La sfida dei maranza

I maranza terrorizzano Milano? A dar retta a certi titoli di giornali parrebbe che i barbari stiano conquistando quella che era la capitale morale d’Italia. Ma chi sono i maranza?

I maranza sono gruppi di adolescenti sempre più diffusi in tutta Italia protagonisti di estorsioni, minacce e aggressioni: «Importunano e aggrediscono passanti, turisti e coetanei per le strade delle città». Si tratta di un fenomeno nato dai social media, in particolare dalla piattaforma TikTok. La prima volta che l’Italia ha dato rilevanza alle loro azioni era il giugno del 2022: una maxirissa tra migliaia di giovani sulla spiaggia di Castelnuovo del Garda aveva costretto la polizia a intervenire in tenuta antisommossa. I ragazzi si erano dati appuntamento tramite TikTok per quello che doveva essere un raduno di musica trap poi sfociato in una caotica lite. Le loro azioni vandaliche hanno lo scopo di creare confusione in modo scombinato e volgare. Secondo le cronache dei giornali, i maranza sarebbero ben identificabili per il loro stile grezzo, «tamarro»: capelli arruffati, tuta in acetato di marca (solitamente contraffatta), borsello a tracolla e maglie delle squadre di calcio. Look completato da collane e orologi vistosi. Questo loro stile opinabile porta i maranza a essere presi in giro sui social media, ma da bulletti a gruppo di delinquenti il confine è breve.

Il termine «maranza» non è una novità. Secondo l’Accademia della Crusca, «maranza» non è affatto un neologismo: a partire dagli anni Ottanta il sostantivo, usato talvolta anche con valore aggettivale, è attestato nel lessico giovanile, specialmente di area settentrionale, con il significato di «tamarro», «coatto». Con tale significato è stato registrato anche in alcuni repertori di linguaggio giovanile degli anni Novanta e Duemila. Se prima il referente di maranza era il tamarro, legato al mondo della musica dance e dei locali notturni, oggi il «tipo-maranza» è qualcosa di leggermente diverso. È a partire dal 2019 che il sostantivo sembra aver iniziato a cambiare denotazione nell’uso delle nuove generazioni, grazie alla mediazione dei social network. Inoltre, una buona parte di coloro che si (auto)definiscono maranza è composta da giovani italiani di seconda generazione di origine nordafricana e ragazzi nordafricani immigrati in Italia. Ciò ha favorito la proliferazione di pregiudizi e di contenuti mediatici di carattere razzista.

Scrive il professor Federico Pilati su «Doppiozero»: «La sottocultura maranza, emersa negli ultimi anni nelle periferie delle grandi città del Nord Italia, rappresenta un fenomeno identitario complesso e stratificato. Il termine maranza originariamente utilizzato con connotazione dispregiativa, è stato progressivamente riappropriato dai giovani che si identificano in questa sottocultura, trasformandolo da stigma in emblema di appartenenza. […] La composizione di questa sottocultura riflette la geografia sociale delle periferie urbane: giovani […] che utilizzano lo stile e l’appartenenza culturale come strumenti di auto-rappresentazione e resistenza simbolica alle condizioni di marginalizzazione».

Dietro l’estetica provocatoria, il linguaggio di sfida e gli atteggiamenti aggressivi, vi è un bisogno radicale di riconoscimento, appartenenza, ascolto. I maranza e le baby gang ci stanno dicendo qualcosa che troppo spesso fatichiamo a voler ascoltare? Che l’educazione ha smesso di parlare il loro linguaggio, che la società adulta si è fatta distante, e che la scuola rischia di non essere più percepita come luogo di senso?

Allarmanti sono anche gli appelli sui social contro «maranza e magrebini». Si sono chiamati «Articolo 52», esplicito rimando all’articolo della Costituzione italiana che stabilisce che «la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino», ma il loro fine è quanto di più distante dai valori su cui si basa la Carta. Il primo post sulla loro pagina Instagram non lascia spazio ai dubbi: «Siamo stanchi dei soprusi e delle bande armate che impunite regnano nel caos. La violenza si combatte con la violenza». Poco dopo appare un video altrettanto eloquente, registrato alla Darsena di Milano. Un ragazzo straniero violentemente picchiato da un gruppo di ragazzi come punizione per aver, a detta loro, rubato una collanina. «Ti giuro che non c’entro nulla. Non ho fatto nulla», prova a difendersi lui. Poi la scarica di pugni e calci che lo fa crollare a terra. Il contesto di disgregazione sociale è così completo.

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