La speranza: ridare unità alla Chiesa cattolica

Il primo papa proveniente dagli Stati Uniti. Ma un papa missionario, che il vescovo lo ha fatto in Perù e di questo Paese nel 2015 ha addirittura preso una seconda cittadinanza, accanto a quella americana. Ancora una volta dal conclave è uscita la sorpresa, con l’elezione rapida del cardinale Robert Prevost, 69 anni, che papa Francesco aveva chiamato in Vaticano all’inizio del 2023 come prefetto del dicastero per i Vescovi, una delle figure chiave della Curia romana. La sera dell’8 maggio si è affacciato da quella stessa loggia delle Benedizioni della basilica di San Pietro da cui Bergoglio appena tre settimane fa aveva dato il suo ultimo commiato. Presentandosi ai cattolici di tutto il mondo con le eloquenti parole «Pace a tutti voi» e facendosi chiamare Leone XIV. Un nome che evoca il papa della Rerum Novarum – l’enciclica sul lavoro del 1891 che è considerata l’inizio del magistero sociale della Chiesa cattolica – ma anche frate Leone, l’amico più fidato di san Francesco.

Il nome di Robert Prevost era circolato nelle liste dei papabili tra le figure di mediazione, ma in pochi avevano creduto davvero all’ipotesi di un Papa nordamericano. Invece nella Cappella Sistina sembra proprio aver prevalso l’idea di un pontefice capace di tenere insieme le anime diverse del cattolicesimo globale, dopo i dodici anni di «rottura» del papa argentino. Alla vigilia del conclave una parte del collegio cardinalizio insisteva con forza sulla necessità di non lasciar spegnere la forza d’urto di Francesco, la sua insistenza sulla misericordia e su una «Chiesa in uscita», l’apertura di spazi nuovi nella Curia romana per i laici e le donne in ruoli di responsabilità. All’opposto c’era chi chiedeva espressamente un ritorno alla «chiarezza nella dottrina», di non confondere l’ascolto del «popolo di Dio» con l’esercizio dell’autorità nella Chiesa, di mantenere una propria identità forte nel dialogo con le sensibilità del nostro tempo. Leone XIV si profila come il punto di equilibrio tra queste due spinte contrapposte.

Lo si è visto fin dal suo primo emozionatissimo saluto ai fedeli riuniti in piazza San Pietro per ricevere la prima benedizione del nuovo papa. Visivamente, anche nei paramenti con cui si è presentato, ha richiamato alla memoria l’elezione di Benedetto XVI. Ma le parole da lui pronunciate si sono ricollegate immediatamente al messaggio di Francesco: la sfida di «una pace disarmata e disarmante», l’idea che «Dio ama tutti», la Chiesa come «ponte di dialogo» con tutti. «Vogliamo essere una Chiesa sinodale, una Chiesa che cammina, una Chiesa che cerca sempre la pace, che cerca sempre la carità, che cerca di essere vicina specialmente a coloro che soffrono». E se Francesco nel suo primo saluto aveva rivendicato la sua provenienza dalla «fine del mondo», Leone XIV – il primo papa «born in the Usa» – ha usato lo spagnolo per rivolgersi direttamente ai suoi latinos di Chiclayo, la diocesi di cui è stato vescovo in Perù, dove ha detto «di aver ricevuto tanto».

Perché c’è un’altra mediazione fondamentale che Robert Prevost incarna nella Chiesa cattolica di oggi: quello tra il nord del mondo e il sud globale. Un uomo nato e cresciuto a Chicago, ma missionario in Sudamerica e che per dodici anni è stato priore generale degli Agostiniani, un ordine religioso che conta oltre 2500 sacerdoti in 50 Paesi del mondo. Se quello del 2025 è stato il conclave delle «periferie», con ben 71 Paesi rappresentati tra i cardinali elettori, deve per forza voler dire che anche loro hanno visto in questo cardinale che si considera peruviano quanto statunitense un segno per il mondo intero. E se Donald Trump, come suo solito, esulta come per una medaglia stelle e strisce alle Olimpiadi, l’America cattolica di Leone XIV è molto distante da quella di J. D. Vance.

Sarà un pontificato tutto da scoprire quello di Leone XIV. Chi lo conosce parla di un uomo gentile, lontano dagli estremismi, ma anche con alle spalle una solida esperienza di governo negli agostiniani. Un Papa probabilmente più vicino allo stile curiale che ai giri di tango che tanto affascinavano in Bergoglio. Sulle spalle ha il mandato dell’unità, rafforzato dall’elezione avvenuta in tempi molto rapidi; ma è anche un’asticella posta molto in alto. Quella che si apre, per certi versi, è una stagione ecclesiale simile a quella del 1963 con l’elezione di Paolo VI. Anche Montini giunse sul soglio di Pietro dopo un pontificato fortemente carismatico come quello di Giovanni XXIII. Anche in quel caso c’era un cantiere aperto che ereditava: quello del Concilio Vaticano II, molto simile a quel recupero della «sinodalità» nella Chiesa che papa Francesco ha iniziato. Ma mantenere l’unità non fu affatto facile per Paolo VI, che si ritrovò molto presto criticato tanto dai tradizionalisti (al punto che si arrivò allo scisma di mons. Lefebvre) quanto dai progressisti (che nel post-Concilio lo accusarono di averne soffocato il vento di novità). È la grande insidia che Leone XIV si troverà davanti. Sotto traccia, poi, c’è sempre la questione della risposta della Chiesa alla questione degli abusi sessuali commessi dal clero, su cui Francesco ha invocato «tolleranza zero» ma che in tanti Paesi – tra cui proprio il Perù – restano ancora un campo minato.

Intanto, però, papa Prevost si è presentato al mondo pronunciando la parola che tutti oggi più attendono: pace. L’ha ripetuta con forza, ricordando quanto Francesco abbia speso fino all’ultimo le sue energie nell’invocarla davanti ai potenti del mondo. E l’ha richiamata proprio mentre all’infinita sequela di fronti aperti, proprio mentre i cardinali stavano chiusi nel loro conclave, se n’è andata ad aggiungere addirittura un’altra, lo scontro che in queste ore è tornato a seminare morte in India e in Pakistan. Raccoglie il testimone della guida della Chiesa nel mezzo di un Giubileo che ha per tema la speranza, papa Leone XIV. Un compito che spaventerebbe chiunque, in un tempo così colmo di paure. Arriva sul soglio di Pietro senza avere alle spalle l’esperienza di aver guidato comunità cattoliche di grandi tradizioni, credenziali da fine teologo o rodate esperienze nella diplomazia pontificia. Al contrario: si presenta come un semplice missionario, cresciuto camminando accanto al popolo a lui affidato in Perù. Forse potrebbe essere la sua vera forza.

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