a loro volta in una risata fragorosa e incontrollabile, attirando altri curiosi e assicurando un’entrata economica ai proprietari del grammofono. All’incrocio fra tecnica, espressività umana, e senso degli affari, la risata si trasforma in un bene di consumo.
All’inizio degli anni Cinquanta il valore economico della risata aumenta esponenzialmente, quando l’industria televisiva americana ne intercetta il controverso potenziale. A cristallizzare l’incontro della risata registrata con il mondo dell’intrattenimento ci pensa la celebre quanto misteriosa Laff Box di Charles Douglass, vero e proprio marchio di fabbrica delle situation comedies dell’epoca.
Nato in Messico con passaporto americano, Charles Douglass è un ingegnere elettronico che, dopo aver prestato servizio nell’esercito durante la Seconda guerra mondiale, viene assunto alla Columbia Broadcasting System (CBS), dove lavora presso la sala di montaggio degli studi televisivi. Qui, nel 1953 sviluppa la Laff Box – che per sembianze e dimensioni ricorda sia una macchina da scrivere sia un computer da tavolo –, un apparecchio che contiene campioni sonori di risate ricavate da precedenti spettacoli, soprattutto radiofonici, preservati negli archivi del network. Attingendo soprattutto alle registrazioni di spettacoli di mimi – senza l’impiccio dei dialoghi, le risate sono relativamente nitide e lunghe – Douglass compone un ampio catalogo di risate (da quelle accennate o leggere, a quelle più sonore e roboanti) che aziona manualmente dopo averle abbinate, in fase di post-produzione, alle scene televisive. Con il suo apparecchio può controllare la lunghezza dell’effetto sonoro o attivare contemporaneamente diverse risate per intensificarne l’impatto.
La Laff Box, che negli anni Douglass perfezionerà dotandola di effetti aggiuntivi, viene utilizzata, dagli anni Cinquanta fino ai Settanta, in tutte le sitcom più note, come L’Andy Griffith Show, La famiglia Brady, Io e i miei tre figli, Vita da strega e The Beverly Hillbillies. In anni recenti la Laff Box viene gradualmente sostituita dai più moderni effetti digitali, fino agli attuali algoritmi in grado di calibrare l’intensità e la tipologia delle risate. Anche i gusti e le aspettative del pubblico cambiano negli anni. Come sottolinea lo storico della televisione Ben Glenn in un’intervista rilasciata alla rivista culturale «The Paris Review», «negli anni Cinquanta, le risate erano generalmente allegre ed esilaranti, anche se un po’ generiche […]. Negli anni Sessanta, invece, si potevano sentire più risposte individuali». Secondo Glenn, al giorno d’oggi le risate registrate sono, di norma, «molto meno aggressive e più sommesse; non si sentono più risate di pancia o risate sfrenate. È una risata “intelligente”, più signorile, più sofisticata».
Oggi ci sono sitcom che non ricorrono al laugh track, ma rimane il fatto che alcuni dei maggiori successi degli ultimi decenni – da Seinfeld (anni Novanta) a Friends (a cavallo fa gli anni Novanta e il nuovo secolo), fino alle più recenti The Big Bang Theory e Due uomini e mezzo –, si avvalgono di risate registrate che possiamo immaginare relativamente vicine a quelle che doveva produrre la Laff Box di Douglass.
Nel bene e nel male, la risata registrata condiziona in maniera importante il nostro modo di guardare le sitcom. Per accertarsene, basta vedere alcuni video su YouTube che ripropongono scene di sitcom da cui sono state tolte le risate registrate. Credo che Mark Fisher, intellettuale britannico scomparso nel 2017, avrebbe usato il termine eerie per definire la sensazione che si prova nel guardare queste scene. Per l’autore di The Weird and the Eerie (Lo strano e l’inquietante nel mondo contemporaneo), tanto il termine weird quanto eerie hanno a che vedere con l’inconsueto, lo strano, e l’inquietante. Ma, a differenza di weird, il termine eerie trova la sua specificità quando c’è qualcosa di presente dove non dovrebbe esserci nulla. Oppure, all’opposto, dove non c’è nulla quando dovrebbe esserci qualcosa. Un villaggio abbandonato in condizioni misteriose, per dire, è particolarmente eerie, perché i villaggi sono luoghi abitati, e un villaggio disabitato trasmette una sensazione di inquietudine. Oppure, potremmo aggiungere noi, anche una sitcom da cui togliamo la risata registrata diventa decisamente eerie: inquietante, appunto.
Se la Laff Box ha popolarizzato un genere televisivo che ancora oggi va per la maggiore, la storia della risata e della sua riproducibilità tecnica non è priva di alcuni aspetti controversi. Già a partire dagli anni Cinquanta, che corrispondono al massimo splendore del consumismo americano, appare chiaro che la risata registrata finisce per assumere, volens nolens, un ruolo chiave nell’assecondare il conformismo. La risata partecipa all’esercizio del controllo sociale: normalizza, come una sorta di segnaletica subliminale che addomestica e suggerisce i tempi, i luoghi e i modi del ridere collettivo. C’è anche il rischio che, con la sua aura di legittimità, la risata registrata valorizzi una comicità un po’ grossolana e dozzinale, o che sdogani battute o situazioni percepite come offensive.